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Oltre la fine del mondo

di Luigi Nepi
  The Bad Batch
Data di pubblicazione su web 16/09/2016  

Nel 2014 A Girl Walks Home Alone at Night è stato una specie di lampo nel buio: una storia al femminile di vampire in skateboard, con cadenze western, ambientata in una cittadina “middle-east” persa nel deserto di un futuro distopico, dove si parla il farsi e i fossati sono pieni di cadaveri; il tutto girato in un bianco e nero carico di contrasti e sfumature che inevitabilmente rimanda a The Addiction di Abel Ferrara. Questo è stato il folgorante esordio nel lungometraggio della giovane regista di origini iraniane Ana Lily Amirpour: un film che è diventato subito un cult, grazie anche al suo ritmo da ballata metal, lento e ipnotico con riff improvvisi e violenti, e alla sua forte caratterizzazione stilistica già autoriale. Un’opera che ha generato molte aspettative e che ha aperto (con merito) a The Bad Batch la strada del concorso principale alla 73a Mostra del Cinema di Venezia.

Una scena del film
Una scena del film

Siamo di nuovo in un futuro molto prossimo e distopico, in cui gli “indesiderati” alla società vengono condannati ad essere rinchiusi in un enorme recinto (il “lotto cattivo” del titolo) che circonda un deserto texano, all’interno del quale non vigono più le leggi degli Stati Uniti d’America, ma solo quelle della sopravvivenza, e dove ognuno è “libero” di fare ciò che vuole. In questo deserto viene condotta Arlen (Suki Waterhouse), una “cattiva ragazza” come tante, che subito viene catturata da una comunità di culturisti cannibali che la incatena e le amputa l’avambraccio e parte della gamba destri. Lei riesce comunque a scappare scivolando di schiena su uno skateboard, quando trova un vecchio eremita (Jim Carrey, irriconoscibile) che, vagando per il deserto con un carrello del supermercato, la porta alla comunità di Comfort, dove viene curata e le viene applicata una protesi alla gamba. Da qui partirà la sua vendetta che la porterà a rapire la figlia del capo dei cannibali (Jason Momoa). Ma tutto si complica anche perché l’apparentemente pacifica comunità di Comfort svela i suoi lati oscuri, legati soprattutto alla figura del suo capo, “Il Sogno”, una specie di santone/pusher (un imprevisto Keanu Reeves) che durante dei rave notturni distribuisce in modo blasfemo pillole e cartine di ecstasy (il corpo del “Sogno”, appunto) e vive come unico maschio in una specie di harem dove ingravida le ragazze della comunità.


Una scena del film

Dopo una prima sequenza horror dove accade praticamente di tutto, la Amirpour recupera i suoi ritmi e i suoi tempi dilatati da ballata, che stavolta si fa meno dark e più pop, continuando la sua personale rilettura e commistione di generi in questo freak show dove a Tod Browning unisce il cannibal, il revenge e la commedia romantica. In effetti, nonostante il deserto, l’ambientazione vagamente post apocalittica e le mutilazioni della protagonista, The Bad Batch non ha niente da spartire con l’ultimo Mad Max di George Miller (di cui è più parodia che omaggio; vedi i vecchi scooter di serie e le golf car usati dai personaggi per attraversare il deserto) e neanche con l’adrenalina di Planet Terror e degli altri film di Rodriguez. Il film si avvicina piuttosto alla riflessività teorica dell’ultimo Tarantino, contaminata dall’ironia estetica e filosofica di Harmony Korine, dove i tempi e gli spazi appaiono restringersi o dilatarsi ad uso e consumo dei singoli personaggi. Quella che viene fuori da questa scorza apparentemente “leggera” è un’opera articolata, difficile, tutt’altro che conciliante, che a volte sembra addirittura urlare delle metafore fin troppo evidenti, che però finiscono per scavare nella mente dello spettatore manifestandosi così in tutta la loro complessità, fatta di spiazzamenti, ribaltamenti e stratificazioni di senso, dove niente è davvero come sembra; fino all’ultima, geniale inquadratura in cui viene sublimata un’idea realmente distopica e perversa del concetto di famiglia.

Dalle contraddizioni in bianco e nero della terra delle sue radici il cinema della Amirpour si sposta verso quelle a colori dell’America di oggi, l’America “trumpiana” dei muri e della segregazione del “diverso”, del clandestino, in cui il deserto diviene una specie di enorme convento di maddalene, dove all’eccesso di regole viene sostituita la loro completa assenza, che scatena i più bassi istinti (capitalistici) della natura umana. Una visione quasi profetica, se si pensa che il film è stato scritto due anni fa ed è stato girato lo scorso anno, ben prima che si manifestassero quelle impreviste dinamiche che stanno caratterizzando le prossime elezioni americane.



The Bad Batch
cast cast & credits
 
In concorso

La regista Ana Lily Amirpour
La regista Ana Lily Amirpour




 
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