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Una “gemmazione” di attese

di Anna Menichetti
  CO2
Data di pubblicazione su web 03/06/2015  

Non era mai avvenuto che un’opera lirica si occupasse di un tema di attualità socio-economica così pressante come il surriscaldamento del pianeta. È della verità, dunque, che si occupa CO2: un’opera che si colloca nell’immenso panorama storico musicale come un lavoro che riferisce e accusa di malvagità, di ignavia, di corruzione e di avidità la nostra società e noi uomini. Non assolve e non risolve: ma avvisa e minaccia senza conforto e senza pietà.

CO2, l’opera del secolo nuovo, si avvale di un team di creatori di tutto rilievo: Robert Carsen, Ian Burton, Giorgio Battistelli, rispettivamente regista, librettista e compositore. Dell’ingegnosità di Carsen siamo da tempo consapevoli: le sue regie d’opera hanno sempre affascinato e sedotto. È un regista cólto ed elegante, curioso e originale. Sapiente nel gestire idee raffinate in simbiosi con la musica che riempiono il palcoscenico di gesti e presenze mai banali: realizzazioni fantastiche eppure credibili (Dialogues des Carmélites, Kát’a Kabanová, Candide, Don Giovanni, A Midsummer Night’s Dream solo per fare alcuni esempi scaligeri) e il Teatro alla Scala gli ha sempre conferito il giusto onore. Ian Burton ha scritto un testo intenso, poetico e insieme crudele sulla morte del mondo; nella lingua inglese, la lingua di Burton, ha saputo pescare le inflessioni più universali del dolore – Shakespeare docet, come per il suo bellissimo Riccardo III sempre con musica di Battistelli e regia di Carsen  –  con la volontà verbale e fonetica di non alleggerire mai il tratto enfatico del dramma. Giorgio Battistelli ha forgiato da par suo l’esperimento.



Scena degli uragani (scena IV)

Avevamo smarrito la memoria di una musica “padrona” del dramma. Da Monteverdi in poi il suono musicale si è inchinato, arreso e riflesso nella parola teatrale scrutandone le inflessioni e cercando di ricrearne le intenzioni (Luciano Berio amava dire che insistendo sul concetto di seconda prattica Monteverdi aveva finito per potenziare le qualità e le capacità della musica strumentale!) e non sono stati pochi i musicisti dell’Ottocento e del Novecento “storico” che hanno ricercato proprio nella lingua e nella sua “calata” espressiva, nell’intonazione verbale e vernacolare, il suono più sincero trasferito su pentagramma (Mussorgskij, Janáček). Ma che una musica, con tutto il suo armamentario timbrico, ritmico, dinamico e armonico potesse accecare e risucchiare in un vortice performativo ogni azione e gesto e verbo dello spettacolo, questo no: non ricordavamo che fosse possibile.

La scena a cappella del litigio fra nazioni al Convegno di Kyoto è uno dei tanti esempi. Un ammasso materico di lingue, fonemi, sillabe e scontri di toni senza tregua, furibondo e sfiancante. Frammenti di pensieri lacerati che vibrano nell’aria e che vivono di tensione e intenzione, affidati non al significato verbale ma unicamente all’impatto emotivo del suono. Una vertigine musicale che spinge all’ossessione, motivata ma irrazionale; suoni di fogli che volano, carte gettate che “urlano”. Tornano quegli effetti tanto cari a Battistelli amante della realtà acustica e che ricordano il bellissimo Il libro celibe del 1976. Si pensi alla scena del supermercato: man mano che scorrono rapidamente davanti ai nostri occhi immagini di alimenti di ogni genere, tipi di marche, di scatolette, di confezioni cresce attraverso il suono un senso di disagio e di nausea: l’orecchio porta agli occhi, da sempre abituati a quelle carrellate, il vortice dei sensi e il disgusto si fa ascolto.  Musica che scava dall’interno quanto di più putrido e marcio ci sia nel concetto e nella visione consumistica alimentare. Quando poi appare Gaia, la madre terra che avverte della illimitata follia umana, siamo violentemente catapultati in un cosmo primitivo e struggente: la presenza di un misterioso tetracordo greco attorno al quale si svolge il canto del coro, ci rapisce.

Bene ha detto Stefano Catucci – a proposito della splendida opera di Battistelli Les Cenci del 1997 dal testo di Antonin Artaud – che il compositore si muove sempre più verso un teatro della crudeltà e nel programma di sala propone ulteriori riflessioni stabilendo, giustamente, quanto il teatro del compositore «rivendichi alla musica quasi una funzione di regia».



Scena del supermercato (scena VI)

Già nel Coro di morti del 2011, da Giacomo Leopardi, Battistelli ci faceva riassaporare la tecnica scivolosa e inquietante del liquefarsi vocale di gesualdiana memoria. In CO2 la scrittura vocale segue ed esaspera quella traccia: tutto si amplifica e sembra precipitare. Una corsa senza fiato che precorre la catastrofe. Sostenuto da una magistrale pratica di scrittura strumentale, Battistelli mette in campo un apparato timbrico-espressivo sontuoso: percussioni a carattere non solo ritmico (novanta minuti percorsi da una linfa vitale di pura energia) ma “parlante” con esplicita volontà minatoria. Il raggelante morso della mela, dopo l’incanto dell’Eden, è atto teatrale squisitamente sonoro. Qualsiasi uso trasgressivo o non ortodosso degli strumenti crea impatti viscerali di portata intensa: bordone degli archi bassi fastidioso, insopportabile; fiati metallici ma allo stesso tempo flessibili e infidi; tremoli e sospensioni armoniche inaspettate, che non recano sollievo però, ma ristagnano in un mondo di sordida inquietudine. Spazialità sonora dunque, che si ribella e travalica ogni legge di gravità; volumi, dinamiche e impatto acustico ricercati e laceranti. Il teatro di Giorgio Battistelli è sinfonico, secondo l’antica accezione: σύν-ϕωνή. Sinfonico dunque nel trattamento dei suoni tutti: lo strumento-oggetto che suona in ogni sua parte; la voce-strumento che raggiunge ogni tecnica cólta e di tradizione, lecita e “illecita”.

