Sul
palco dellAuditorium Parco della Musica di Roma (sala Petrassi) i musicisti
sono disposti in semicerchio. Un massiccio impianto ritmico-percussivo si
conferma cifra stilistica dellOrchestra, arricchito dalla presenza del
contrabbassista Bruno Zoia, e da un
tessuto melodico-armonico affidato al trombettista Giampaolo Casella e al chitarrista di flamenco Alessandro Floridia. Al centro spiccano le voci calde e corpose di Lavinia Mancusi e Valeria Villeggia, che da tempo lavorano sul repertorio musicale
mediterraneo. Ciascun esecutore porta sul palco un tocco di rosso che risalta
sul nero degli abiti illuminati dalle luci. La sala dellAuditorium è gremita. Come
la disposizione degli strumenti, anche il viaggio musicale, nel quale il
pubblico viene immediatamente trasportato, ha un aspetto circolare; rievocando
il Mediterraneo, che si presenta come ununità nella differenza e presentando
molti tratti comuni alle tradizioni che lattraversano da Est a Ovest. La forte
impronta della musica musulmana, con i suoi sistemi modali e le sue strutture
monofoniche, si unisce alla voce umana – nella venatura del pianto –; alla
sensualità dei suoni; alla loro grana scura, irregolare e ruvida, sempre
sullorlo della rottura. La potenza narrativa dei canti, che propongono storie
intrise di legami affettivi, evocano un territorio temporaneo e una casa sempre
idealmente transitoria nel mondo. Voci e musiche tradizionali trasportano il
pubblico da una sponda allaltra del bacino mediterraneo: dalla Turchia alla
Tunisia, passando attraverso ritmiche spagnole, che naufragano in un antico
canto religioso ebraico, per sfociare nel più classico repertorio del sud
Italia, e, infine, essere traslate in melodie balcaniche.
Un momento dello spettacolo. Foto di Andrea Petrosino. Simone Pulvano e Gabriele
Gagliarini, fondatori e direttori del progetto, hanno provato a raccontare
quanto i confini dei paesi coinvolti dal loro gioco melodico siano
incredibilmente labili. Lo si percepisce bene nella comprensione fluida e
suggestiva dellinizio dei brani, che nel corso del loro sviluppo sembrano
rivisitati dai fantasmi di altre canzoni, nelle quali confluiscono
irrimediabilmente, come affluenti di un bacino più grande. Un bacino capace di
raccogliere e accompagnare le storie di viaggio e di addio dei popoli migranti,
solcati, questi ultimi, dalle forze ibridizzanti delle intricate correnti
mediterranee. Il
nuovo cd, terzo lavoro discografico dellOrchestra, si intitola Addije, “addio” in dialetto abruzzese, e
si concentra su quella imprecisa linea di confine tra il dolore e lamore,
raccontando le storie di migrazione di quei popoli che nel corso del tempo sono
stati costretti a spostarsi per motivi politici, religiosi ed economici. Canti
di chi rimpiange la terra natia, di chi non ha trovato quello che cercava o
anche, sullaltro versante, di chi constata il vuoto lasciato dai migranti. Tra
mito, storia e fantasia, i brani raccolti rappresentano i diversi aspetti del
viaggio, riprocessato attraverso suoni che non si limitano ad agganciarsi al
passato delle melodie tradizionali, ma che, con arte sapiente, alludono alla
contemporaneità. Una contemporaneità resa ancora più attuale e tragica dalle
stragi marine di questi ultimi giorni, ma animata dalla speranza di un futuro
migliore per i migranti, gli europei e, in fondo, lumanità intera.
Un momento del concerto. Foto di Andrea Petrosino. La
Takadum Orchestra, nata come ensemble di percussioni della tradizione nordafricana e orientale (darbuka, riqq, daf, dholla, davul, etc.), si è
esibita al gran completo, integrando il bagaglio culturale di ogni componente.
In occasione della presentazione del nuovo disco, la compagine orchestrale si è
inoltre avvalsa della presenza di ospiti quali Ziad Trabelsi, voce e oud dellOrchestra di Piazza Vittorio, Alessandro D'Alessandro, organista e direttore dellOrchestra Bottoni, Paolo Modugno, produttore e
percussionista e infine del maestro di danza orientale Saad Ismail, che si è esibito come vocalist
assieme alla danzatrice Sciahina. Il
risultato finale è stato quello di una sonorità dinamica e raffinata, in grado
di riprendere gli stilemi delle tradizioni a cui lorchestra ha attinto, ma con
sufficiente forza ed originalità per riuscire a superarli, confrontandosi con
esperienze e linguaggi musicali aperti allibridazione. Lo spettacolo emoziona
e stupisce il pubblico, promuovendo un nuovo modo di concepire e vivere le
storie tracciate dal corpo performativo della musica, tessendo una trama in cui
Europa, Asia e Africa sintersecano e nella quale diviene possibile toccare,
almeno temporaneamente, lapertura verso un avvincente sentimento di comunione.
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