drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Il capitale dello gnomo

di Paolo Patrizi
  Hans Heiling
Data di pubblicazione su web 12/10/2015  

Come Peter Schlemihl, Undine o l’Olandese, il personaggio di Hans Heiling è un archetipo del romanticismo tedesco: ci si appigli alla vulgata di Theodor Körner, alla fonte dei fratelli Grimm o al libretto che il baritono-poeta Philipp Eduard Devrient approntò per la «Romantische Oper in un prologo e tre atti» di Heinrich Marschner (ma il destinatario iniziale era Mendelssohn), questo principe degli gnomi figlio della Regina degli Spiriti e di un uomo in carne e ossa, destinato dalla sorte al reame elfico ma innamorato di una femmina terrena, ha in sé quei germi dell’Io diviso che caratterizzano pure gli altri personaggi leggendari di cui si diceva e, qualche decennio dopo, saranno terreno fertile per la nascente psicanalisi. 

Curioso ma non infondato, dunque, che a Regensburg il bellissimo teatro cittadino (un mix di sfarzo bavarese e grazia mitteleuropea) abbia proposto l’opera di Marschner in una rilettura drammaturgica dove, al centro della vicenda, viene collocato il capitalismo con i suoi meccanismi: inteso come materia di rappresentazione, il capitale – lo ricorda anche Pasolini – offre il destro a una mitologia e veicola pulsioni utilizzate nel teatro più antico; e le sue valenze simbolico-sociali non sono peregrine in rapporto alla vicenda di Hans Heiling, principe ereditario di un mondo sotterraneo dove i sudditi elfi ricavano pietre preziose, in un ideale rapporto padrone-operaio familiare al socialismo romantico tedesco, cui perfino Wagner dovette guardare (se vogliamo attenerci all’analisi di George Bernard Shaw nel suo The Perfect Wagnerite) a proposito della lotta per la conquista dell’oro del Reno. Mentre lo sforzo, da parte di questo Creso degli gnomi, di conquistare il cuore di una donna diventa speculare – nella messinscena qui proposta dal regista Florian Lutz e dalla drammaturga Christina Schmidt – al tentativo d’un capitalista di scendere al livello del proletariato.


Un momento dello spettacolo
© Jochen Quast

Ma, sembrano suggerire gli autori dello spettacolo, nonostante ogni utopia l’amore non porterà al sovvertimento sociale. E se Marschner chiudeva l’opera sotto il segno di un catartico pessimismo, con il protagonista che tornava rassegnato al suo mondo, festeggiato dal popolo dei folletti ma con il sogno amoroso irrimediabilmente infranto, Lutz e la Schmidt capovolgono il finale: far convergere realtà non comunicanti (padroni e operai, entità fatate versus esseri umani) resta la più folle delle ambizioni, e Heiling qui viene ucciso dalla stessa fanciulla amata. Insomma, una messinscena dichiaratamente “a tesi”: stimolante nell’assunto e dipanata con giusta consequenzialità, ma che forse non supporta fino in fondo il proprio stravolgimento. Brusco e violento, l’epilogo dello spettacolo crea una sconnessione tra realtà e simbolo, vanificando il ruolo di dea ex machina della Regina degli Spiriti madre di Hans: d’altronde, il viraggio della favola in termini esclusivamente sociopolitici aveva già dimidiato il senso di questo personaggio di mamma extraterrena, ma umanissima quanto a castrante ossessività, che trasforma – autentico versante psicanalitico della fiaba – il ritorno del protagonista presso il suo popolo in una regressione nel ventre materno.

Resta l’efficacia di molte soluzioni visive: il transito dal mondo fatato del prologo a quello umano nel prosieguo viene realizzato attraverso uno spettacolo itinerante, facendo prima accomodare il pubblico, con gli gnomi-coristi confusi tra gli spettatori, nel retropalcoscenico (i fari e i tubi Innocenti accentuano l’idea di trovarsi in una fabbrica, ma intravedere al di là del velatino la sala teatrale illuminata mantiene il sentore di un mondo fantastico); poi, durante la Sinfonia (che Marschner colloca tra prologo e primo atto, a sottolineare il cammino del protagonista da un mondo a un altro), ci si trasferisce in platea, mentre il resto della messa in scena si svolge “normalmente” sul palco.


