«Ti
ricordi quellattore che recitava con me nel Giardino dei ciliegi?» – chiede Sylvia – «Ricordo vagamente quello
spettacolo» – risponde Philip.
Sylva
e Philip sono i due coniugi usciti dalla penna di Alexi Kaye Campbell (classe 1966), autore greco di The Pride, di formazione statunitense e attore, per diverse
stagioni, della Royal Shakespeare Company. Campbell ricama un testo nuovo e
bello, per niente moralistico, una pièce di rara e raffinita sensibilità,
cechoviana – si potrebbe osare –, proprio sulla scia di quel Giardino che, non a caso, viene evocato.
Sarà forse lagilità che ostenta nel gioco di mescolare storie e personaggi,
differenze e assonanze, sarà il rispettoso atteggiamento nei confronti degli
stati danimo delle sue personae o,
soprattutto, la capacità di gestire e annullare la variabile temporale ad
avvicinare lautore contemporaneo al mito russo. La regia di Luca Zingaretti, già apprezzato in una Torre dAvorio di Harwood di qualche stagione fa, pare indugiare su questo aspetto
eleggendolo a fortunata chiave di lettura del testo.
Si tratta prevalentemente di un dramma notturno e di interni
(solo nel finale lazione si sposterà alle porte di un parco). Le luci di Pasquale Mari danno spessore a questi
spazi, rendendo tangibili le emozioni. Nelloscurità del pregiudizio le luci,
calde o stroboscopiche, tirano fuori storie e racconti frammentari,
evidenziandoli. Le mura domestiche infatti non proteggono, bensì denunciano limpossibilità
di nascondersi o difendersi dallesterno. Il mondo cè ed aggredisce, i
personaggi ne portano addosso le ferite e lo materializzano nei loro discorsi:
i pregiudizi urlati in metropolitana, lauto-ghettizzazione gay nei parchi, lomofobia,
le frustrazioni professionali e poi lesotico, il senso dellaltrove, del
lontano, di una fuga tanto desiderata, contrapposta allimmobilità di due
appartamenti londinesi, forse lo stesso luogo, nel 1958 e nel 2015.
Un momento dello spettacolo © Dismappa Il bilocale di fine anni Cinquanta accoglie la vita
matrimoniale di Sylva/Valeria Milillo e Philip/Zingaretti
subito minacciata dallintrusione di un terzo personaggio, Oliver/Maurizio Lombardi, scrittore di
racconti per bambini che sconvolgerà il quieto vivere della coppia, portando a
galla ciò che era stato coperto per anni da tacita sopportazione, perché no,
per affetto sincero e reciproco. André
Benaim idea un interno modern style
dallarredo laccato che compone un accogliente salotto. Sulla parete di fondo
una finestra e una porta lasciano percepire luci e rumori della città. Sarà
sufficiente la lenta discesa in scena di un separé
e un plaid sul divano a rendere
contemporaneo il loft del 2015 abitato dalla coppia gay Holly/Lombardi e
Philip/Zingaretti, di fresca rottura, e spesso frequentato dallesuberante
Sylvia/Milillo, attrice e amica di entrambi.
Della
trama di questo pregevole teatro contemporaneo di parola non sveliamo altro. Passiamo
agli attori, tutti straordinari e camaleontici. Ogni attore interpreta due
personaggi, omonimi eppure lontani tra loro. Non è facile cogliere la relazione
che intercorre tra la old e la new generation. Campbell e Zingaretti
vogliono dirci che unevoluzione della coscienza sociale in materia di inclusion cè stata, ma di che entità?
Questa la riflessione che lo spettacolo ci impone.
Un momento dello spettacolo © Dismappa Valeria
Milillo è una “sfiatatissima” prima donna che si destreggia in un mondo di
uomini. I suoi due personaggi molto ci dicono della condizione femminile – pur
in un testo che sembra concentrarsi sullomosessualità ma che in realtà la
travalica. La Milillo è aerea, diafana, come se avesse appena smesso i panni di
Ariel in una Tempesta shakespeariana;
come moglie tradita e frustrata riesce a mostrarsi fragile come sul punto di
rompersi. La Sylvia di oggi è invece una donna di mondo, a prima vista
svampita, frivola ed aggressiva, ma che sotto labbigliamento rock (i costumi
sono di Chiara Ferrantini) nasconde una
fragilità caratteriale, vicina al personaggio degli anni Cinquanta, espressa nella
ricerca disperata damore. Maurizio Lombardi, slanciato e sinuoso, in antitesi
visiva rispetto al compagno Zingaretti, più basso e corpulento, nel ruolo di
Oliver rimanda alla silhouette del
dandy, quasi un raisonneur
pirandelliano quando interpreta lo scrittore. Nel mondo di oggi, che non sa che
farsene della compostezza, il suo alter
ego Holly smette i panni dellintellettuale e veste con meditata
ostentazione quelli della checca affetta da disturbi sessuali. Lamara
consapevolezza di un forte disagio interiore emerge nei rapporti con chi
fuoriesce dalla sua sfera familiare: il travestito e il direttore della rivista (interpretati
da Alex Cendron, quarto elemento
della compagnia). Luca Zingaretti, da parte sua, pare un animale intrappolato
nella gabbia della vita in quel lontano 58. La cifra stilistica che domina il
suo Philip è quella della frustrazione. Una frustrazione non naturalistica ma
ostentatamente finta e costruita: è talmente costretto nella “normalità” di una
vita domestica socialmente accettata, deve sentirsi talmente in colpa nei
confronti della moglie, vittima in passato della sua morbosa gelosia, da agire
in modo automatico e magnificamente finto (altro che Montalbano!). I gesti di
questo attore sono volutamente inefficaci, dalla carezza a distanza alla moglie
allatto di violenza in proscenio. Questa inefficacia studiata diventa azione
raffinatissima.
Un momento dello spettacolo © Dismappa Che
tipo di relazione intercorre, dunque, tra le due realtà raccontate da
Campbell-Zingaretti? Plurime relazioni o forse nessuna, richiami e rimandi di
un discorso ininterrotto che solo per pochi istanti storici si è fatto dialogo.
Non ci sembra che la tematica di fondo, sebbene esibita, sia lomosessualità;
crediamo invece che qui si parli di benessere individuale, di welfare. Negli anni Cinquanta
predominava il silenzio, oggi leccesso, lostentazione e la finta comprensione
urlata dietro lo slogan “gay-friendly” o le pari opportunità. Passi avanti ne
sono stati fatti, ma – per rimanere sulla questione della “diversità” sessuale –
si pensi al divario esistente fra metropoli, città di provincia e campagna.
Nel
cuore di questo testo si nasconde la solitudine, la mancanza di una reale
solidarietà fin dentro le braccia familiari, la vittoria del pregiudizio. La
poesia che, con conquistata rassegnazione, Sylvia/Milillo delicatamente recita
nel finale esorta alla vicinanza, alla cura dellaltro, al prendersi per mano
per sentirsi meno soli in una realtà che ci delude attraverso sconfitte
continue, illusioni spezzate, quotidiana insoddisfazione. Eppure la speranza
potrebbe essere trovata nella solidarietà, propria delluomo, che, diceva
Eduardo, «per natura è ottimista».
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