Negli
ultimi anni alla Scala lopera barocca è divenuta un appuntamento ricorrente. È
una novità delle ultime dieci stagioni, da quando cioè sono state riportate in
scena le tre opere superstiti di Monteverdi
(LOrfeo nel 2009, Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011,
Lincoronazione di Poppea nel 2015),
e prima e insieme a queste hanno fatto capolino qui e lì anche alcune opere di Händel (Rinaldo nel 2005, Alcina
nel 2009). A un anno di distanza dallultimo Monteverdi, torna adesso Händel
con una versione scenica del Trionfo del
Tempo e del Disinganno, loratorio che il compositore scrisse a Roma nel
1707. Rispetto
allinteresse sempre più ampio verso il teatro musicale sei-settecentesco che
caratterizza i principali teatri europei (e non solo negli ultimi dieci anni),
le scelte barocche della Scala possono sembrare piccola cosa: in effetti, basta
scorrere le stagioni dei teatri di Monaco, Berlino, Parigi, Londra o Barcellona
per trovare situazioni a volte molto diverse per quanto concerne la presenza di
opera barocca (e, va detto, non solo di Monteverdi e Händel). Nel contesto
italiano, però, la Scala è forse lunico dei grandi teatri ad avere con una
qualche regolarità queste opere nella sua programmazione. Se escludiamo La
Fenice di Venezia e il San Carlo di Napoli, che per gli spettacoli
“particolari” hanno a disposizione gli spazi rispettivamente del Teatro Malibran
e del teatrino di corte di Palazzo Reale, nessuno degli altri grandi teatri ha
ospitato con la stessa frequenza della Scala opera barocca.
Un momento dello spettacolo İMarco Brescia & Rudy Amisano La
difficoltà è sempre quella di riempire sale come quella del Piermarini o del
Costanzi e simili offrendo un repertorio (ancora?) poco frequentato dal grande
pubblico della lirica; è quindi comprensibile che, specie di questi tempi, le
necessità del botteghino facciano sentire la propria influenza sulle
programmazioni. È però altrettanto comprensibile, e aggiungo lodevole, che si
provi a porre le basi per creare un pubblico con una familiarità diversa con
opere che da noi rimangono per i più un territorio ancora pochissimo esplorato.
Del nuovo corso barocco della Scala si colgono alcuni indizi incoraggianti: per
questo Trionfo del Tempo e del Disinganno
debutta una “nuova” compagine orchestrale, quella che in locandina è indicata
come lĞOrchestra del Teatro alla Scala su strumenti storiciğ, segno che si
intende (per fortuna) perseverare sulla strada intrapresa. LAllestimento
del Trionfo del Tempo e del Disinganno
è stato prodotto dallOpernhaus di Zurigo negli anni di Alexander Pereira (proposto la prima volta nella stagione
2002-2003, con Cecilia Bartoli nel
ruolo del Piacere), e arriva alla Scala passando dalla Staatsoper Unter den
Linden di Berlino, dove è stato presentato nel 2014 entrando poi subito nel
repertorio del teatro (di cui Jürgen
Flimm, uno dei due registi, è il sovrintendente). Lo spettacolo ha
unorigine avventurosa che merita di essere raccontata: unimprovvisa
indisposizione di Nikolaus Harnoncourt
lascia Zurigo senza un direttore per la prevista Alcina (di Händel) con la Bartoli e la regia di Flimm; il nuovo
direttore Marc Minkowski non accetta
di dirigere lopera, e propone al suo posto Il
Trionfo del Tempo e del Disinganno (che la celebre mezzosoprano romana aveva
già cantato, e lui già diretto). Si giunge così a questa scelta sorprendente
per un teatro dopera: i registi Jürgen
Flimm e Gudrun Hartmann si trovano a dover allestire non unAlcina, ma uno spettacolo di oltre due
ore (tanto dura loratorio) con solo quattro personaggi, per giunta allegorici,
e senza una vera e propria vicenda (la “storia” ruota intorno ai tentativi,
alla fine vittoriosi, del Tempo e del Disinganno di convincere la Bellezza ad
abbandonare le false lusinghe del Piacere, e a votarsi al bene durevole della
verità celeste). La sfida riesce, e lo spettacolo è molto ben accolto nelle città
in cui finora è stato messo in scena, Milano compresa.
Un momento dello spettacolo İMarco Brescia & Rudy Amisano Che
cosa portano in scena Flimm e Hartmann? Come si legge nelle note di regia di Ronny Dietrich (drammaturgia), tutto lo
spettacolo si svolge in un unico spazio: una citazione della Coupole, una
famosa brasserie alla moda della
Parigi degli anni Trenta (scene di Erich
Wonder). La Bellezza è una giovane signora platinata del bel mondo, che per
abbigliamento e acconciatura ricorda Jean
Harlow (costumi di Florence von
Gerkan); intorno a lei si muove un folto gruppo di comparse e ballerini, i
frequentatori-tipo del locale negli anni doro. Tra questi si trovano anche il Piacere,
il Disinganno e il Tempo che in vari modi si danno da fare intorno a Bellezza,
per tentare di conquistarla, come immaginiamo gli avventori della Coupole
avrebbero fatto con una Jean Harlow improvvidamente sola. Si
susseguono così le arie, e con esse le diverse manovre di seduzione, mentre sullo
sfondo prosegue la serata parigina: nella brasserie
fanno il loro ingresso persone eleganti, marinai in libera uscita, uomini
intabarrati, ballerine scosciate da night
club, etc., tutti affaccendati in varie attività intorno alla “vicenda”
principale. Tra le innumerevoli entrées
alcune citano lepoca e il contesto della prima esecuzione delloratorio: nella
prima parte arrivano in scena un violinista e un organista in costume
settecentesco (citazione questultimo di una famosa caricatura di Händel) a
eseguire la Sonata offerta alla Bellezza dal Piacere; nella seconda compaiono un
gruppo di monache e poi due chierichetti tutti in abiti di scena barocchi.
