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Firenze scopre Iolanta,
fiaba simbolista dell置ltimo Cajkovskij


di Riccardo Cenci
  Iolanta
Data di pubblicazione su web 03/05/2016  

Opera dalla drammaturgia peculiare, ingiustamente negletta proprio in quanto lontana dallo stereotipo di un Čajkovskij dedito esclusivamente a un melodismo inquieto e disperato, emotivamente instabile e preda di insanabili tormenti, Iolanta rappresenta un capitolo importante nell’eclettico percorso teatrale del compositore russo. Può sconcertare il fatto che il suo estremo testamento operistico sia una vicenda dal finale consolatorio, apparentemente distante dalla sua abituale temperie emotiva, peraltro ambientata in Provenza e non nella terra natia. Eppure la fiaba della fanciulla cieca, inconsapevole della propria menomazione e oggetto di una miracolosa guarigione, già da tempo aveva destato il suo interesse.

La fonte letteraria sulla quale si basa il libretto confezionato dal fratello Modest proviene da un dramma del danese Henrik Hertz, a sua volta ispirato da un racconto di Andersen. Oggetto di severi giudizi critici sin dalla sua prima comparsa sulle scene, ad un occhio attento Iolanta rivela invece un proprio specifico valore. Chi non ama i caratteri effettistici della musica di Čajkovskij troverà qui squarci di prezioso lirismo, tenui e malinconiche pennellate color pastello, tonalità sfuggenti debitrici nei confronti della musica francese. Siamo in un contesto di raffinatezza vagamente preraffaellita, che anticipa alcuni tratti della poetica elusiva e immateriale del Pelléas di Debussy. L’azione è sostanzialmente statica e atemporale, il percorso dalle tenebre alla luce prettamente simbolico. 

Un momento dello spettacolo ゥ Michele Borzoni
Un momento dello spettacolo 
ゥ Michele Borzoni

Perno dell’azione il misterioso medico Ibn-Hakia, personaggio di grande originalità, astratto e profondamente umano al tempo stesso. Čajkovskij gli conferisce il potere di guarire Iolanta dalla cecità, a condizione che questa dimostri un autentico desiderio di vedere. È dunque una sorta di mago, ma anche un moderno psicologo. Dal punto di vista musicale ricorda alcuni tratti dell’Oberon di Weber, autore molto amato da Čajkovskij. Al confronto più convenzionali appaiono le figure dei due cavalieri, legate a pure esigenze narrative.

L’emergere di qualche manierismo non inficia comunque il valore complessivo di una scrittura elegante e curata in ogni dettaglio. Il grande duetto in cui Vaudémont rivela a Iolanta le bellezze del creato, vero climax dell’opera, è frutto della migliore ispirazione del compositore russo, il quale si mostra perfettamente a proprio agio nelle ambientazioni decadenti della vicenda. Una certa estraneità traspare semmai nei toni trionfalistici della trasfigurazione conclusiva; evidentemente l’enfasi ottimistica non rientrava pienamente nelle sue corde, più aduse al dramma che alla gioia. Mahler amava molto questa partitura, forse proprio perché adombra i percorsi catartici di tante sue sinfonie.

Un momento dello spettacolo ゥ Michele Borzoni
Un momento dello spettacolo
ゥ Michele Borzoni

Merito del Maggio Musicale Fiorentino aver riproposto un titolo sovente incompreso e di rara circolazione, in un allestimento coprodotto dal Metropolitan di New York insieme al Teatr Wielki di Varsavia. Suggestivo lo spettacolo pensato dal regista Mariusz Treliński, con le scene di Boris Kudlička, aderente ai percorsi psicologici dei protagonisti. La stanza di Iolanta è una sorta di microcosmo nel quale la fanciulla vive segregata e separata dal mondo esterno. La sua unica parete è ornata da trofei di caccia, mentre il giardino che la circonda appare come una sorta di bosco incantato nel quale alberi sospesi a mezz’aria mostrano le proprie radici, mentre un cielo plumbeo è agitato da nubi minacciose. Come una bella addormentata, che il padre vuole mantenere in una sorta di perenne innocenza, ella attende di essere destata da un cavaliere che infrangerà ogni divieto per averla. Durante la bella introduzione, tutta giocata sugli impasti timbrici dei fiati, le video proiezioni animano il bosco di cerbiatti guizzanti. Uno di questi cade abbattuto dalle armi dei cacciatori, e sembra richiamare la fragile esistenza della protagonista. Il regista sottrae a volte la vicenda alle atmosfere simboliste che le sono proprie. Trasforma ad esempio le amiche Laure e Brigitte in dispettose cameriere, le quali non disdegnano atteggiamenti irriverenti verso la loro indifesa e inconsapevole padrona, il tutto sempre con misura, senza far scadere la narrazione in buffonerie da operetta. Alla fine la natura riprende prepotentemente i propri diritti, gli alberi affondano di nuovo le radici nel terreno, mentre fasci di luce dal sapore cinematografico illuminano l’apoteosi conclusiva.

Sostanzialmente buona l’esecuzione musicale. Stanislav Kochanovsky dirige in maniera nitida ed elegante, distillando sapientemente i colori della tavolozza orchestrale. Victoria Yastrebova tratteggia con toccante sensibilità il personaggio di Iolanta, i fremiti emotivi di una fanciulla dapprima esclusa dalla realtà, in seguito consapevole del proprio stato e desiderosa di ottenere la guarigione. Ottimo Elchin Azizov nel ruolo di Ibn-Hakia, il medico mauritano che riesce nell’arduo compito di sanare la protagonista; efficace nella sua aria, uno dei punti forti dell’opera in cui Čajkovskij, lungi dallo scadere in un orientalismo di maniera, riesce a evocare con efficacia il dualismo fra corpo e anima.

Bravo anche Ilya Bannik nei panni del re, particolarmente commovente nell’aria in cui lamenta la cruda sorte della figlia, anche se la divisa nera che il costumista ha confezionato per lui lo fa somigliare più a un gerarca nazista che a un padre amorevole. Vsevolod Grivnov (Vaudémont) ha impeto e buona volontà, ma il timbro è ingrato e la voce sovente fissa nell’acuto. Anche il Robert di Mikołaj Zalasiński mostra una linea vocale ampia ma molto instabile e difficilmente governabile. Buone nel complesso le parti di contorno.


Iolanta
Opera in un atto


cast cast & credits
 
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