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Intervista a Cristina Bozzolini

di Gabriella Gori
  Cristina Bozzolini
Data di pubblicazione su web 08/03/2016  

Pubblichiamo l’intervista, a cura di Gabriella Gori, a Cristina Bozzolini, direttrice della Scuola del Balletto di Toscana, dello Junior Balletto di Toscana e dell’Aterballetto.

È sempre un’emozione incontrare grandi personalità specie se, a dispetto del loro carisma, condensano in poche parole il loro credo artistico: «Non si può fare danza rinunciando alla danza». Questa la lapidaria affermazione di Cristina Bozzolini che ribadisce l’importanza di non perdere mai di vista l’essenza stessa dell’arte coreutica. Un’identità non derogabile e non confondibile con altre forme di espressività cinetica.    

Figura storica della danza fiorentina e italiana, Cristina Bozzolini è stata prima ballerina del Corpo di Ballo del Maggio Musicale Fiorentino e vanta una carriera di successi personali a fianco di partner del calibro di Rudolf Nureyev, Michail Barysnikov, Amedeo Amodio. Successi a cui fanno eco le soddisfazioni di esperta didatta nella Scuola del Balletto di Toscana, di volitiva fondatrice del Balletto di Toscana prima e dello Junior Balletto di Toscana poi, e di energica direttrice dell’Aterballetto di Reggio Emilia.

Un sommarsi di ruoli che rendono unico il suo essere e vivere per la danza con l’intensità e la caparbietà di chi ha da dire la sua, è aperto al confronto, non teme critiche e guarda dritto davanti a sé.         

Cristina, quale è stata la sua reazione alla notizia della chiusura di MaggioDanza a fine agosto 2015?

Ho provato un vero dolore perché nel lontano 1966, l’anno dell’alluvione, noi ballerini, che lavoravamo solo cinque o sei mesi l’anno, riuscimmo con un concorso a diventare stabili e a far nascere un corpo di ballo che prima non esisteva. Addirittura sotto la direzione artistica di Evgheni Polyakov si riteneva che il corpo di ballo di Firenze fosse migliore di quello della Scala. E per un periodo è stato davvero il migliore in Italia. Al dispiacere si somma l’amara consapevolezza di aver lottato per una cosa che non esiste più e trovo inaccettabile che Firenze, la mia Firenze, non abbia un corpo di ballo. È una contraddizione rispetto al peso culturale e artistico della città, ma nutro la speranza che prima o poi qualcuno possa ritrovare il desiderio e la volontà di ricostituirlo.

Quali sono stati secondo Lei i motivi che hanno portato a questo epilogo? 

Dalla fine degli anni Sessanta, quando siano diventati stabili, a tutti gli anni Ottanta è stato un crescendo e al Comunale lavoravano i più gradi nomi. Penso soprattutto al periodo in cui era sovrintendente Massimo Bogiankino, una persona unica per il suo amore in egual misura per la musica, la lirica, la danza, e sono felice di essere stata tanti anni con lui. È chiaro che nel tempo sono stati fatti degli errori ma ritengo che la crisi vera sia venuta dopo e gli errori siano stati fatti prima. Forse anche nei momenti d’oro ci voleva più attenzione, più lungimiranza, non pretendere troppo e non dare tutto per scontato anche da parte delle maestranze, dei sovrintendenti, degli artisti. Neppure i sindacati si sono interrogati sulla questione. A mio avviso si è perso di vista la progettualità del teatro, concentrandosi solo sul presente senza chiedersi come sarebbe stato il futuro. Lo stesso gruppo dirigente non ha considerato questo aspetto e poi, senza far polemica, bisognava domandarsi se tanti privilegi, da un punto di vista economico, potevano essere mantenuti. Comunque al di là di tutto il teatro è importante e per me bisogna continuare a ritenerlo lo specchio di una società civile e riconoscere alla danza il posto che le spetta.

Volendo riconoscere alla danza il posto che le spetta, quali sono gli obiettivi della Scuola del Balletto di Toscana?

