In concorso alla 68°
edizione del Festival di Cannes, Mia Madre è una delle
pellicole più cupe e intime della filmografia di Nanni Moretti.
Margherita (Margherita Buy), alter-ego del regista, sta
girando un film sulla crisi economica italiana. Il protagonista, un
imprenditore costretto a licenziare i suoi dipendenti, è
interpretato da Barry Huggings (John Turturro), attore
eccentrico e ingestibile, intrappolato nel suo stesso personaggio. La
difficile vita privata di Margherita (segnata dalla separazione e da
una figlia in affido condiviso con lex-marito) viene sconvolta
dalla notizia della madre in punto di morte, che la proietterà in
una profonda crisi personale e lavorativa.
Come già ne La
Stanza del Figlio (2001), insignito proprio
sulla Croisette della Palma dOro, il regista elabora un quasi
lutto familiare, analizzandone gli effetti sullequilibrio emotivo
dei personaggi. Linterferenza tra la sfera privata e quella
pubblica, costante nella produzione morettiana, si esplicita nel
contrasto tra realtà e finzione, tra lavoro sul set e dramma
personale. La metaletterarietà cinematografica, come già ne Il
Caimano (2006), si configura come
lartificio retorico più adatto a instaurare tale dialettica,
mettendo a nudo le paure del regista e soprattutto – altro topos
della filmografia morettiana – il suo senso di inadeguatezza.
Margherita, interpretata
perfettamente dalla recitazione tesa e nervosa della Buy, è un
personaggio risoluto, quadrato, ma incapace di stabilire relazioni
sincere e durature. «Fa qualcosa, fa qualcosa per rompere gli
schemi!», la sprona il fratello Giovanni (Moretti stesso) nella
splendida scena onirica davanti al cinema Chetichella, autocitando il
«di qualcosa, di qualcosa di sinistra!» di Aprile
(1998).
Una scena del film
Entrambi i film parlano
dellincapacità di Moretti di interpretare il ruolo di
intellettuale e di guida politica assegnatogli da tempo da una parte
dellopinione pubblica. La scena più significativa, in questo
senso, è quella della conferenza stampa, dove alla “voce in” di
Margherita, che annuncia luscita del film nelle sale, si
sovrappone la “voce over” della coscienza: «ma perché continuo
a ripetere le stesse cose da anni... Tutti pensano che io sia capace
di capire quello che succede, di interpretare la realtà, ma io non
capisco più niente». La stratificazione dei piani sonori
corrisponde a quella, operata in tutto film, tra la funzione sociale
del regista e il suo essere intimamente fragile e irriducibile alla
propria funzione.
Ancora una volta il
cinema di Moretti si presenta come impegnato socialmente nella misura
in cui mette in discussione la possibilità stessa di girare un film
impegnato socialmente. La scena iniziale degli scontri con la polizia
– rappresentazione paradigmatica del contrasto come strumento di
emancipazione – si rivela nella propria finzione: non come rottura
degli schemi ma come convalida degli stessi. Non a caso Margherita
ripete di riprenderla da lontano, quella scena, preservando e
perpetuando quel distacco che la regista, ostinatamente, ricerca e
pretende dalla sua troupe e, in ultima istanza, da se stessa.
«Devi stare accanto al personaggio, seguirlo!», ripete
continuamente ai suoi attori. La volontà di mantenere separati i due
ambiti, e quindi di esercitare pieno controllo sul proprio lavoro, si
scontra sempre più con la sua psicologia, in una progressiva perdita
di lucidità che farà precipitare gli eventi verso un caos
incontrollabile e verso, appunto, la rottura.
Il registro espressivo
adottato gioca tutto, fellinianamente, sul rapporto tra reale e
onirico (a Le tentazioni del dottor Antonio, daltronde, il
regista rende omaggio nella scena del ristorante in cui Barry,
ubriaco, inizia a canticchiare il motivo di Nino Rota). Ed è
proprio a 8 ˝, a ben vedere, che Moretti sembra ispirarsi,
mettendo in scena il proprio disagio di fronte alle aspettative del
mondo circostante e facendo ricorso, dal punto di vista espressivo, a
una costante rielaborazione del realismo cinematografico in chiave
psicologica.
La discrasia tra realtà
e finzione è massima nel personaggio di Barry, un istrionico
Turturro, attore scapigliato e viveur il quale, in un lento
peggioramento dei rapporti che lo porterà alla rottura con
Margherita, ne amplificherà la crisi, in un efficace gioco di
mise-en-abyme. «Take me back to reality!», sbotterà dopo
una serie di ciak falliti, manifestando il suo desiderio di lasciare
non solo il film, ma il mondo del cinema tutto. Labbandono di
Barry innesca nella protagonista una deflagrazione del proprio
contrasto interiore, fino a un punto di non ritorno. Così, nella
scena in cui passa da uno stato dira alla tristezza, Margherita
sembra prendere coscienza dellirreversibilità di tale frattura.
La notizia inaspettata
dellaggravarsi delle condizioni della madre da un lato mette in
crisi tale dinamica, dallaltro consente alla protagonista di
indagare il proprio disagio. Al capezzale della madre morente
(interpretata con levità struggente da Giulia Lazzarini),
matura, dunque, un nuovo percorso umano e professionale della
protagonista, che la porterà a ritrovare un nuovo equilibrio.
Una scena del film
In questo percorso,
acquista importanza il rapporto con il fratello Giovanni, razionale e
pragmatico. La difficile ricerca di un equilibrio interiore
intrapresa dalla protagonista, infatti, segue un percorso inverso a
quello di Giovanni, il quale, dopo le sicurezze dellincipit,
progressivamente lascia che la sfera privata contamini quella
pubblica, al punto da abbandonare il suo lavoro. Emblematica, in tal
senso, la scena della cena, dove il fratello chiede a Margherita che
cosa significhi che lattore deve stare accanto al personaggio. Lei
titubante, risponde: «è qualcosa che ho sempre detto, vuol dire…
non so, non sono più sicura di saperlo neanche io».
Il conflitto tra attore e
personaggio, tema caro a Moretti, viene risolto evidenziando
linsensatezza di tale differenziazione, e il punto di arrivo del
percorso della protagonista non è altro che una sintesi di tale
contrasto. In questo processo di fusione delle due identità è
significativo che Margherita e Giovanni mantengano i nomi di
battesimo degli attori che li interpretano, suggerendo una
corrispondenza tra il percorso di scavo operato dai personaggi
filmici e quello, sul piano dellintentio auctoris, operato
dal regista. Tutto il film si attesta su un complesso ed efficace
livello di metatestualità, mostrando la dinamica stessa della
costruzione dellopera cinematografica come compromesso e
riorganizzazione delle spinte interne ed esterne al suo autore.
La perdita individuale si
configura, dentro e fuori dalla narrazione, come un momento di
crescita privato e, insieme, artistico, collettivo. Il tramite è il
cinema: quello stesso al quale Margherita, dopo un momento di
rifiuto, ritorna, pacificata, più matura.
La
morte della madre avviene mentre la regista gira la scena
principale del suo film. Non cè bisogno, stavolta, di sospendere
le riprese. Il percorso di autoanalisi è ormai concluso. «Va
bene!», dice Margherita al primo ciak, quasi sottovoce, trattenendo
le lacrime. Poi si allontana.
|
|
|
|
Mia madre
|
|
|
|
La locandina del film
|
|
|
|