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Premio per la miglior sceneggiatura.
Il cerchio torna a chiudersi.


di Luigi Nepi
  Ghesseha
Data di pubblicazione su web 30/08/2014  

 

Era la prima Mostra del millennio (il direttore era, curiosamente, sempre Alberto Barbera) quando un giovane regista iraniano, Jafar Panahi, vinse il Leone d’oro cercando di raccontare la condizione femminile in Iran con Il cerchio, otto difficili storie di donne che nel finale si ritrovano e chiudono quella circolarità narrativa didascalicamente anticipata dal titolo. Quattordici anni dopo, mentre Panahi si trova agli arresti domiciliari, condannato per attività sovversive e costretto girare film dentro le mura di casa, arriva al Lido un altro film iraniano dal titolo ugualmente didascalico: Ghesseha ovvero Storie della regista Rakhshan Bani-Etemad, anche lei esponente di quella Nouvelle Vague persiana che a partire da Abbas Kiarostami ha rappresentato una delle realtà più interessanti degli ultimi decenni.

 

In Ghesseha Bani-Etemad ritrova alcuni dei personaggi dei suoi film precedenti e costruisce intorno a loro una struttura narrativa per la quale ogni protagonista, esaurita la sua storia, lascia il suo posto a uno dei personaggi incontrati nel suo percorso, fino all’inevitabile chiusura del cerchio sul regista di video che apre il film. Questo permette alla regista di mostrare diversi aspetti della società iraniana: il regista impegnato che non smette mai di usare la sua telecamera (“Filmare è il mio modo di guardare”), il tassista ex latitante che casualmente ritrova una sua amica d’infanzia fuggita di casa, la madre del tassista che protesta con gli altri operai per la chiusura della fabbrica in cui lavorava e i mancati pagamenti dello stipendio, il suo collega operaio che si scopre geloso del primo marito di sua moglie, il funzionario statale in pensione che si scontra con l’ostentato disinteresse del suo ex collega per il suo problema di assicurazione sanitaria, i figli che complottano contro i loro genitori la moglie ustionata e sfregiata dal marito e, infine, il tassista occasionale e la volontaria di un centro di accoglienza che cercano, invano, di iniziare un rapporto.

 

Una scena del film
 

L’uso che fa del cinema la regista iraniana si può definire sostanzialmente corretto, al limite dell’impersonale, ligio ai dettami di una struttura che tende, filmicamente, a sottolineare i rapporti e le interazioni tra i vari personaggi delle molte storie, separandoli con rigidi campi/controcampi quando sono destinati a non colmare la distanza che li divide, fino a comprenderli addirittura in un unico piano sequenza (che si fa benevolo e avvolgente nell’episodio del marito geloso) quando il loro legame è forte e saldo. Questo cinema quasi asettico non smuove il film da una sensazione di già visto, un manierismo che rimanda non solo al già citato Il cerchio di Panahi, ma, chiaramente, anche a Kiarostami soprattutto per le numerose scene che si svolgono all’interno di un’auto. Ghesseha ha comunque il grande merito di mostrarci come quella crisi globale, non solo economica, stia attraversando anche l’Iran degli ayatollah e lo fa, soprattutto, attraverso figure di donne forti, volitive, quasi tutte sposate più di una volta, spesso unico sostegno della famiglia, che piano piano stanno riacquistando una loro emancipazione all’interno di un contesto religiosamente maschilista. Ma attenzione: il fatto che il film non eviti di criticare l’attuale assetto della società iraniana non deve trarre in inganno, anzi i bersagli più evidenti di queste critiche sono talvolta caricaturali (la macchietta del funzionario statale che flirta al telefono con l’amante davanti al cittadino) o tutt’altro che eccessivi (i metodi con i quali la polizia cerca di fermare la protesta degli operai appaiono estremamente più civili di quelli di tante polizie occidentali). Insomma tra le sue storie Ghesseha racconta anche quella di un Iran quasi occidentalizzato, con gli stessi problemi di ogni paese industrializzato: le fabbriche che delocalizzano, l’assistenza sanitaria, la droga, la violenza sulle donne… e non a caso si conclude con un’inquadratura dei modernissimi svincoli stradali che attraversano Teheran: metafora delle tante vite che vi si intrecciano, ma anche di una nazione che vorrebbe dimostrare di essere ciò che sicuramente ancora non è.


 

Ghesseha
cast cast & credits
 


La locandina del film Ghesseha di Rakhshan Bani-Etemad


 
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