Quello che contraddistingue la mia scuola è la possibilità di formarsi fin da piccoli attraverso lo studio della danza. La selezione per la professione avviene più tardi, quando si prospettano le potenzialità individuali, e non riguarda i bambini. Tutti devono provare il piacere e il gusto di ballare perché studiare danza è formativo anche per chi non farà o non vorrà diventare ballerino. Altra cosa speciale, non solo rispetto alle scuole italiane ma anche straniere, è l’identica preparazione rivolta alla formazione di danzatori classici e contemporanei. Gli allievi studiano sia il classico che il contemporaneo in quanto oggi è necessario essere preparati in entrambe le discipline e questo indipendentemente dalla successiva specializzazione classica o contemporanea. I più grandi esempi di questa versatilità sono l’Opera di Parigi e il Royal Ballet che una sera presentano il repertorio con il Lago dei cigni e la sera dopo un lavoro contemporaneo di McGregor. È sempre stato il mio sogno e dal 2000 l’ho potuto realizzare. La duplice formazione che dà la Scuola del Balletto di Toscana è unica. A Rotterdam c’è la più importante scuola di contemporaneo ma studiano il classico in modo superficiale; lo stesso dicasi per Cannes e Montecarlo dove si verifica l’inverso, privilegiano il classico a discapito del contemporaneo. No, nella mia scuola l’attenzione è duplice e questa credo sia una caratteristica non da poco. 

E lo Junior Balletto di Toscana?

L’idea di creare una compagnia con le caratteristiche dello Junior risale all’83 quando smisi di ballare ma i tempi non erano maturi. Poi nel lasso di tempo intercorso tra la chiusura del  Balletto di Toscana nel 2000 e l’inizio della co-direzione artistica del Balletto di Roma nel 2002, ho deciso di far vivere ai miei allievi un’esperienza straordinaria e professionale unendo lo studio della sala alla verifica su palcoscenico con coreografi veri. Il caso ha voluto che mentre perseguivo questo progetto, il mercato ha cominciato a richiedere ballerini sempre più pronti e con esperienza di palcoscenico alle spalle. Una domanda di direttori e coreografi a cui bisognava dare una risposta adeguata. Ai miei tempi o di mia figlia Sveva volevano tutti danzatori giovanissimi,; io ad esempio ho iniziato a quindici anni, ora invece vanno bene anche i diciottenni, meglio se hanno venti, ventuno e ventidue anni perché sono ritenuti più maturi e più preparati.

Ma non è un controsenso pretendere esperienza da ballerini in pectore se non è data loro l’opportunità di farsela sul campo? 

È il paradosso odierno della danza. Come e dove è possibile farsi l’esperienza se non ti prendono a ballare? Lo Junior, formato da elementi della Scuola del Balletto di Toscana, serve a maturare quell’esperienza e a poterla scrivere nel curriculum. Questo consente di essere accettati alle audizioni e al tempo stesso offre quel periodo di tirocinio artistico che viene richiesto nel momento in cui si vuol intraprendere la professione. In buona sostanza lo Junior si comporta come una compagnia stabile seguendo quella che è ormai una consolidata prassi europea. I Rencontres Internationals de Jeunes Ballet di Cannes, a cui abbiamo partecipato a febbraio dello scorso anno insieme al Ballet Junior di Ginevra, al Ballet Junior di Monaco e al Cannes Jeune Ballet, sono nati propri con lo scopo di creare occasioni professionalizzanti nei teatri e con coreografi di mestiere.

Che tipo di programmazione è quella dello Junior? 

Lo Junior esiste da dodici anni e all’inizio proponeva serate miste di coreografi diversi e per tanti anni questo tipo di programmazione ha funzionato bene, forse anche grazie al nome del Balletto di Toscana che ha aperto la strada. Negli ultimi cinque anni ho cominciato a guardare al balletto “a serata intera” perché, oltre a vendersi meglio in quanto attira più facilmente gli operatori e il pubblico, ritengo che sia culturalmente più formativo. Con titoli come Coppelia di Fabrizio Monteverde, Giselle di Eugenio Scigliano, Romeo e Giulietta di Davide Bombana, i danzatori dello Junior sono stati obbligati a conoscere gli stessi balletti in altre versioni, comprese quelle originali, e hanno approfondito la loro cultura di danza e affinato le loro doti interpretative. Non escludo in futuro di dare spazio a coreografi contemporanei per dei piccoli pezzi ricreando delle serate miste. Questa formula permette ad autori di talento di lavorare con persone preparate. Spesso a mancare non sono i bravi coreografi ma i bravi ballerini. La danza contemporanea sta nascendo di qua e di là ma delle volte difetta la materia prima, ovvero interpreti capaci.

E di Aterballetto, la compagnia ammiraglia, che mi dice? 