In questo gorgo convulso di linguaggi sonori, il lavoro di Carsen e di Burton trova perciò sostegno fertile all’invenzione. E così, tutta l’opera CO2 si guarda come in un tablet, oggetto portante della modernità, della comunicazione, della globalizzazione e insieme della solitudine di oggi. Regia, luci, fotografia, testo sono tutti protesi a un risultato che non sia solo un effetto teatrale ma, soprattutto, una ragione di riflessione sull’arte che non ha il solo compito di generare “il bello”, ma quello di denunciare, accusare e, se possibile, ferire.

Tutto l’allestimento di CO2 concorre ingegnosamente all’accorato appello che ogni intellettuale, ogni uomo di buon senso invoca. A cominciare da Burton che nel programma di sala, stampato su carta riciclata, riferisce come si sia avvicinato al tema appoggiandosi a due oratori di Haydn: Le Stagioni e La Creazione. Dolcissime le parole di Eva: «Non è verde? Non è bello? Guarda tutti questi alberi! Come può il verde essere un solo colore? Ci sono centinaia di verdi!».

Nel programma di sala Burton afferma: «Un’opera “non narrativa” offre semi, idee e immagini, non propone un quadro dialettico di tesi, antitesi e sintesi. La sequenza di scene di CO2 procede attraverso schemi di connessioni interne e simboli, come una poesia modernista, con immagini ripetute e ricorrenti». Allo stesso modo, l’impegno sociale si scorge nelle parole di Carsen: «La terra è sempre sopravvissuta a qualunque cataclisma e vivrà certo più a lungo dell’umanità. Ma presto le generazioni future avranno da risolvere problemi molto grandi per la loro sopravvivenza».



Jennifer Johnston (Gaia) (scena VIII)

Ha scritto Paolo Portoghesi: «Forse occorre una conversione, un provocatorio rovesciamento di valori: dalla velocità alla lentezza, dalla crescita infinita per tutti alla crescita differenziata e alla decrescita (più o meno felice) per chi ha depredato fin troppo e continua a sprecare mentre altri mancano dell’indispensabile. Alla fin fine è proprio la macchina, il computer che è la sua ultima re-incarnazione, lo strumento che ci permette di capire cosa sta succedendo. Il monitoraggio non è forse il suo modo di ammonirci?» (Tecnica curiosa. Dall’infanzia delle macchine alle macchine inutili, Milano, Medusa, 2014, p. 15).

Le foto, di straordinaria bellezza, che vengono proiettate in palcoscenico durante lo scorrere finale dell’opera, sono di Edward Burtynsky, fotografo canadese di fama internazionale, che ha come tema dominante dei suoi lavori proprio la manipolazione della natura da parte dell’uomo. Di grande cura sono i costumi di Petra Reinhardt; le luci, di Robert Carsen e Peter van Praet, scolpiscono le scene con perfezione e crudezza; i video, di Finn Ross, accompagnano l’azione con effetti ipnotici; le scene, di Paul Steinberg, sono essenziali ed efficaci. La direzione del giovane ed esperto Cornelius Meister è piena di carattere e di energia, sapendo trarre sonorità scintillanti dall’ottima orchestra del Teatro alla Scala. Tutti gli interpreti sono all’altezza dell’operazione: estrema e complessa. Bellissime le voci di Anthony Michaels-Moore (David Adamson), Jennifer Johnston (Gaia), David DQ Lee (Serpente), Pumeza Matshikiza (Eva) e Sean Panikkar (Adamo); così come quelle degli Arcangeli e degli Scienziati; intenso il coro del Teatro alla Scala e il coro di voci bianche dell’Accademia Teatro alla Scala diretti da Bruno Cason.

Una felice commissione dunque, nata molto tempo fa e ben collocata nell’evento EXPO 2015: una prima assoluta di un’opera rischiosa ed estremamente concettuale. In questo, come in altri casi di opere prime o poco frequentate (si pensi a Die Soldaten di Bernd Alois Zimmermann, dello scorso gennaio), il Teatro alla Scala prevede per ogni recita una presentazione tenuta dal musicologo e direttore editoriale Franco Pulcini che illustra in modo cólto e accattivante l’intero evento. Secondo Pulcini la musica di Battistelli è «circolare, cosmica, con una cantabilità che viene dal cuore e una melodia che accenna e poi spiazza»; questa teoria della sorpresa è l’anima più pura della sua musica: non c’è un attimo, in tutta l’opera, in cui si allenti la tensione dell’ascolto. Nell’intervista per il programma di sala, che lo stesso Giorgio Battistelli ha rilasciato a Pulcini, si legge questa sincera dichiarazione di scrittura, quasi ecoscrittura vorremmo dire: «L’opera, dice il compositore, è una gemmazione di attese».




CO2



cast cast & credits
 
trama trama

Si rinvia qui all'intervista a Giorgio Battistelli a cura di Anna Menichetti


Pumeza Matshikiza e David DQ Lee (Eva e Serpente) nella scena dell'Eden (scena V)


 
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