Nel
1974 il funambolo francese Philippe Petit riuscì a percorrere più volte la distanza tra le Torri Gemelle del
World Trade Center in bilico su un cavo metallico teso tra i due edifici.
Quella vicenda era già stata portata al cinema dal documentario Man on Wire (2008) di James Marsh, vincitore del premio
Oscar. Ora Robert Zemeckis la
ripropone, ricostruendo la camminata senza laiuto di materiale di repertorio,
utilizzando una tecnologia digitale davanguardia.
Il
film ripercorre gli esordi artistici del protagonista, dallattrazione per il
mondo del circo allannuncio della costruzione dei due edifici speculari
destinati a sovrastare lo skyline di
Manhattan. Interpretato da Joseph
Gordon-Levitt, Petit con lo sguardo in macchina, in piedi sulla statua
della Libertà, introduce lo spettatore nella vicenda. Attraverso una voce over ridondante esalta le sue imprese −
talvolta illegali come la traversata sul filo di Nôtre Dame −, che giustifica
in un elogio dellindividualismo. I primi due terzi del film consistono nella
preparazione della sfida, con una progressione drammatica quasi assente,
cadenzata dai classici slogans del
successo americano: I have a dream e Never give up.
Una scena del film
Dopo
la prima parte parigina, lazione si sposta a New York. Qui il film cambia
registro, virando nei toni del caper
movie. La ricostruzione degli anni Settanta nella Grande Mela è ben
dettagliata, dai costumi alle scenografie, e va menzionata la splendida
ricostruzione del cantiere delle Torri. La realizzazione della coppia di
edifici è esaltata da Zemeckis in un inno alla sfida innovativa e impossibile,
speculare a quella di Petit. Attraverso una serie di simboli la forza
propulsiva americana viene contrapposta dal regista a quella distruttiva dei
terroristi dell11 settembre.
Se
la parte francese del film si adagia su alcune delle più scontate citazioni
cinematografiche sul circo, con Chaplin
e Fellini omaggiati a profusione,
lultima sezione si avvicina al senso di vertigine de La donna che visse due volte di Hitchcock (1958). Con laiuto del 3D e di effetti speciali
raffinatissimi e quasi impercettibili (opera di Andy Antoine), Zemeckis crea una infallibile macchina di suspense, che si vale di carrellate e di
spostamenti vertiginosi della cinepresa.
Una scena del film
La
precedente narrazione, al limite della agiografia, cede il passo a una tensione
palpabile che rende credibile lazione totalmente ricostruita in studio. In
questa parte le invenzioni registiche si sprecano. Alcune sequenze sono le più
surreali viste al cinema negli ultimi tempi: lalba di New York con la nebbia,
la luce mattutina che impregna lo schermo di unatmosfera “sospesa”.
Lillustrazione dei fatti realmente accaduti viene trasfigurata nei modi
incredibili e stupefacenti della sfida ad alta quota. Petit affronta la sua
camminata prendendosi gioco dei poliziotti corsi nel frattempo a impedire il
folle gesto. Il funambolo riesce a canzonare le forze dellordine percorrendo
più volte la fune, sedendosi e sdraiandosi su di essa.
Il
film raggiunge esiti performativi mirabili. Philippe Petit, vestito di scuro,
si staglia nel vuoto nei piani totali, adagiandosi nello spessore dellaria che
sembra inglobarlo. I meriti sono da attribuire anche alla splendida fotografia
di Dariusz Wolski, dai toni
luminosi, e alle musiche atmosferiche di Alan
Silvestri.
Zemeckis,
autore di successi commerciali come la trilogia di Ritorno al futuro (1985-1990) e Chi
ha incastrato Roger Rabbit? (1988), confeziona unopera del tutto
personale, destinata a non incontrare il favore del grande pubblico, ma che
segna tuttavia un significativo passo in avanti nel campo dellinnovazione e
dello sperimentalismo. Il comparto attoriale purtroppo non riesce ad aderire
allaltissimo livello di quello tecnico-registico, compreso Gordon-Levitt,
incapace di esprimere tutta lambiguità del personaggio, puntando su un
istrionismo recitativo energico ma privo di ombre.
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The Walk
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La locandina del film
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