La percezione della “meridionalità”, nei paesi nordici, obbedisce spesso a un cliché standardizzato: ancor più superficiale, daltronde, è lidea di nord e di est dEuropa da parte del “mediterraneo medio”, sempre pronto a porre sotto lo stesso ombrello nazioni e popoli diversissimi tra loro. In questa prospettiva non è stato un errore, da parte dellargentino Marcelo Lombardero (già baritono di non trascurabili meriti vocali, da qualche tempo passato alla regia), concepire per il pubblico baltico dellOpera di Riga, delle Nozze di Figaro che recuperano la dimensione spagnola della vicenda, per lo più ignorata dalle regie odierne: restituendola, nella scenografia e nelle luci, attraverso unambientazione moresca, afosa e assolata che non è certo quella tardosettecentesca di Da Ponte, ma trasmette lidea di un sud globalizzato – carnale e mafiosetto – ben recepibile dagli spettatori lettoni.
Inutile, quindi, cercare specificamente Siviglia. I confini tra diversi tipi di sud si confondono: la Spagna del libretto e litalianità di questo Mozart più latino che viennese virano verso un Sudamerica da telenovela, dove la folle journée di Beaumarchais mantiene il suo ritmo indiavolato, ma incanalandosi nei binari “seriali” della sit-com, mentre lanacronistico tema del ius primae noctis viene risolto trasformando il Conte da arrogante feudatario in politico-mandrillo (verosimilmente vicino alla destra militare) candidato alle presidenziali. Il tutto lavorando alacremente su recitazione e fisicità dei cantanti: è incredibile come il lettone Jānis Apeinis sembri perfettamente uscito, in occhiali neri e accappatoio, da una puntata di Anche i ricchi piangono; e la Contessa matronale e sensualissima, infelice e alcolizzata, di Evija Martinsone è a sua volta un ritratto di formidabile evidenza plastica, allinsegna duno psicologismo elementare (televisivo, appunto), ma proprio per questo di sicura presa.
Insomma, se Le nozze di Figaro approdano a unassoluta veridicità psicologica attraverso la finzione teatrale, lo spettacolo di Lombardero propone – in un percorso opposto – quel realismo quotidiano di marca televisiva che, per linveterata inclinazione della tv al trash più manipolato, si trasforma poi in sostanziale irrealtà. In tale contesto, una lettura musicale dimpronta spiccatamente settecentesca, magari con velleità filologiche, sarebbe stata fuor di luogo: sicché la concertazione di Andris Veismanis, priva di soverchie preoccupazioni stilistiche (ma ha senso parlare di uno stile circoscritto per un genio fuori dal tempo come Mozart?) e semmai incline a sonorità di stampo romantico, instaura una felice alchimia, in termini di dialettica fonica, con questa messinscena.
Foto di Gunars Janaitis
È una direzione, daltronde, che non manca di pregi intrinseci: per la calda compattezza ottenuta dagli archi dellOpera Nazionale Lettone (ulteriormente valorizzata dalla splendida acustica del teatro); per lattento dosaggio delle indicazioni di movimento (finalmente delle Nozze di Figaro non omologate in un unico respiro tachicardico, dove le differenze tra “Allegro”, “Allegretto” e “Allegro vivace” sono ben percepibili); per il rapporto sempre equilibrato con il palcoscenico (il protagonista Rihard Mačanovskis ha voce un po sottodimensionata rispetto agli altri interpreti, ma lorchestra non lo travolge mai). E se può sembrare strano che una lettura del genere azzardi poi licenze belcantistiche (le arie di Figaro e Cherubino qui hanno parchi abbellimenti), la cosa comunque non disturba.
Formato dai duttili elementi di una compagnia stabile, sempre pronti a trasformarsi da protagonisti a comprimari e viceversa, il cast vede una supremazia delle donne. Spicca la Martinsone, una Contessa che farebbe onore a qualsiasi teatro: per la viva personalità scenico-canora (perfino certe interiezioni isteriche nei recitativi, volute dalla regia, vengono realizzate con scioltezza e compenetrazione da grande artista), lineccepibile musicalità (impeccabile lintonazione di Porgi, amor, qualche ristoro, su cui sono scivolate cantanti ben più blasonate) e una morbida carnalità davvero ideale per il personaggio. Sbarazzina senza svenevolezze, Inga Šlubovska è a sua volta una Susanna di spessore (nonostante lostacolo del La grave in Deh! Vieni, non tardar sia aggirato con molta cautela) e tuttaltro che circoscritta nella dimensione della soubrette. Laura Grecka insuffla a Cherubino il giusto mix di giocosità e stupore, sensualità ancestrale e ambiguità androgina; e anche Kristīne Zadovska sembra cantante-attrice non trascurabile, pur nei limiti di una Marcellina ridotta a mera caratterista (laria “della capretta” è stata tagliata).
Detto che Krišjānis Norvelis e Mihail Chulpaev sono un Bartolo e un Basilio simpatici e funzionali, ma non memorabili, resta la coppia servo-padrone. Entrambi baritoni e accomunati da una pronuncia italiana eccellente, Mačanovskis e Apeinis mostrano peraltro caratteristiche diverse: il primo appare più esile e meno timbrato, con una brillantezza quasi cameristica; laltro sfoggia maggior robustezza, ma anche unemissione più ruvida, accompagnata da un fraseggio sanguigno – in linea con il Conte non proprio con quattro quarti di nobiltà concepito dalla regia – forse debitore delle lezioni del suo maestro italiano, Rolando Panerai.
Si esce di sala contenti, come sempre quando si scoprono nuovi teatri e nuovi interpreti, ma pure soddisfatti dello spettacolo in sé. Tra tante Nozze di Figaro che si limitano a cercare lattualità – anziché leternità – del lascito mozartiano, queste hanno almeno il pregio di costruire un congegno coerente dallinizio alla fine.
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