Spesso, o sempre, sono le necessità produttive della pratica scenica, gli imprevisti, le sovrapposizioni delle circostanze, a spingere attori, registi, scrittori a scegliere, a forgiare su misura, un certo tipo di drammaturgia -piuttosto che un altro- adattando, inventando, a seconda delle proprie esigenze e condizioni, con risultati ed esiti talvolta sorprendenti. Ubu and the Truth Commission (1997) è un caso esemplare di questa tendenza. Quando nel 1996 venne istituita nel Sudafrica la «Commissione per la verità e la riconciliazione», per far luce definitivamente sulle atrocità commesse allepoca dellapartheid, la compagnia sudafricana di teatro di figura Handspring Puppet Company, mossa da una forte istanza documentaristica, affidò al disegnatore e regista William Kentridge il compito di dar vita sulla scena alle testimonianze delle vittime, raccolte allora dalla commissione in un archivio storico. Kentridge aveva in programma, nello stesso periodo, un progetto di danza sullUbu roi di Alfred Jarry e ritenne di non aver abbastanza tempo per fare entrambe le cose al meglio. Così chiese e ottenne di unire le due produzioni. Assieme allautrice del testo Colleen Jane Taylor, il regista sudafricano compì una curiosa e azzardata contaminazione fra i racconti dei crimini efferati dellapartheid e il dinamismo delle atmosfere surreali da variopinto burlesque evocate dalle baruffe di «Pa Ubu» con lirascibile moglie «Ma Ubu». Loperazione compiuta da Kentridge non si fermò allincontro di questi due differenti piani, corrispondenti ad altrettanti rispettivi registri, quello epico e quello grottesco, ma volle andare oltre stratificando la scena di molteplici linguaggi. La forza dello spettacolo è, infatti, racchiusa nellibridazione e nella dialettica dei differenti mezzi espressivi impiegati: dalla proiezione di brevissimi flash di fatti storici reali, allampio utilizzo dellanimazione fino allincontro e la dialettica fra i pupazzi, manipolati impeccabilmente da Gabriel Marchand, Mandiseli Maseti, Mongi Mthombeni, con gli altri personaggi.
Un momento dello spettacolo
©Robyn Leigh Swart
Lo spettacolo viene riproposto, immutato, dopo quasi ventanni, a Firenze, grazie ad una co-produzione Fondazione del Teatro della Pergola con Romaeuropa Festival 2014. Il décor scenico è essenziale ma allo stesso tempo imponente: troneggia sul fondo della scena uno schermo, sul quale ciò che viene proiettato non è semplice scenografia ma assume nella vicenda un vero e proprio ruolo di personaggio. Sono animazioni, figurazioni astratte, ombre, porzioni di volti, che dialogano con gli altri personaggi, soprattutto con «Pa Ubu», che incarna in sé tutti i numerosi strumenti di violenza dellapartheid: la tortura, lomicidio e la violenza sessuale. A queste silhouette, che giganteggiano sul palcoscenico e ai pupazzi di Adrian Kohler, sgargianti quanto sinistri, è riservato il ruolo di ´personaggi seri`: a loro spetta il compito di denunciare i crimini subiti dalle vittime dellapartheid, di fare da cassa di risonanza delle voci, dei ripensamenti, dei conflitti interni che si agitano nella mente di «Pa Ubu». Cè Brutus, vizioso scagnozzo del sovrano, un cane con tre teste -quella del soldato, quella del generale e quella del politico- che parla e canta in versi, è indivisibile come le colpe commesse dal branco. Cè Niles, astuto animale da compagnia-consigliere di «Pa Ubu», un mostruoso coccodrillo dalle grandi fauci, con il corpo a forma borsa di «Ma Ubu», dove il re pensa di nascondere le prove che lo inchiodano come mandante di tutte le atrocità. Ci sono le marionette umanoidi, quelle dei parenti delle vittime: un manipolatore dà a loro voce nella loro lingua madre, quella zulù, mentre un altro attore traduce in inglese i loro crudi racconti dalla cabina-doccia di «Pa Ubu», che metaforicamente funge da ´lavabo` di tutte le crudeltà commesse dal re folle. Infine, non ultimo, ci sono le animazioni realizzate da Kentridge che danzano sullo schermo: macchine-robot, grandi occhi sgranati in primissimo piano, cartoon, che talvolta bucano lo schermo interagendo con i protagonisti, soprattutto con «Pa Ubu», quasi volessero spiarlo, giudicarlo e punirlo. Questa rottura dei vari piani è incisiva e sostenuta da una buona cura del sonoro, realizzato da Wilbert Schubel.
William Kentdrige
©Marc Shoul June
Il mondo fantasmagorico di pupazzi, immagini, stride con la violenza e la crudezza dei temi trattati, come con il continuo vaudeville delle baruffe matrimoniali di «Pa Ubu» (Dawid Minnaar), lanti-eroe per antonomasia, dai famelici e incontrollabili istinti sessuali e «Ma Ubu» (Bosi Zokufa), una giunonica matriarca afro, moglie sospettosa che riempie il tempo delle lunghe assenze del marito covando gelosie e sospetti di tradimento. I dialoghi dei litigi fra i due protagonisti della storia sono ridotti allosso, sono asciutti e incalzanti, mentre viene lasciato ampio spazio alle parole delle vittime, messe in bocca ai pupazzi e ai vaniloqui di «Pa Ubu», in compagnia del suo alter-ego, il coccodrillo Niles.
Questo spettacolo è sensazionale e sensazionalistico, ha tutti i connotati, canori e scenotecnici, della migliore tradizione musicale di Broadway, è molto ´americano`. Questo teatro non è sicuramente di ´parola`, non cè una ricerca drammaturgica particolare per tessere fitte trame testuali fra due, o più, soggetti diversi -come quelli di Ubu and the Truth commission- ma trae la sua forza nella commistione di diversi mezzi espressivi impiegati al massimo delle loro potenzialità, e nella bravura degli attori, formidabili cantanti e burattinai. È possibile paragonare, per antitesi, questo spettacolo ad un altro Ubu roi di attori e pupazzi, dalla drammaturgia ´mista`, quello italiano di Roberto Latini (2012): qui le interpolazioni fra le varie drammaturgie utilizzate e i fra i linguaggi impiegati acquistano senso paratatticamente, possono essere osservate da più punti di vista ed è soprattutto il testo, oltre alle atmosfere evocative, ed essere il punto di forza dello spettacolo.
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