Dirigo l’Aterballetto dal febbraio 2008 e credo che col passare del tempo e l’evolversi delle situazioni bisognerebbe reinventare alcune parole per esprimere meglio quello che stiamo facendo. Fino a poco tempo fa parlavo di Aterballetto come di una compagnia di balletto contemporaneo ma mi fecero notare che, portando in scena creazioni di Cristina Rizzo e Roberto Di Stefano, facevo anche danza contemporanea. L’osservazione mi spinse a riflettere e a cambiare l’intestazione in compagnia di balletto e danza contemporanea in modo da comprendere nel repertorio produzioni sulle punte e sulle mezze punte. Le punte mi piacciono molto, soprattutto se adoperate in modo non classico; e come apprezzo la ricerca contemporanea di Rizzo e Di Stefano, altrettanto mi stimola quella sulle punte. Stilisticamente Aterballetto è un organico composto da ballerini di formazione classica ma mentalmente e tecnicamente capaci di fare il contemporaneo. È l’unione di questi due stili che mi permette di realizzare quella che è sempre stata la mia idea di compagnia. Amo la danza e la bella danza. Mi va bene anche la brutta danza, quella non conforme ai canoni estetici di riferimento, ma deve comunque esprimere qualcosa di interessante e avere una sua coerenza, altrimenti non mi interessa. Azzardare, provocare, stupire, è stimolante ma non devono mai mancare la danza e l’emozione.  

Quale tipo di danza contemporanea predilige?

Non quella troppo astratta o troppo cerebrale. Anche nella danza contemporanea è necessario capire il senso e cogliere la trasmissione di emozioni e messaggi. Sono molto aperta alle novità ma su certe cose non transigo e anzi se ho una paura in questo momento è che la danza vera possa sfuggire di mano. Non si può fare danza rinunciando alla danza. Questo è il mio parere e credo di essere nel giusto a guardare i risultati e i consensi che Aterballetto ottiene dovunque si presenti in Italia e all’estero. 

Quali sono i programmi della compagnia? 

Il 23 marzo debuttiamo al Teatro Comunale di Modena con la prima assoluta di Bliss, un balletto molto raffinato di Johan Inger su musica di Keith Jarrett. Inger ha già realizzato per noi Rain dogs e la sua presenza sarà un’occasione di crescita. In questo 2016 continuiamo a presentare in Italia, e in particolare in Germania, le ultime produzioni Lego di Spota e Antitesi di Andonis Foniadakis, unite alle riprese di pezzi di Forsythe, Inger, Di Stefano, Rizzo, Scigliano, Kylián, e di alcuni nostri ballerini che si stanno lanciando nella coreografia come Philippe Kratz.  Quest’ultimo con L’eco dell’acqua ha avuto grande successo a Roma all’Auditorim. Poi Jiri Pokorny, un artista che proviene dal Nederlands Dans Theater, creerà per la compagnia e lo stesso farà Cristina Morganti, una ballerina di Pina Bausch che firmerà un lavoro per Aterballetto ma non sarà teatrodanza. Nel 2017 è prevista una nuova creazione del coreografo Hofer Shechter e un balletto a serata intera, a cui tengo molto ma di cui è prematuro parlare.  

Nella direzione artistica cosa è cambiato da quando Lei ha preso il posto di Mauro Bigonzetti?

Quando sono subentrata a Mauro non è stato semplice cambiare le linee guida e per non sconvolgere troppo l’impostazione di una cosiddetta compagnia d’autore si continuavano a interpretare coreografie di Bigonzetti, rimasto coreografo principale dell’Aterballetto fino al 2012. Da tre anni abbiamo iniziato a mettere insieme un repertorio nuovo e con questo affrontiamo le tournées in Italia e all’estero.

A proposito di Bigonzetti che dire della sua nomina a direttore del Corpo di Ballo della  Scala?

Ne sono stata molto contenta. La sua Cenerentola è piaciuta tantissimo e quando si vociferava di questa possibilità gli ho consigliato di accettare. Lo ritengo un direttore capace e un bravo coreografo. L’ho sempre stimato e continuo a stimarlo. È un italiano alla Scala e anche se non sarà un compito facile, penso debba provarci. Ha una grandissima esperienza, ha lavorato con i più grandi corpi di ballo e nei più importanti teatri nel mondo, questa nomina arriva al momento giusto. E poi sono stata la prima a commissionargli un balletto nel 1991. Si intitolava Sei in movimento e nacque per un piccolo festival di giovani autori vicino a Firenze. In virtù di tutto questo non posso che augurargli un sincero e sentito in bocca al lupo.



 





 
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