Emio Greco e il suo sodale Pieter C. Scholten amano la
danza. Quella danza che vive per sé stessa e che, come sostengono nel manifesto
programmatico Le Sette Necessità del
1996, identifica il suo «punto di partenza» nel gesto. «Qualcosa di minimo che,
rendendolo più grande, in certo senso più artificiale», si trasforma «nel gesto
della danza».
La danza di Emio e Pieter è infatti buona, sana, riconoscibile, e se labusato
slogan “il corpo che danza” si adatta alla loro poetica, di fronte alla mise en scène al Comunale di Ferrara di Passione, firmata da entrambi per il
Balletto di Marsiglia, viene distinto parlare di “ballerini che ballano il
corpo”, spostando lattenzione dal soggetto alloggetto dellagire coreutico.
Nel primo caso è il corpo che si esprime, nel secondo, quello
riferibile ai più che bravi danzatori della compagnia marsigliese, sono loro
stessi a “ballare” il corpo che diventa loggetto interno di un verbo
intransitivo. Quindi mentre nel “corpo che danza” la simbiosi è tra corpo e
ballerino, nel secondo caso il protagonismo è nei danzatori che ballano,
appunto, il loro corpo.
Un momento dello spettacolo
© Alwin Poiana
E questo “ballare il corpo” porta con sé laltro caposaldo del
pensiero orchestico di Greco e Scholten i quali, uniti dal 1995 con la nascita
della Compagnia EG/PC e poi ancora di più dal 2009 con la fondazione del centro
multidisciplinare ICKAmsterdam, mirano a reificare la danza rendendola materica
e materiata. “Materica” per la fisicità della materia umana di cui è formata, “materiata”,
cioè sostanziata dalla peculiarità tersicorea di chi la incarna.
Tutto questo per dire e ribadire che la danza dei direttori del
Balletto di Marsiglia, storica compagine fondata nel 1972 da Roland Petit e dal 2014 guidata da Emio
e Pieter dopo Marie-Claude Pietragalla
e Frédéric Flamand, è danza-danza e
non il semplice movimento di tanta coreutica contemporanea di oggi, borderline
tra vera arte cinetica e pura attività motoria sulla musica.
Quella di Greco e Scholten è arte cinetica perché ha nel suo genoma un
corredo di cromosomi classici e moderni che, lungi dallessere costrittivi o
limitativi, sono punto di partenza del loro modo di intendere il gesto e di
reificare la danza.
Un momento dello spettacolo
© Alwin Poiana
Un modus operandi visibile
in Passione, in cui non sono pochi i passi
accademici a cominciare dai rondes de
jambe en lair à la seconde, ai grands battements, alle pirouettes, agli arabesques, alle batterie, ai petits sautés,
ai ports de bras; ma non sono pochi
neppure i passi moderni come gli esasperati pliés
à la seconde, gli splits, i turns, i flicks, gli chassès, i launchs, tutti però transcodificati per creare
un solido linguaggio contemporaneo che si riverbera nella scelta della forma
balletto. Un genere in cui la classicità della danza di scuola si vede nel
rigore con cui i “ballerini ballano il corpo”, unito alla cura dedicata allaspetto
esteriore di ciò che viene presentato, e la dinamicità dellidioma moderno si
coglie nel libero fluire del dettato cinetico e coreografico definito exstremalism.
Passione prende spunto dalla
Passione secondo Matteo di Bach, un iter di purificazione in sette
tappe iniziato da Emio e Pieter nel 2008 con IN VISIONE. Un pezzo dedicato al Purgatorio di Dante e inserito in un progetto sulla Divina Commedia in cui Greco si
confronta con i sette peccati capitali (superbia, invidia, ira, accidia,
avarizia, gola, lussuria) sulla partitura bachiana riletta dal musicista Franck Krawczyk ed eseguita da unorchestra di trenta elementi.
Da questa Passione si arriva
nel 2012 a Passione in due dove
Krawczyk è alla prese con pianoforte e fisarmonica e Greco indossa un naso
posticcio di colore rosso, come il sangue della Passione di Cristo, che porta
dritto alla terza Passione creata nel
2015 per il Balletto di Marsiglia e presentata con successo a Ferrara.
Un momento dello spettacolo
© Alwin Poiana
Una rinnovata “edizione” messa in scena da sette interpreti: Denis
Bruno, Vito Giotta, Gen Isomi, Nanoka Kato, Angel
Martinez-Hernandez, Aya Sata, Valeria Vallei, che richiamano
lespiazione corale delle anime del Purgatorio
e la dolcezza del secondo regno nella musica di Bach, riadattata dal vivo da
Krawczyk al piano e alla fisarmonica.
Il lavoro, aperto dalla fuga della
Toccata e fuga in re minore e chiuso
con la Passacaglia e fuga in do minore del
Tempo di coda, a cui si aggiunge il 2° Preludio
in do minore per piano nella parte centrale, è costruito sul numero sette.
Sette sono le cornici dantesche, fra laltro ricollegabili alla Tavola delle sette Beatitudini del Discorso alla Montagna dellapostolo
Matteo; sette sono i tempi della Passione
secondo Matteo di Bach; sette sono le Necessità
del manifesto di Greco e Scholten e sette sono gli interpreti. A loro volta
richiamati da sette bottigliette posizionate su un tavolo di lato al
palcoscenico e raffiguranti altrettanti umori emotivi medievali.
Un numero ricorrente, il sette, che tiene unite le performances dei ballerini, accarezzati
dalle morbide luci di Henk Danner, fasciati dai semplici costumi di Clifford
Portier e protagonisti di una scrittura coreografica in cui costante è il
dialogo tra musica, gesto, parola e danza.
Un “testo” che prende avvio da un rigoroso assolo, accoglie le
toccanti scene del Cristo addolorato e della ballerina con un palloncino
azzurro, si intreccia negli energici terzetti, nei lirici duetti, nei vorticosi
ensemble, vivacizzati dal rosso fuoco dellabito di una coreuta, fino a
completarsi nel lavorìo terre à terre di una danza materica e materiata e in
quel “ballare il corpo” fatto di grazia e consapevolezza.