È stato assai produttivo vedere
questo splendido assolo in due occasioni sceniche diverse, ancorché nel tempo ravvicinate.
La prima al Vascello di Roma, la seconda al Franco Parenti di Milano. Nelluna un
più ampio spazio scenico, dominato da specchi, coperti da sottili veli bianchi che
via via vengono rimossi, avvolge a distanza Sonia Bergamasco e a suo modo la
incornicia, offrendole un consistente margine di
movimento. Nellaltra lattrice è come stretta, dunque maggiormente avvolta dagli
specchi, che tuttavia, disposti a causa dello spazio
ridotto in maniera almeno in parte diversa
dallallestimento romano, offrono una ancor più suggestiva articolazione
dei riflessi e delle moltiplicazioni dellattrice e
dei personaggi che interpreta.
Un momento dello spettacolo © Fabio Gatto Se la Bergamasco era stata
bravissima a Roma, a Milano è stata fantastica interprete di cinque mirabolanti
personaggi, come se lo spazio scenico meno arioso, e che conserva la forma di
una mise-en-espace, le permettesse di
esaltare le sue strepitose virtù, sempre più educate
e raffinate da dallesperienza e, ancor più, da
unapplicazione e una ricerca di rinnovato rigore. La sua voce, da sempre modulata
anche grazie alleducazione musicale, trova in questa azione scenica un
ulteriore motivo di espressione e di sperimentazione. Lidea di partenza è
stata quella di adattare, dirigere e interpretare un magnifico racconto – racconto
lungo, non romanzo! – di Irène Némirovski,
Il ballo, scritto nel 1928, nel pieno
momento creativo di una grande scrittrice, dal tragico e prematuro destino. Un racconto che contiene vari
elementi di teatralità e un raggelante quanto fulminante coup de théâtre finale. La teatralità
è insita nel disegno dei personaggi, a partire dalla madre matrigna, Rosine, e dal
di lei marito, entrambi parvenu dal
passato diversamente scabroso, entrati a far parte del gran
circo della ricchezza parigina. Ci sono poi la
buffa educatrice inglese, Miss Betty, e la figlia dei
due coniugi, Antoinette, che a sua volta orchestra un inganno, con una elaborata macchinazione, ai danni della madre.
Infine cè Isabelle, insegnante di pianoforte
della ragazzina quattordicenne e cugina del padre, finta e subdola.
Un momento dello spettacolo © Fabio Gatto
Nel racconto i cinque personaggi li immagino visivamente come dei bozzetti
dartista, ma a mo di disegni caricaturali. Nel suo allestimento la Bergamasco ha scelto di dare,
grazie agli specchi, dei riflessi delle loro possibili immagini fisiognomiche e
caratteriali – con particolare riguardo alla figura di Rosine, del resto
centrale nella storia con echi visuali che vanno dal Narciso caravaggesco alle
figure “da
lolita” di Balthus, fino
a potervi vedere echi dei ritratti a lume di notte. E nei complessi e
articolati, sapienti giochi di luce di Cesare
Accetta risiede un motivo non secondario della notevole riuscita dello
spettacolo.
Nellimpersonare-interpretare
questi personaggi lattrice sfoggia
unimpressionante varietà di voci, di sfumature di toni e timbri che permettono
allo spettatore non solo di individuarli e riconoscerli bene anche senza aver letto il racconto, ma anche di individuarne
caratteri e temperamenti. Il padre, ad esempio, è restituito con una voce quasi
rauca, grossolana, da arricchito (come certi miliardari delle commedie
classiche hollywoodiane); la madre ha spesso pose e voce da gran dama, quasi fosse
una diva (in sedicesimo) dantan, che
pare scimmiottare un modello “à la
Swanson” in Viale del tramonto. Antoinette passa da una voce puerile e un po
bizzosa a quella, irritata, di chi, essendo stata esclusa malignamente da una
grande occasione, si è vendicata con sistematica crudeltà; leducatrice ha il registro di una sciocca figurina cinguettante;
Isabelle, lunica che si presenterà al gran ballo, quello della infingarda, sarcastica pettegola.
Un momento dello spettacolo
© Fabio Gatto
Latmosfera costante è di tipo
fantasmatico e si potrebbe pensare che nellideare questo suo spettacolo la Bergamasco
abbia tenuto un po conto anche di un romanzo quale Il giro di vite di Henry
James, oggetto di una sua bella audio-lettura. Tutto appare trasognato e
prima che lo spettacolo inizi, mentre gli spettatori prendono posto, lattrice attende mollemente adagiata su una dormeuse. In un “brano” che precede il finale, la sua figura procede dal fondo del palcoscenico con il volto e il busto coperti da un
velo, involontaria (credo) quanto affascinante evocazione di una posa di Lyda Borelli in Rapsodia satanica.
Gli specchi, si diceva: da sempre
evocazione della bellezza che si contempla e si compiace di sé ma anche metafora della vanitas,
memento mori fra i più frequentati
dalla pittura. E la vanitas è il gran
tema del racconto, così come nel film di
ambiente teatrale La sera della prima di Cassavetes, che indaga il ruolo e la funzione attoriale. Sonia Bergamasco, a partire da queste sue ideazioni, svolge
una sempre rinnovata indagine di elevato spessore, accolto e premiato da un
tripudio di applausi.
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