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Il lutto familiare come nuovo inizio

di Raffaele Pavoni
  Mia Madre
Data di pubblicazione su web 22/04/2015  

In concorso alla 68° edizione del Festival di Cannes, Mia Madre è una delle pellicole più cupe e intime della filmografia di Nanni Moretti. Margherita (Margherita Buy), alter-ego del regista, sta girando un film sulla crisi economica italiana. Il protagonista, un imprenditore costretto a licenziare i suoi dipendenti, è interpretato da Barry Huggings (John Turturro), attore eccentrico e ingestibile, intrappolato nel suo stesso personaggio. La difficile vita privata di Margherita (segnata dalla separazione e da una figlia in affido condiviso con l’ex-marito) viene sconvolta dalla notizia della madre in punto di morte, che la proietterà in una profonda crisi personale e lavorativa.

Come già ne La Stanza del Figlio (2001), insignito proprio sulla Croisette della Palma d’Oro, il regista elabora un quasi lutto familiare, analizzandone gli effetti sull’equilibrio emotivo dei personaggi. L’interferenza tra la sfera privata e quella pubblica, costante nella produzione morettiana, si esplicita nel contrasto tra realtà e finzione, tra lavoro sul set e dramma personale. La metaletterarietà cinematografica, come già ne Il Caimano (2006), si configura come l’artificio retorico più adatto a instaurare tale dialettica, mettendo a nudo le paure del regista e soprattutto – altro topos della filmografia morettiana – il suo senso di inadeguatezza.

Margherita, interpretata perfettamente dalla recitazione tesa e nervosa della Buy, è un personaggio risoluto, quadrato, ma incapace di stabilire relazioni sincere e durature. «Fa’ qualcosa, fa’ qualcosa per rompere gli schemi!», la sprona il fratello Giovanni (Moretti stesso) nella splendida scena onirica davanti al cinema Chetichella, autocitando il «di’ qualcosa, di’ qualcosa di sinistra!» di Aprile (1998).

Un'immagine del film
Una scena del film

Entrambi i film parlano dell’incapacità di Moretti di interpretare il ruolo di intellettuale e di guida politica assegnatogli da tempo da una parte dell’opinione pubblica. La scena più significativa, in questo senso, è quella della conferenza stampa, dove alla “voce in” di Margherita, che annuncia l’uscita del film nelle sale, si sovrappone la “voce over” della coscienza: «ma perché continuo a ripetere le stesse cose da anni... Tutti pensano che io sia capace di capire quello che succede, di interpretare la realtà, ma io non capisco più niente». La stratificazione dei piani sonori corrisponde a quella, operata in tutto film, tra la funzione sociale del regista e il suo essere intimamente fragile e irriducibile alla propria funzione.

Ancora una volta il cinema di Moretti si presenta come impegnato socialmente nella misura in cui mette in discussione la possibilità stessa di girare un film impegnato socialmente. La scena iniziale degli scontri con la polizia – rappresentazione paradigmatica del contrasto come strumento di emancipazione – si rivela nella propria finzione: non come rottura degli schemi ma come convalida degli stessi. Non a caso Margherita ripete di riprenderla da lontano, quella scena, preservando e perpetuando quel distacco che la regista, ostinatamente, ricerca e pretende dalla sua troupe e, in ultima istanza, da se stessa. «Devi stare accanto al personaggio, seguirlo!», ripete continuamente ai suoi attori. La volontà di mantenere separati i due ambiti, e quindi di esercitare pieno controllo sul proprio lavoro, si scontra sempre più con la sua psicologia, in una progressiva perdita di lucidità che farà precipitare gli eventi verso un caos incontrollabile e verso, appunto, la rottura.

Il registro espressivo adottato gioca tutto, fellinianamente, sul rapporto tra reale e onirico (a Le tentazioni del dottor Antonio, d’altronde, il regista rende omaggio nella scena del ristorante in cui Barry, ubriaco, inizia a canticchiare il motivo di Nino Rota). Ed è proprio a 8 ˝, a ben vedere, che Moretti sembra ispirarsi, mettendo in scena il proprio disagio di fronte alle aspettative del mondo circostante e facendo ricorso, dal punto di vista espressivo, a una costante rielaborazione del realismo cinematografico in chiave psicologica.

La discrasia tra realtà e finzione è massima nel personaggio di Barry, un istrionico Turturro, attore scapigliato e viveur il quale, in un lento peggioramento dei rapporti che lo porterà alla rottura con Margherita, ne amplificherà la crisi, in un efficace gioco di mise-en-abyme. «Take me back to reality!», sbotterà dopo una serie di ciak falliti, manifestando il suo desiderio di lasciare non solo il film, ma il mondo del cinema tutto. L’abbandono di Barry innesca nella protagonista una deflagrazione del proprio contrasto interiore, fino a un punto di non ritorno. Così, nella scena in cui passa da uno stato d’ira alla tristezza, Margherita sembra prendere coscienza dell’irreversibilità di tale frattura.

La notizia inaspettata dell’aggravarsi delle condizioni della madre da un lato mette in crisi tale dinamica, dall’altro consente alla protagonista di indagare il proprio disagio. Al capezzale della madre morente (interpretata con levità struggente da Giulia Lazzarini), matura, dunque, un nuovo percorso umano e professionale della protagonista, che la porterà a ritrovare un nuovo equilibrio.

Una scena del film
Una scena del film

In questo percorso, acquista importanza il rapporto con il fratello Giovanni, razionale e pragmatico. La difficile ricerca di un equilibrio interiore intrapresa dalla protagonista, infatti, segue un percorso inverso a quello di Giovanni, il quale, dopo le sicurezze dell’incipit, progressivamente lascia che la sfera privata contamini quella pubblica, al punto da abbandonare il suo lavoro. Emblematica, in tal senso, la scena della cena, dove il fratello chiede a Margherita che cosa significhi che l’attore deve stare accanto al personaggio. Lei titubante, risponde: «è qualcosa che ho sempre detto, vuol dire… non so, non sono più sicura di saperlo neanche io».

Il conflitto tra attore e personaggio, tema caro a Moretti, viene risolto evidenziando l’insensatezza di tale differenziazione, e il punto di arrivo del percorso della protagonista non è altro che una sintesi di tale contrasto. In questo processo di fusione delle due identità è significativo che Margherita e Giovanni mantengano i nomi di battesimo degli attori che li interpretano, suggerendo una corrispondenza tra il percorso di scavo operato dai personaggi filmici e quello, sul piano dell’intentio auctoris, operato dal regista. Tutto il film si attesta su un complesso ed efficace livello di metatestualità, mostrando la dinamica stessa della costruzione dell’opera cinematografica come compromesso e riorganizzazione delle spinte interne ed esterne al suo autore.

La perdita individuale si configura, dentro e fuori dalla narrazione, come un momento di crescita privato e, insieme, artistico, collettivo. Il tramite è il cinema: quello stesso al quale Margherita, dopo un momento di rifiuto, ritorna, pacificata, più matura.

La morte della madre avviene mentre la regista gira la scena principale del suo film. Non c’è bisogno, stavolta, di sospendere le riprese. Il percorso di autoanalisi è ormai concluso. «Va bene!», dice Margherita al primo ciak, quasi sottovoce, trattenendo le lacrime. Poi si allontana.  



Mia madre
cast cast & credits
 


La locandina del film

 
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