Già
dal titolo così perentoriamente inverosimile sono chiare le intenzioni del
regista, il quasi ottantenne Andrei Konchalosky
che, dopo aver ottenuto un Leone dargento nelledizione veneziana del 2014 (link), può ora puntare al massimo premio. Paradise
non è un film facile, anzi è dichiaratamente disameno non solo per la scelta
del tema tutto incentrato sullOlocausto ma per le scelte drammaturgiche e
stilistiche. A cominciare dal rigoroso bianco e nero, dal formato 4:3 che,
chiudendo linquadratura, rimanda alle pellicole del passato e forse cita
esplicitamente la pietra miliare posta nel genere da Il figlio di Saul, fino ai
traballanti cambi di luce. Ma ciò che più spiazza e forse irrita un pubblico non
disposto alla massima attenzione è il montaggio della vicenda, tripartita nella
testimonianza diretta dei tre protagonisti.
Una scena del film Bisogna
aver voglia di capire per “entrare” in questo film il cui fascino sta proprio nellapparente
disconnessione narrativa. E soprattutto bisogna “tenere” fino alla fine per
capire non tanto chi sono i tre personaggi così asettici dinanzi alla macchina
da presa. Stanno rendendo una confessione, o meglio narrando il proprio punto
di vista nella vicenda che li riguarda. Sono: un ufficiale di polizia francese
che ha arrestato, restandone poi sedotto, unaffascinante contessa russa che
tenta di salvare alcuni bambini ebrei; la medesima contessa arrestata e poi
portata in un campo di sterminio; qui reincontrerà un ufficiale tedesco di
nobilissima ascendenza e di totale cecità che crede fino in fondo al paradiso
promesso dal Führer. I due si erano
conosciuti anni prima, in Toscana, quando gli happy few della nobiltà cosmopolita trascinavano la loro agiatissima
vita spensierata, ed erano stati fugacissimi amanti. Il loro incontro nel campo
nazista riaccende nellufficiale una fiamma in realtà mai sopita mentre per la
contessa è loccasione per un trattamento meno disperato che nelle baracche,
anche se forse altrettanto avvilente. Ma a chi stanno rendendo questa
testimonianza? dove sono? sono insieme? dinanzi a loro cè un tribunale? Solo
alla fine capiremo che sono dinanzi ad un giudice supremo perché sono morti,
non sono sfuggiti a quellinferno di cui lei è stata una vittima, il
funzionario francese un mediocre e vile fiancheggiatore e il nobile tedesco un
colpevole e cieco fautore. Quindi stanno rendendo conto a Dio o forse si
rivolgono direttamente a noi spettatori e alla nostra coscienza, cercando di
scuoterla con le loro ragioni (in unimpostazione brechtiana di impegno allascolto
critico)? E noi, in platea, cosa dobbiamo dire a questi fantasmi?
Una scena del film
Prendendosi
qualche rischio Konchalosky tratta il tema dellOlocausto con assoluta
freddezza, con una distanziazione che, ben lontana dallindifferenza, chiama in
causa una profonda conoscenza personale letteraria e cinematografica. La
ricostruzione dellambiente familiare piccolo borghese del funzionario parigino
o il nitore calligrafico della luce toscana o la minacciosa protervia del
comandante corrotto del campo disegnano, come nei grandi romanzi
dellOttocento, quellumanità incosciente o comunque impotente ad opporsi al
destino che si fa inevitabilmente complice di chi quel destino costruisce. Non
ci sono assoluzioni comunque, anche se trapela ancora, brechtianamente e irrealisticamente, lauspicio
di un mondo in cui non ci sia bisogno di eroi.
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