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Il potere alla parola

di Luigi Nepi
  Arrival
Data di pubblicazione su web 08/09/2016  

Arrivano gli alieni, o forse sarebbe meglio dire “tornano”, perché se c’è un topos che ha attraversato e continua ad attraversare la storia del cinema (fin dai tempi di Méliès) è proprio quello dell’invasione o dell’arrivo o al limite del contatto con creature di altri mondi. Con Arrival Denis Villeneuve ci offre la sua versione. Dopo la presenza in concorso a Cannes nel 2015 con Sicario, ecco che anche Venezia accoglie nel cartellone principale il regista canadese, proprio mentre sta girando uno dei film più “pericolosi” degli ultimi trent’anni: il sequel di Blade Runner.


Una scena del film

Arrival si apre con la storia del rapporto di una donna (Amy Adams) con sua figlia, dal parto alla morte della ragazza per una rara malattia; poche, intense inquadrature che già potrebbero essere un film. Ma è solo l’inizio. La donna è Louis Banks, una linguista che insegna all’università. Proprio prima di una sua lezione arriva la notizia dell’atterraggio, in varie parti del mondo, di dodici oggetti non identificati, altissimi monoliti neri che fluttuano a pochi metri da terra. L’esercito le piomba in casa e la recluta per tradurre i messaggi che le creature stanno mandando da questi monoliti. Insieme a lei c’è Ian Donnelly (Jeremy Renner), un fisico-matematico che dovrebbe occuparsi dell’approccio “scientifico” con gli alieni. I due entrano nell’astronave, si spogliano delle mute spaziali e iniziano a interagire con i due membri dell’equipaggio: due enormi piovre con sette tentacoli che reagiscono positivamente alle sollecitazioni di Louis, ignorando Ian. Mentre il resto del mondo sta impazzendo tra grandi potenze interventiste e popolazioni terrorizzate, i due alieni iniziano a comunicare, scrivendo i loro messaggi in uno strano alfabeto circolare. Ben presto ci si accorge che la storia procede su più binari temporali e più il tempo stringe intorno al lavoro di Louis, più in lei diventa chiara la percezione di un passato (forse) e di un futuro (forse), che diventano la soluzione dell’enigma.


Tantissime sono le suggestioni contenute in Arrival: dal monolite nero e le “luccicanze” di Kubrick agli alieni “buoni” di Spielberg, passando per il Prometheus di Scott e il Solaris di Tarkovskij, fino ad arrivare alle pieghe temporali di Interstellar, risolte semplicemente con il cinema, senza bisogno di complicate spiegazioni scientifiche. Sebbene non sia privo di difetti (su tutti gli alieni-piovra, ennesima dimostrazione dell’impossibilità di immaginare entità davvero “diverse”) e di cliché (le sostanze sconosciute contenute nell’astronave, i cinesi cattivi, Forrest Whitaker colonnello dell’esercito), il film avvolge lo spettatore nella sua circolarità (si apre e si chiude con la stessa inquadratura), trasportandolo all’interno di più storie che appoggiano tutte sulla minuta figura di una grande Amy Adams.


Una scena del film

La novità di Arrival è che la sua fantascienza non è legata alla fisica e alla matematica ma alla lingua e alla scrittura, dove spazio e tempo sono categorie lineari perché ingabbiate in un pensiero e una comunicazione lineari; cambiare l’approccio comunicativo è cambiare la percezione stessa del tempo e dei suoi “ricordi”. E noi saremmo disposti a vivere una vita che già conosciamo?



Arrival
cast cast & credits
 

In concorso


La locandina

 
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