Tra i grandi nomi inclusi nella competizione ufficiale di
questedizione della Mostra, la presenza di Emir Kusturica è una delle sorprese più piacevoli. Lo avevamo
lasciato, otto anni fa, per le strade di Buenos Aires, in compagnia di Diego Armando Maradona e Manu Chao. Poi più niente, a parte un contributo
al film collettivo Words with Gods
(2014), che è anche unanticipazione di questo nuovo, ambizioso progetto. Logico
che su Na mlijecnom putu (On the Milky Road), primo lungometraggio
di finzione dai tempi di Promettilo!
(2008), fossero riposte grandi aspettative, sia da parte dei fan (che si
auguravano un ritorno ai vecchi fasti), sia da parte di chi, deluso dalle sue ultime
prove non proprio eccelse, sperava nellinizio di un nuovo corso.
Torna a raccontare la guerra, Kusturica. Siamo in Erzegovina,
nel pieno degli ultimi fuochi delle guerre balcaniche. Kosta (interpretato dal
regista stesso) è un taciturno lattaio la cui famiglia è stata devastata dalla
guerra. Sta per sposare Milena, donna folle e focosa (Sloboda Mićalović). Il rapporto tra i due sembra incrinarsi quando
arriva in paese una bella italiana, chiamata “la Sposa” (Monica Bellucci), ultima conquista del combattente ed eroe di
guerra Žaga Bojović (un irriconoscibile Predrag
Manojlović). Tra Kosta e “la Sposa” nasce un improvviso quanto impossibile
amore, e la prospettiva iniziale del doppio matrimonio si fa sempre più incerta.
La situazione si sblocca quando le truppe serbo-bosniache, tradendo la tregua da
loro stesse annunciata, entrano nel villaggio con i lanciafiamme, carbonizzando
qualunque cosa si muova. Di fronte alla follia omicida dei soldati i due amanti,
unici superstiti, non hanno altra scelta che lanciarsi in una disperata fuga.
Una scena del film Resurrezione di un autore dato per perso, la cui parabola
sembrava essere oramai giunta al termine, o stanca ripetizione di strategie
espressive ampiamente collaudate? La risposta dipende, in parte, dal legame affettivo
che ciascuno spettatore ha con il cinema di Kusturica. Sul fatto che il regista
serbo ripeta sovente sé stesso, non vi sono dubbi. Lincipit riprende esplicitamente
quello di Underground (1995): come lì
si racconta la guerra attraverso lindifferenza di coloro che ne sono estranei,
ossia gli animali. La sequenza successiva, le peripezie di Milena e di sua
madre contro una vecchia e minacciosa pendola assassina, aprono in uno stile
inconfondibile le danze dell“Unza Unza Time”: un carosello continuo, dal
montaggio ritmicamente serrato, di musica balcanica, balli frenetici, alcool,
vetri rotti, spari di guerra e di festa, facce da galera, malviventi obesi,
ragazze disinibite, animali di ogni tipo. È Kusturica allo stato puro,
elettrizzante o soporifero, a seconda dei punti di vista: una clownerie incessante in cui la guerra
rimane sullo sfondo, presente eppure costantemente ignorata, banalizzata,
esorcizzata.
È solo nella seconda parte che il film sembra segnare una
svolta, con lingresso dei militari in città: figure volutamente senza
spessore, incarnazione del male assoluto, rispetto ai quali la coppia intraprende
una fuga romantica che la conduce verso un inaspettato epilogo. Il registro
dellopera si sposta su un piano surrealista e la contrapposizione tra il cieco
odio delle guardie e laltrettanto cieco amore della coppia travalica le
circostanze storiche e geografiche per farsi discorso universale, fiaba sul
potere dellamore che non disdegna qualche incursione nel cinema di avventura (si
vedano le scene della fuga nel canneto e del tuffo nelle cascate). È qui che
Kusturica indugia in qualche leziosità di troppo, e la visionarietà di certe sequenze,
frutto forse di una mal gestita sintesi di tre anni di lavoro, appare (come daltronde
in gran parte del suo cinema) fuori controllo. Eppure è impossibile non
parteggiare per i due amanti, rimanere col fiato sospeso per le loro peripezie,
indignarsi di fronte allostinazione, irragionevole e proprio per questo simbolica,
dei soldati. Tutto il film gioca sul brusco stacco tra la guerra percepita
nella sua quotidianità (in cui persino la perdita di un orecchio per colpa di
un cecchino viene derubricata come incidente di routine) e lorrore, improvviso, che il conflitto bellico acquista
nella vita della coppia.
Una scena del film
Un contrasto che genera, nella seconda parte del film, scene
di forte pathos: su tutte quella del
gregge di pecore (in mezzo al quale i due si nascondono), che trova riparo in
un campo minato, col risultato di una tanto atroce quanto coreografica mattanza.
Oppure si pensi allintervento del boa constrictor,
che pur nel suo aspetto minaccioso salva la vita alla Sposa, come già aveva
fatto con Kosta. Perché la natura è amica della coppia, è amica dellamore, facendo
emergere, per contrasto, linnaturalezza del conflitto. È questo il risvolto
politico della poetica di Kusturica, forse un po naïf ma sinceramente pacifista. Na mlijecnom putu è probabilmente lopera più
antimilitarista del regista serbo, quasi un manifesto romantico appeso a unideale
di amore come unica alternativa alla barbarie della guerra.
Kusturica firma sì unopera che non si allontana troppo dai
vecchi schemi, e che tuttavia nasce da unambizione elevata e da un lavoro meticoloso,
soprattutto in fase di scenografia e di montaggio. Del resto sarebbe forse
troppo chiedere al sessantaduenne regista serbo un rinnovamento radicale:
vederlo calcare ancora una volta il red
carpet, in t-shirt, in splendida
forma, è come incontrare un amico che non vedi da tempo. Peccato solo per
qualche eccesso visivo, che spesso va a detrimento del racconto, rischiando di
trasformare ciò che è dolce in stucchevole. Perché “la vita è un miracolo”,
Emir, ma questo ce lo hai già detto.
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