È proprio così? Davvero Sylvie Guillem lascerà le scene dopo il tour mondiale dello spettacolo Life
in Progress? Létoile parigina lo
ha dichiarato apertamente e sembra non avere ripensamenti; anche se lascia
aperta la porta per altre esperienze nel mondo del cinema, del teatro e dei
video. Chissà, magari deciderà di ballare ancora perché, come dice Orazio nellode del celeberrimo Carpe diem, «scire nefas». Ovvero non è
lecito sapere cosa ci riserverà il futuro e forse neppure Sylvie ha in mano le
chiavi del suo destino di danseuse.
Fatto sta che allo scoccare dei suoi “primi
cinquantanni” – è nata il 25 febbraio 1965 – osannata in tutto il mondo e con
un bagaglio di ricordi e successi invidiabili come stella dellOpéra di Parigi,
“étoile ospite” del Royal Ballet di
Londra e “signora” della danza moderna e contemporanea, eccola presentarsi al
Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena nella prima italiana di Life in Progress con cui dà avvio alla
sua ultima tournée, che terminerà in
Giappone a dicembre.
Uno spettacolo applauditissimo pensato da lei che
ha scelto coreografi, pezzi e interpreti per lasciare una testimonianza
indelebile di sé come ballerina, artista e donna. Una donna dal fascino
carismatico, unartista di grande intelligenza e cultura, una ballerina dalle
doti fisiche e interpretative eccezionali, ancora adesso sorprendenti.
Foto di Rolando Paolo Guerzoni
Vedere danzare Sylvie Guillem è capire il profondo
significato di unarte, la danza, che non può prescindere dalla bellezza, dalleleganza,
dallo stile, a loro volta frutto di un intenso lavoro, di una ferrea
disciplina, di unestrema sensibilità, con cui si raggiunge quella meravigliosa
difficilis facilitas, quella nobile
“sprezzatura”, quellautentica nonchalance
che rifugge la superficialità, la faciloneria e il pressapochismo di tanta
danza odierna e di tanti interpreti dellultima ora.
In Life in
Progress Sylvie dà una lectio
magistralis e per farlo non eccede nel protagonismo ma si contorna di
colleghi-amici per vivere unesperienza unica ed esprimere il suo e il loro
personale sentire in una serata piena di poesia.
Life in
Progress è costruito sullalternanza di soli e duetti al femminile e al
maschile e Sylvie apre latteso evento con la prima assoluta di Techne del coreografo anglo-indiano Akram Khan, vestita con un leggero
abitino corto di Kimie Nakano e
capelli rossi taglio carré.
Sotto le luci di Lucy Carter e sul lato destro del palcoscenico striscia a terra
come un ragno muovendo le lunghissime braccia “artigliate” dalle affusolate
mani. Poi si alza e inizia a relazionarsi con uno strumento posto a sinistra
della scena che emana incomprensibili suoni gutturali, proietta una luce verde
tipo laser e sfugge ai tentativi
della ballerina di bloccarlo. Inizia così una sorta di agone umano-tecnologico
sottolineato dalla musica di Alies
Sluiter eseguita dal vivo e sullo sfondo da Prathap Ramachandra, alle percussioni, da Grace Savage al beatbox,
e dallo stesso Sluiter al violino. E mentre il ritmo del kathaki si fa sempre più incalzante, la danza contemporanea diventa
sempre più aggrovigliata consentendo a Sylvie di mostrare tutta lenergia e la
potenzialità del suo corpo e lincredibile fluidità del dettato coreografico di
Akram Khan.
Quasi a riposare la vista e ludito arriva il
secondo pezzo, un affascinate duo maschile di William Forsythe con i formidabili Brigel Gjoka e Riley Watts
in maglietta e pantaloni da ginnastica e musica di Thom Willems. Duo, un lavoro del 1996 di cui Forsythe cura
scene, luci e costumi, è un inno alla danza al maschile in cui i protagonisti
fondono linguaggio classico e contemporaneo e danno origine a una nuova koinè che esprime la forza e la dolcezza
delluomo. Forza nella potenza della gambe di Brigel e Riley quando eseguono
con nitore tecnico i legati, dolcezza nel modo con cui le loro braccia passano
velocemente dalla terza alla quarta posizione e la testa si atteggia in
aggraziati épaulements.
E se in Duo
è lelemento maschile a trionfare in Here
& After di Russell Maliphant
è quello femminile a colpire lo
spettatore che assiste a una sfida, priva di complicità e frenetica, tra la
cinquantenne Guillem e la giovane Emanuela
Montanari, solista del corpo di ballo della Scala di Milano, avvolte dalle
calde luci di Michael Hulls, esalate
dalle tute di Stevie Stewart e accompagnate
dalla musica di Andy Cowton.
Foto di Rolando Paolo Guerzoni
Messo in scena en
première, Here & After è un
passo a due atipico in cui la veterana della scena coreutica travolge e
costringe a tenere il passo la più che brava Emanuela che si cimenta in un
linguaggio a lei, di formazione accademica, non usuale. Eppure guidata e
spronata dallétoile, la Montanari è
allaltezza della situazione e insieme danno vita a una rutilante sequenza di
dinamici virtuosismi contemporanei, compresa unincursione nella Contact Improvisation, di grande impatto
visivo ed emotivo. Una sorta di iperuranio di bellezza ed eleganza in cui
Maliphant sonda tutte le capacità espressive e tecniche di questi due corpi per
poi alla fine vanificarle con lolala idi
del canto alpino, che cancella con ironia la magia creata dalle due
antagoniste.
In chiusura Life
in Progress ripropone Bye di Mats Ek sullArietta dalla Sonata in do
minore di Beethoven, creato da
Ek per la Guillem nel 2011 e presentato per la prima volta in Italia al
Pavarotti di Modena nellaprile 2012 nel trittico 6000 miles away e poi nel giugno seguente alla Biennale Danza di
Venezia, quando Sylvie fu insignita del Leone dOro alla carriera.
Terza coreografa firmata da Ek per la tersicorea
francese e dal titolo fortemente allusivo,
Bye è una sorta di monologo
interiore di una donna abbrutita dalla quotidianità, sciatta anche nel modo di
vestire con golfino, gonna ampia, scarpe pesanti, capelli tenuti da una treccia
disordinata, sguardo perso nel vuoto e proiettato su uno schermo gigante.
Schermo che diventa parete posta come ostacolo da superare e porta da passare
per iniziare una vita diversa in mezzo alla gente.
Vestita da Katrin
Brännström, illuminata dalle Luci di Erik
Berglund, ingigantita e rimpicciolita dalle video proiezioni di Elias Benxon, Sylvie mette a nudo la
psicologia femminile riflettendo su se stessa e sul rapporto con gli altri per
trovare nella danza il modo più congeniale di raccontarsi.
Foto di Rolando Paolo Guerzoni
Con uno stile centrato sulla gravità del corpo che
affonda in generosissimi pliés, su
scatti nervosi e nevrotici della gambe e della braccia, su linee spezzate e dégagées, la Guillem diventa in Bye figura di riferimento di una danza
contemporanea dal volto umano e persa nella folla virtuale saluta congedandosi
con il savoir-faire di chi cerca altri lidi su cui atterrare.
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