Il duo argentino presenta, con El ciudadano ilustre, uno dei film più
originali e riusciti di questa edizione veneziana. Cohn e Duprat sono registi e
produttori cinematografici e televisivi passati dalla video-arte e dal cinema
sperimentale ad unintensa attività sia come ideatori di format televisivi che come autori di lungometraggi. Questo “cittadino
illustre” è sicuramente la loro opera più ambiziosa ma anche matura e riuscita.
Affronta seri problemi contemporanei
legati allArgentina e lo fa con la leggerezza di una sapiente ispirazione che
si permette anche più di un tocco umoristico, pur nella serietà dei temi
affrontati: peccato veniale per unaspirazione festivaliera, però grande qualità per una
larga distribuzione che certamente non mancherà. Perché il soggetto è molto
intrigante, il protagonista bravissimo e il divertimento che percorre lintera
opera capace anche di alleggerire il “discorso” dimostrativo. Discorso
dimostrativo che apre il film quando, davanti ad una sbigottita platea nel
palazzo reale di Stoccolma, il celebre scrittore argentino Daniel Mantovani,
chiamato a ritirare il premio Nobel per la letteratura, si lancia in una sempre
più irrimediabile contestazione del premio stesso, che egli considera la pietra
tombale della sua attività artistica che avrebbe voluto destinata a scuotere le
coscienze e non a riscuotere quel plauso trasversale che ne sancisce linutilità.
Ma chi è realmente questo scrittore che ha abbandonato la patria giovanissimo e
non vi ha fatto più ritorno se non con la sua opera, completamente nutrita
delle sue esperienze giovanili, dei personaggi del suo paese natale, delle sue
atmosfere, delle sue frustrazioni? È un brillante intellettuale pienamente
inserito nella vita e nella produzione dellintellighentsia europea di cui
conosce e asseconda i riti pur in un apparente anticonformismo. Tra uno
snobismo e laltro rifiuta prestigiosissimi inviti planetari ma viene catturato dallingenuo invito del sindaco del
paesello natale e, detto fatto, sbarca in incognito in quella terra che non
rivedeva da trentanni.
Una scena del film
E
qui succede quello che doveva succedere, cioè il contrario di quello che lo
scrittore da una parte e i suoi concittadini dallaltra si aspettavano: quello
che voleva essere forse un viaggio interiore si trasforma in una parata e, pian
piano, con un abilissimo crescendo di episodi e un progressivo mutamento di
atmosfera lemozione del nostos e
lorgoglio dei concittadini slittano verso il fastidio reciproco, la timidezza
viene presa per supponenza, il rigore morale applicato alle grandi occasioni
della vita europea si trasforma nelle piccole viltà di connivenze locali. Ogni
offerta diventa occasione di fastidio, ogni piccolo rifiuto viene preso come
uno schiaffo (straordinario lepisodio del figlio del postino che ritiene che
il padre sia il protagonista di un romanzo di Mantovani e ne esige quindi la
presenza in casa, a cena, pena loffesa mortale alla memoria del padre “derubato”
dallo scrittore). Tutto scricchiola; in unabilissima costruzione che vira pian
piano al noir, esplode lodio di chi
è “rimasto a terra”, si esplicita il disprezzo di chi è volato lontano. Per
luno i concittadini sono vittime immutabili di un mondo immobile, per gli
altri lo scrittore altro non è che un presuntuoso traditore e sfruttatore della
vita della sua gente. Non resta che la fuga, sempre più necessaria,
precipitosa. Se ancora possibile. Nel verde sinistro di una ripresa notturna lo
scrittore si gioca la partita della sopravvivenza. Lepilogo chiude la sgomenta
incertezza con un coup de théātre che
riporta il tutto ad unesperienza letteraria, ad una sorta di diabolica
sopravvivenza manipolatrice. Sotto le incalzanti domande di una platea di
giornalisti il cittadino illustre, ridivenuto scrittore, presenta al pubblico
la nuova opera, alla faccia di quei cittadini che sono stati ancora, e sempre,
il sangue del suo vampiristico talento.
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