Allinizio la sovrapposizione tra lazione di sfondo e la vicenda cantata
sembra casuale. Si capisce presto, però, che i registi costruiscono lo
spettacolo sui contrasti e le convergenze tra piano visivo e musicale-narrativo
che sembrano ancor più sorprendenti proprio perché allapparenza fortuiti, generati
come sono dal “caotico” andirivieni della varia umanità di un locale alla moda
nella Parigi tra le due guerre. Non tutto è sempre chiaro,
non tutto immediatamente leggibile, non tutto sempre convincente, ma Flimm e
Hartmann fanno in modo che la scena non sia solo un accessorio della musica. Nel
suo svolgersi la “storia” vede i personaggi sempre più come protagonisti
dellazione, non solo in rapporto a qualcosa che accade alle loro spalle e/o
loro malgrado: nella seconda parte, infatti, gli avventori lentamente si
diradano, e la vittoria del Tempo e del Disinganno sul Piacere si svolge in un
locale dove pochi camerieri fanno, significativamente, le pulizie di fine
serata. Ed è proprio nella conclusione che la regia di Flimm e Hartmann gioca la
sua carta vincente. La rinuncia della Bellezza al Piacere mondano è rappresentata
come una cerimonia di monacazione: la Bellezza/Jean Harlow castiga il suo corpo
sotto un abito da novizia e prega ormai sola e col volto a terra. Così, il
lieto fine delloratorio diviene per i due registi lo spunto per svelare un
aspetto inquietante e tristemente dattualità di questa allegoria
controriformistica: limpossibilità di trovare una onesta mediazione alla
radicalizzazione del conflitto tra un piacere sconsiderato e il più lugubre fanatismo
religioso. Nella loro lettura Il Trionfo
del Tempo e del Disinganno promette un futuro tuttaltro che rassicurante.
Un momento dello spettacolo İMarco Brescia & Rudy Amisano Per
quanto riguarda la parte musicale lesecuzione è stata nel complesso di buon
livello. Diego Fasolis è un esperto
di questo repertorio e la sua direzione ha regalato momenti di grande intensità
come nellaria del Piacere Lascia la
spina o, ancor di più, nella commovente scena conclusiva delloratorio,
tutta condotta su dinamiche rarefatte e su un fraseggio ansimante. Tuttavia, la
concertazione ha avuto non lievi difficoltà. Evidenti sono stati i problemi di
intonazione dei violini del concertino nella Sonata dapertura, così come nei
passaggi virtuosistici di cui la partitura händeliana abbonda. Sarei stato
tentato di attribuire questi difetti alla giovane orchestra barocca della
Scala, lunica accreditata nella locandina, se nel programma di sala non avessi
letto che tra le prime parti cerano anche membri dei Barocchisti (lensemble della Radiotelevisione svizzera
fondato e diretto dallo stesso Fasolis) che, nei passaggi solistici loro
affidati (specie nel solo dorgano della Sonata della prima parte), non hanno
brillato per precisione. Anche in Italia i tempi delle orchestre barocche semi-amatoriali
sono ormai passati da un pezzo; mi auguro che per le prossime produzioni
sei-settecentesche si possa far di meglio, anche alla Scala. Luci
ed ombre anche per i quattro protagonisti. La prova migliore è stata senza
dubbio quella di Sara Mingardo perfetta
nel ruolo da contraltile del Piacere. La
cantante sfoggia una voce sicura in tutti i registri, dal timbro caldo e omogeneo
e, soprattutto, quella grande varietà di colori e fraseggi che lhanno resa una
delle interpreti oggi più ricercate nella musica barocca (e non solo). Martina Janková (Bellezza) non ha una
voce altrettanto ricca, ma affronta con piglio sicuro la sua difficile parte, e
la sua scena finale è poi notevole per il suo controllo dei pianissimi anche
nel registro più acuto. Lucia Cirillo
non è invece a suo pieno agio nella tessitura grave del Piacere: la cantante si
impone in arie languide come Lascia la
spina (e strappa qui un meritato applauso a scena aperta), ma non brilla in
quelle che spingono la voce in registri poco grati, come nel caso dellaria di
bravura Come nembo che fugge col vento.
Anche Leonardo Cortellazzi, altrove
ottimo interprete del repertorio barocco (ricordo il suo magistrale Telemaco
nel Ritorno di Ulisse in patria della
Scala nel 2011, vedi recensione link), nel ruolo del Tempo accusa la tessitura grave e i numerosi
passaggi dagilità della parte.
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