Il
bairro di Tijuca, periferia
settentrionale di Rio de Janeiro, è funestato da una serie di efferati delitti
ai danni di giovani ragazze inermi. Per Bia (Valentina Herszage), quindicenne inquieta e impulsiva, la scoperta
della morte coinciderà con quella della propria sessualità, in un percorso condiviso,
seppur con dinamiche diverse, con le sue coetanee. Lattrazione per i cadaveri
e per il misterioso serial killer si
trasformerà per la protagonista in una sorta di morbosa ossessione.
Il
primo lungometraggio della brasiliana Anita
Rocha Da Silveira, già presente al Festival di Cannes 2012 con il
cortometraggio Os mortos-vivos, ci
presenta un mondo, il suo mondo, in cui la morte è banalizzata e trasfigurata.
Gli schemi tradizionali del thriller paranoico vengono svuotati di ogni paranoia: «cè un altro
morto» ripeteranno senza pathos i
personaggi a ogni delitto, come se lesclamazione perdesse il punto esclamativo
per farsi pura informazione.
Una scena del film Lattenzione dellautrice devia dai fatti narrati per soffermarsi
sulla cornice, su un contesto che non viene indagato, ma solo percorso. Lintero
film riassembla materiali visivi e sonori dalla borghese periferia brasiliana, in
un carosello di situazioni, personaggi, clichés
che evita ogni simbolismo. Si pensi alla messa, in stile funky carioca, davanti a una croce al neon, o allopulenta festa di compleanno della reginetta della
classe, con tanto di gigantografia appesa alla parete. Ancora, si pensi al
bacio saffico dato da Bia nel bagno delle femmine a una ragazza che non
rivedremo mai più; o, infine, al fratello computer-dipendente che cerca di ricucire
una storia fallita, non si sa perché, con unaltra ragazza mai vista. Il tutto
è spesso mediato dallestetica audiovisiva con la quale la società di oggi si
autorappresenta: dai baci appassionati al ralenti
sul tappeto di una zuccherosa musica romantica (le telenovelas brasiliane), ai balli di gruppo a camera fissa e
frontale (i video amatoriali su YouTube).
Rocha Da Silveira esplora limmaginario visivo
della provincia brasiliana nella sua più piatta ed esibita patinatura, in una
sorta de Il tempo delle mele in salsa
pulp che lavora prevalentemente sulla
superficie dellimmagine cinematografica. La logica narrativa, onirica, evita ogni
tipo di psicologia, lasciando in secondo piano la catena di omicidi in atto.
Una delle ragazze cercherà di connettere tali eventi alla leggenda di una
vecchia studentessa uccisa nel college, ma sarà immediatamente contraddetta
dalle amiche: il genere horror viene decostruito
e cancellato nel momento stesso della sua formulazione. Lo stesso avviene con
il vampire movie: lattrazione per il
sangue e per la morte da parte della protagonista resta inesplorata.
Nessuna
spiegazione o indagine, nessuno svolgimento narrativo. Un non-sense apparente che però non placa la morte, la violenza, la
misoginia. La pellicola pare ispirarsi allinnovativo Spring Breakers di Harmony
Korine (2012), nel quale convivevano, sotto la stessa “pasta” visiva, i
desideri di emancipazione adolescenziale con quelli del crimine da strada. Ma se
in Korine la narrazione ha la funzione di far coincidere i due piani, per la
regista brasiliana essa ha lo scopo di allontanarli, di renderli non comunicanti.
La vita da college non è intaccata dalla escalation
di violenza, né la violenza trova ostacoli: banalizzati, gli assassinii hanno
per le protagoniste (come per la cinepresa che li racconta) lo stesso peso di
un herpes o di una pallonata sul naso.
Una scena del film La violenza, ignorata, si autoalimenta nella speranza di
essere notata: da qui linvocazione del titolo, che compare sullo schermo dopo
una sorta di gonzo porn iniziale in
cui lo spettatore è chiamato perfino a identificarsi con il maniaco stupratore.
Rocha Da Silveira crea provocazioni e poi le lancia coscientemente nel vuoto, spostando
il baricentro dalle prime al secondo. In un panorama contemporaneo in cui la
tendenza generale sembra essere il gioco al rimpiattino tra realtà e finzione, lautrice
interpreta la finzione con unaltra finzione, artificiale a tal punto da
appiattire e svuotare quella originaria. Mate-me
por favor è un unico grande sogno, in cui la narrazione “verticale”
delle singole immagini frantuma qualunque potenziale sviluppo “orizzontale” delle
stesse, anche laddove la narrazione cerchi di farsi notare con continui e sanguinosi
picchi di violenza. Dopo Neon Bull di
Gabriel Mascaro, arriva a
Venezia un altro prodotto brasiliano complesso e affascinante, che affogando la
drammaturgia nelle immagini ci racconta
ladolescenza molto meglio di tanti film-inchiesta sul disagio giovanile, connettendo
gli impulsi di morte delle protagoniste ai loro impulsi ormonali, invocando la
morte e baciandola in bocca. Provocatorio e disturbante, ma mai distruttivo o
intellettualizzante, lo sguardo di Rocha Da Silveira
è uno dei più interessanti visti al Lido
in questi giorni.
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