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Happy few

di Sara Mamone
  Paradise
Data di pubblicazione su web 09/09/2016  

Già dal titolo così perentoriamente inverosimile sono chiare le intenzioni del regista, il quasi ottantenne Andrei Konchalosky che, dopo aver ottenuto un Leone d’argento nell’edizione veneziana del 2014 (link), può ora puntare al massimo premio. Paradise non è un film facile, anzi è dichiaratamente disameno non solo per la scelta del tema tutto incentrato sull’Olocausto ma per le scelte drammaturgiche e stilistiche. A cominciare dal rigoroso bianco e nero, dal formato 4:3 che, chiudendo l’inquadratura, rimanda alle pellicole del passato e forse cita esplicitamente la pietra miliare posta nel genere da Il figlio di Saul, fino ai traballanti cambi di luce. Ma ciò che più spiazza e forse irrita un pubblico non disposto alla massima attenzione è il montaggio della vicenda, tripartita nella testimonianza diretta dei tre protagonisti.


Una scena del film
Una scena del film

Bisogna aver voglia di capire per “entrare” in questo film il cui fascino sta proprio nell’apparente disconnessione narrativa. E soprattutto bisogna “tenere” fino alla fine per capire non tanto chi sono i tre personaggi così asettici dinanzi alla macchina da presa. Stanno rendendo una confessione, o meglio narrando il proprio punto di vista nella vicenda che li riguarda. Sono: un ufficiale di polizia francese che ha arrestato, restandone poi sedotto, un’affascinante contessa russa che tenta di salvare alcuni bambini ebrei; la medesima contessa arrestata e poi portata in un campo di sterminio; qui reincontrerà un ufficiale tedesco di nobilissima ascendenza e di totale cecità che crede fino in fondo al paradiso promesso dal Führer. I due si erano conosciuti anni prima, in Toscana, quando gli happy few della nobiltà cosmopolita trascinavano la loro agiatissima vita spensierata, ed erano stati fugacissimi amanti. Il loro incontro nel campo nazista riaccende nell’ufficiale una fiamma in realtà mai sopita mentre per la contessa è l’occasione per un trattamento meno disperato che nelle baracche, anche se forse altrettanto avvilente. Ma a chi stanno rendendo questa testimonianza? dove sono? sono insieme? dinanzi a loro c’è un tribunale? Solo alla fine capiremo che sono dinanzi ad un giudice supremo perché sono morti, non sono sfuggiti a quell’inferno di cui lei è stata una vittima, il funzionario francese un mediocre e vile fiancheggiatore e il nobile tedesco un colpevole e cieco fautore. Quindi stanno rendendo conto a Dio o forse si rivolgono direttamente a noi spettatori e alla nostra coscienza, cercando di scuoterla con le loro ragioni (in un’impostazione brechtiana di impegno all’ascolto critico)? E noi, in platea, cosa dobbiamo dire a questi fantasmi?  


Una scena del film
Una scena del film

Prendendosi qualche rischio Konchalosky tratta il tema dell’Olocausto con assoluta freddezza, con una distanziazione che, ben lontana dall’indifferenza, chiama in causa una profonda conoscenza personale letteraria e cinematografica. La ricostruzione dell’ambiente familiare piccolo borghese del funzionario parigino o il nitore calligrafico della luce toscana o la minacciosa protervia del comandante corrotto del campo disegnano, come nei grandi romanzi dell’Ottocento, quell’umanità incosciente o comunque impotente ad opporsi al destino che si fa inevitabilmente complice di chi quel destino costruisce. Non ci sono assoluzioni comunque, anche se trapela ancora, brechtianamente  e irrealisticamente, l’auspicio di un mondo in cui non ci sia bisogno di eroi.




Paradise
cast cast & credits
 
In concorso

La locandina del film
La locandina



 
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