Cosa può nascere da oltre dieci anni di incontri tra Noah Baumbach, regista che ultimamente ha
tenuto alta la bandiera della commedia americana indipendente, lamico Jake Paltrow, regista di tre
lungometraggi oltreché attore nel suo Greenberg,
e Brian De Palma, monumento vivente appena
insignito del Jaeger-LeCoultre Glory to
the Filmmaker Award 2015?
Niente più dello stretto necessario, per fortuna. Niente
interventi autoriali, niente metacinema, niente dettagli o movimenti di
macchina, niente making of o dietro
le quinte. De Palma è quello che lo
spettatore si aspetta: una videointervista al leggendario cineasta statunitense
interpolata da frammenti tratti dai suoi film. Forte di una filmografia che
copre ormai sei decenni, Brian De Palma è una miniera
di racconti, riflessioni, battute, sketches.
Ne deriva uno sguardo consuntivo sul suo cinema che è al contempo sguardo del suo cinema.
Foto di scena dei tre registi sul set del film Secondo De Palma «su ogni set cè sempre uno scontro di ego e
il compito del regista è quello di mantenere tutto in armonia» sfruttando queste tensioni in maniera creativa. Tutta la sua carriera
è attraversata dal contrasto tra gli interessi dei registi, dei produttori, degli
attori, degli sceneggiatori, delle aziende concorrenti, dei giornalisti e dei plagiatori.
Spirito tormentato e sperimentatore, sempre in lotta per imporre la propria idea
di cinema, De Palma, dopo il disastro economico e professionale di Mission to Mars (2000), abbandona gli States
per cercare la propria dimensione produttiva in Europa, accettando di girare a
budget ridotto pur di godere di libertà creativa. Di lì a poco Woody Allen seguirà la stessa strada.
Al di là del dato biografico, il film è un
ottimo saggio sul cinema americano degli ultimi sessantanni e conferma che lanalisi
di tale cinema non può limitarsi a una “monoteistica” politica degli autori (si
pensi allentusiasmo aprioristico che qualsiasi prodotto a firma De Palma
suscita tuttora nella redazione dei «Cahiers»), bensì deve tener conto, nel contesto hollywoodiano più che
altrove, del cast, del contesto
produttivo, della distribuzione e della ricezione. «Questo funzionava sul
pubblico», «questo non funzionava»: tali formule, ricorrenti nei ricordi di De
Palma, sintetizzano lo scopo ultimo del fare film. Niente a che vedere con la
figura del metteur en scène come
“scrittore di cinema” teorizzata da Godard,
a cui pure egli dichiara di dovere molto. Il punto forte della
pellicola sono gli aneddoti del regista, a tratti esilaranti: si pensi al Sean Connery ex-James Bond di The Untouchables infuriato perché
durante una sparatoria gli era finita della polvere negli occhi, o allantipatia
– sfociata in uno scontro fisico – di Sean
Penn per Michael J. Fox sul set
di Vittime di guerra. Una carriera
lunga e travagliata, che dagli anni “ribelli” di Greetings e Hi, Mom! ci
porta al nuovo De Palma, capace di capolavori come Redacted o The Black Dahlia,
per arrivare allultima fase in cui, stanco e vecchio, si gode il suo buen retiro nel Vecchio Continente, rimpiangendo
un po lo snervante ma stimolante braccio di ferro con lo studio system, il brivido della “prima”, le difficoltà col vecchio
e indisciplinato Orson Welles sul
set di Get to know your rabbit, la
lotta per reintegrare lo sceneggiatore David
Koepp al fianco di Robert Towne
nello staff di Mission: Impossible.
Una scena di Scarface (1983) La conclusione è amara: «ogni regista dà il suo meglio nei
suoi trenta, quaranta e cinquantanni», ripete due volte alludendo ad Alfred Hitchcock e, forse, a se stesso.
Si pensi al flop del recente Passion (2012).
Lanziano regista sembra cedere così, come mai gli era accaduto in passato,
alle critiche di molta stampa, arrendendosi alla retorica critica che lo considera al termine di uninesorabile parabola discendente.
Dietro
laspetto coriaceo e monolitico del personaggio si nasconde un uomo fragile: se
il padre putativo Hitchcock affermò ironicamente «leggo sempre le critiche dei
giornali, quando faccio la fila in banca», De Palma ammette di essere stato
ferito dalla sala vuota alla prima newyorkese di Blow Out o dal fiasco di Get To
Know Your Rabbit e del Falò delle vanità. Concentrandosi sul De Palma cinematografico il
film svela, a poco a poco, quella personalità che egli stesso tende a
comprimere ma che emerge proprio in contrapposizione al rigore
storico-biografico a cui Baumbach e Paltrow ostinatamente tendono.
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