Non si contano ormai
più i registi tedeschi dorigine turca né i film che in un modo o nellaltro
hanno per protagonista lAnatolia, terra bellissima e cinematograficamente di
grande suggestione, oltre che variatissima nei suoi paesaggi e ricchissima di suggestioni
drammaturgiche: dalla tragedia epocale dellolocausto (qui presente con
lultima fatica di Fatih Akin) alle
mille suggestioni dellinurbamento, alla permanenze del rapporto primitivo con
la natura e lorganizzazione tribale. A questo terzo filone appartiene “Sivas”,di
Kaan Mujdeci (nato a Yozaght, in
Anatolia centrale appunto, trasferito a Berlino e laureato alla New York Film
Academy) film ostentatamente semplice nel soggetto ma altrettanto
ostentatamente sapiente nel maneggiare questa esibita semplicità. Volutamente
senza trama il film segue la maturazione di un bambino dellAnatolia rurale nella
sua quotidianità, fatta di emozioni non rivelate, di frustrazioni ma anche di
ambizioni e coraggio.
una scena del film Aslan è un ragazzino
undicenne che vive in un desolato villaggio la vita apparentemente lineare e
tranquilla di un adolescente alle prese con la scuola e i normali problemi di
relazione. In realtà Aslan è un pieno di sogni e di ambizioni, oltreché di
iniziativa, e resta profondamente deluso dallesclusione dal ruolo
protagonistico nella messinscena scolastica di Biancaneve e i sette nani:
niente principe e quindi niente possibilità di avvicinarsi alla bambina più
bella della classe, per la quale prova i primi turbamenti adolescenziali. Nel
vagare neghittoso per prati e campagne il ragazzo viene ad un certo punto
ammesso ad un notturno combattimento di cani. E una sorta di iniziazione che
lo scaraventa in un mondo primitivo e violento di sopraffazione e di regole
antiche. Quando Sivas, il cane perdente, viene abbandonato sulla riva del fiume
il coraggio e la testardaggine del bambino lo salvano e lo restituiscono ai
combattimenti. Lamore e le cure rendono a Sivas tutto il suo talento e lo
portano a vincere il campionato turco. Tutto illegale, naturalmente, tutto alla
luce delle torce con scene di assoluta violenza, quella dei cani non maggiore
di quella degli uomini. Il viaggio notturno per giungere al luogo del
combattimento e leccitato rientro mettono Sivas di fronte alla prima vera
prova della sua vita: ora ha davanti il suo futuro ma il film si ferma,
accortamente, prima che gli occhi grandi e profondi del bambino possano
assumere laspetto feroce e rozzo di quelli degli adulti.
Con qualche astuzia
stilistica “da concorso” il film procede con forza, con la macchina da presa a
mano a seguire fin nei minimi dettagli la violenza dei barbarici combattimenti,
per distendersi con pacata oggettività nel seguire i vagabondaggi
apparentemente casuali e senza meta del protagonista e della microsocietà che
lo circonda, inserendosi senza forzature nel filone garbato del romanzo di
formazione.
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