Nel
nordest brasiliano una famiglia nomade di mandriani prepara i tori per le vaquejadas, sorta di rodei in cui due
uomini a cavallo devono inseguire la bestia e trascinarla a terra afferrandola
per la coda. Il sogno recondito del capofamiglia Iremar (Juliano Cazarré) è però quello di lavorare nel settore tessile, e
passa il suo tempo libero a progettare capi di vestiario su manichini fatti a
mano. Insoddisfatto dellinfelice rapporto con la moglie Gaela (Maeve Jinkings), ballerina frustrata,
luomo si infatua di Geise (Samya De
Lavor), rappresentante di profumi e guardia notturna di unindustria tessile.
Nel frattempo la figlia della coppia, Cacà (Aline Santana), affronta i difficili rapporti con i genitori, dai
quali non riesce a ottenere attenzione e comprensione.
Presentato
nella sezione Orizzonti, Boi Neon è un film che ha diviso la
platea, incassando tanti applausi ma anche qualche fischio (e addirittura un
insulto al regista presente in sala). Gabriel
Mascaro, qui al secondo lungometraggio (il film desordio, Ventos de Agosto, ha ottenuto una
menzione speciale al Festival di Locarno 2014), propone un cinema crudo, viscerale,
esplicito, in cui personaggi e animali emergono in tutta la loro fisicità,
confondendosi gli uni con gli altri. Viene messo in risalto il sudore, il fiato
delle bestie, lo sterco nel quale cade la piccola Cacà (ironia involontaria),
lo sperma di cavallo che Iremar e il suo assistente tentano di rubare a un
prezioso purosangue. Si vede il sesso, freddo, in piano sequenza, nel
lunghissimo amplesso tra Iremar e la sua giovane amante, visibilmente incinta. A
una prima analisi, quello di Mascaro può sembrare un cinema fastidiosamente
provocatorio, che dà sfogo a ogni tipo di indecenza pur di essere notato e
chiacchierato nel milieu dei festival
europei; da qui, probabilmente, il risentimento di alcuni spettatori.
Una scena del film
In
realtà il regista riconosce le potenziali derive del suo approccio, e si tiene
a debita distanza sia dal voyeurismo pornografico
che da unestetica dellorrido alla John
Waters. Il suo è piuttosto uno sguardo documentario, antropologico,
coerente con il suo percorso cinematografico, che proprio dallo studio delle
condizioni di vita dei cosiddetti “marginali” ha mosso i primi passi. Boi Neon, afferma il regista, «è uno
studio del corpo, della luce e della trasformazione del paesaggio umano»: un
paesaggio in cui esseri umani e animali convivono in una sorta di simbiosi. La
potenza dellimmagine documentaria, pur corrispondendo a una precisa scelta
estetica, non è mai estetizzante, riuscendo contemporaneamente a essere
descrittiva e trasfigurante, a rappresentare i personaggi in modo epidermico, carnale,
con pochi e sottili movimenti di camera.
Senza
dubbio il film sconta forti debiti nei confronti del realismo allegorico di
molto Cinéma Nôvo brasiliano, movimento che non a caso ha spesso scelto il Nordeste
come set di molti suoi film (si pensi, tra tutti, a Deus e o Diablo na Terra do Sol di Glauber Rocha). Pur non rinnegando tale filiazione, il regista
sceglie di discostarsene, da un lato rinunciando a qualsiasi istanza politica, dallaltro
attuando un necessario rinnovamento del sistema simbolico con cui la rinnovata
realtà locale deve essere rappresentata. Quello di Mascaro è una sorta di
iperrealismo rurale, in cui tuttavia la tradizionale retorica della
cristallizzazione di antichi valori e tradizioni viene abbandonata per lasciare
spazio a una costruzione sociale complessa, ambigua, in cui lindustrializzazione
apre una breccia nella monotona routine
della famiglia dei vaccari, al punto da trasfigurarne oggetti e rituali.
Una scena del film
Acquista
risalto, in questo senso, il personaggio di Iremar, contemporaneamente grezzo allevatore
e aspirante stilista, che usa le foto di donne nude delle riviste pornografiche
dellassistente come modello per progettare i propri capi di vestiario. Si
pensi anche alla figura dellassistente Mário
(Josinaldo Alves), vanesio e dalla
capigliatura curata, che sostituisce il volgare e sgradevole Zé (Carlos Pessoa). Nella stessa direzione
va anche il neon bull del titolo: in
un breve frammento del film vediamo un toro color giallo acido (neon, appunto), che entra nellarena,
con tanto di voce di commento: «attenzione, cè un neon bull!». Si tratta di unimprovvisa visione allucinata che
proprio nella sua assurdità quasi dadaista frantuma il realismo documentario
per farsi sintesi poetica di quello scontro tra progresso e tradizione che
caratterizza le aree contadine del paese. Boi
Neon, a conti fatti, è un film libero, ruvido, coraggioso, in cui la realtà
rurale brasiliana, ampiamente codificata nellimmaginario visivo nazionale,
fornisce gli elementi con cui comporre un quadro in cui lincontro tra
modernità e cultura locale prende le forme di una convivenza tra violenza e
piacere, che sembrano fatti della stessa materia.
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