Un momento dello spettacolo
© Jochen Quast

Funziona piuttosto bene pure la riscrittura dei dialoghi parlati (benché composta nel 1833, Hans Heiling non rinuncia alla vetusta formula del Singspiel), qui per lo più affidati a un ideale narratore onnisciente – Nicklas, l’unico dei personaggi privo di momenti cantati già nel libretto – in veste d’intrattenitore televisivo, completo grigio chiaro e microfono in mano, sornionamente e narcisisticamente incarnato dal tenore-attore Matthias Laferi. Dispiace invece il taglio di un brano pleonastico in una simile chiave di lettura (il canto nuziale del rustico Stephan, ruolo minore qui declassato a puro mimo), ma niente affatto inutile per Marschner, che concepiva talune paginette esornative come momenti necessari a una dialettica tensione-distensione: ed è la conferma d’una certa insensibilità musicale di questa regia, poi ribadita dai molti rumori, grida e frasi parlate che, nel corso dello spettacolo, vengono a sovrapporsi al canto e alla musica.

Se un concertatore più severo avrebbe limitato queste invasività, sta di fatto però che la bacchetta di Tom Woods rende giustizia alla stratificata partitura. Grazie anche all’ottima Orchestra Filarmonica di Regensburg, il senso plastico della musica di Marschner si profila con nettezza: il corrucciato brontolio dei bassi e il guizzante sciabolare dei fiati, nel prologo, pennellano alla perfezione la natura sulfurea e mercuriale degli gnomi; corno e clarinetti (Weber è dietro l’angolo…) emergono nel loro peso coprotagonistico; e pure quel momento d’improba gestione che è il cosiddetto Melodram (alternanza di aria e melologo nello stesso brano, dove al cantabile si giustappone un “parlato” comunque sostenuto dalla piena orchestra) viene risolto con scioltezza.


Un momento dello spettacolo
© Jochen Quast

Il palcoscenico, a sua volta, risponde bene: solo per il tenore Steven Ebel – efficace nell’incarnare un giovanottone di sinistra duro e puro, ma troppo acerbo nella sua sorda voce di testa – si può parlare di una prova da mettere a punto. Il protagonista Adam Kruzel, invece, ha pregi e limiti di quei baritoni robusti ormai avanti nella carriera: emissione molto solida, timbro compatto ancorché irruvidito, qualche difficoltà nella modulazione. Stando così le cose, la doppia natura di Hans Heiling – soprannaturale e umanissima, diabolica e prostrata, che Marschner risolve con una sapiente alternanza di declamato e sfumature quasi liederistiche – viene ben tratteggiata sotto il primo, e meno bene sotto il secondo aspetto. Più che di Heiling, siamo nei paraggi del protagonista eponimo del Vampiro (l’altro capolavoro marschneriano, anch’esso con al centro un baritono, stavolta cattivo senza “se” e senza “ma”): e tuttavia, pure in una certa monodimensionalità che il manicheismo ideologico della regia enfatizza, quella di Kruzel resta una prova energica e professionale.

Il meglio proviene però dal fronte femminile. Vera Egorova è una Gertrud spiritosa sul versante interpretativo (la classica madre preoccupata che la figlia sposi un buon partito), ma tutt’altro che caricaturale vocalmente: la sua ballata, nel secondo atto, ha il debito retrogusto “gotico” e sinistro. Oggetto di desiderio del protagonista, Michaela Schneider dà vita a un personaggio femminile insieme maturo e fanciullesco, con l’intermediazione di una vocalità corposa ma luminosissima. Mentre Christina Rümann, benché piombata a sostituire il soprano titolare, è perfetta nei panni della Regina degli Spiriti madre di Hans: una mamma giovane e sensuosa, ambigua quanto basta per trasformarsi in rivale della fidanzata del figlio. E che pure sul piano psicologico-stilistico centra in pieno il ruolo: trascolorando dalla vocalità svettante e vibrata impressa nell’aria del secondo atto («Grandioso», indica Marschner in partitura) a un’emissione ferma e marmorea, quasi da cantata bachiana, nella serena severità del canto finale.



Hans Heiling
Opera romantica in un prologo e tre atti


cast cast & credits
 
trama trama



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013