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La rielaborazione del lutto

di Eleonora Sforzi
  Fai bei sogni
Data di pubblicazione su web 23/12/2016  


Uno dei registi italiani che più spesso ha raccontato crisi interiori inespresse e contesti familiari drammatici – toccandone i vertici nel suo lungometraggio d’esordio, I pugni in tasca (1965) – è tornato nelle sale con una vicenda incentrata sulla tragedia personale vissuta nell’infanzia dal giornalista e scrittore Massimo Gramellini, al centro del romanzo autobiografico Fai bei sogni, pubblicato nel 2012.

 

Presentato in anteprima al Festival di Cannes, l’ultimo film di Marco Bellocchio narra il dramma interiore che ha accompagnato la vita di Gramellini dal momento della tragica perdita della madre avvenuta quando aveva appena nove anni. Il regista sceglie una struttura non lineare, dove il presente – presumibilmente coevo o immediatamente precedente alla stesura del romanzo – si intreccia con episodi del passato: dal periodo vicino alla misteriosa morte all’età adulta, passando attraverso la difficile fase dell’adolescenza.

 

Le prime sequenze, collocate nella fase precedente al decesso, delineano il rapporto speciale tra la donna e il figlio, là dove ai sereni momenti di gioco e di complicità si alternano frequenti silenzi e cupe assenze da parte della madre, la quale sembra fare i conti con un senso di angoscia interiore legato non soltanto alla grave malattia con cui sta combattendo. 


Un momento del film
Un momento del film
© Simone Martinetto

La tragedia avviene all’alba di un giorno d’inverno, quando Massimo viene svegliato improvvisamente da un terribile urlo del padre seguito da uno strano viavai di familiari ed estranei nella propria casa. Non credendo alla bugia della madre colta da un malore e portata in ospedale, Massimo riceve solo alcuni giorni dopo la notizia della sua morte dal prete del paese (Roberto Herlitzka).

L’elaborazione del lutto assume nel corso degli anni forme diverse. Inizialmente, il forte dolore e la mancanza determinano la non accettazione della perdita e la tendenza ad atteggiamenti cupi e introversi, accompagnati da una compensazione della carenza affettiva con l’elezione dell’oscura figura di Belfagor a proprio nume tutelare immaginario. Una scelta che rappresenta un tentativo inconscio di mantenere ancora un legame mentale con la madre mediante il pauroso personaggio della nota serie televisiva francese del 1965 – trasmessa dalla RAI negli anni successivi (Belphégor ou Le fantôme du Louvre) – che Massimo guardava spesso in sua compagnia. Allo stesso tempo, instaurare un dialogo segreto con questa figura “mitologica”, identificata come una sorta di alleato invisibile, sembra riuscire in qualche modo a sublimare il vuoto, oltre che la paura del mistero.

In seguito a una lunga fase di rimozione del lutto, sarà poi il Massimo adulto (interpretato da Valerio Mastandrea) a farvi i conti, al rientro dalla guerra in Bosnia. È in tale contesto di morte e distruzione, infatti, che l’uomo sembra rivivere il proprio dramma quando si trova di fronte un bimbo quasi inconsapevole della violenta uccisione della madre sulla soglia di casa: da questo momento sente su di sé tutto il peso del dolore e dell’angoscia che per anni aveva cercato di nascondere, pronto ad affrontare la verità, grazie anche alla vicinanza di colei che diventerà la sua compagna, Elisa (Bérénice Bejo).


Un momento del film
Un momento del film
© Simone Martinetto

Il regista piacentino realizza il proprio “affresco” cinematografico facendo ampio uso di ellissi, articolate da un montaggio che procede per episodi significativi, dove il succedersi degli eventi sembra essere scandito da echi visivi e memoriali. Il cast riflette la ricerca di drammaticità che contraddistingue la lettura del presente e dei rapporti interpersonali tipica del cinema di Bellocchio: oltre a Mastandrea, l’immancabile Roberto Herlitzka, attore feticcio del regista (si pensi solo a Buongiorno, notte, 2003, in cui è un magistrale Aldo Moro). Da segnalare, inoltre, la presenza dell’attrice francese Bérénice Bejo, le cui capacità recitative erano già state messe in risalto con The Artist di Michel Hazanavicius, che le ha valso l’Oscar come Miglior Attrice Protagonista.

Bellocchio riesce ancora una volta a rappresentare efficacemente le inquietudini umane. Privilegiando la prospettiva del piccolo Massimo, il regista mette in evidenza lo scarto emozionale tra la sua percezione visiva della realtà e quella veicolata dalla televisione, che proprio negli anni Sessanta e Settanta costituiva il principale mezzo di comunicazione. La forza delle immagini filmiche si manifesta soprattutto nella rappresentazione del turbamento interiore del bambino, che assume una consistenza visiva attraverso l’inquietante volto di Belfagor: un’evocazione simbolica che Bellocchio fa “apparire” in più occasioni agli occhi degli spettatori.




Fai bei sogni
cast cast & credits
 

La locandina del film
La locandina




 
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