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San Francisco Ballet o l'Empireo della danza

di Gabriella Gori
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Data di pubblicazione su web 19/07/2014  


C’è una ‘candida rosa’ nell’Empireo, il cielo infinito di Dio, e di questo immenso fiore i petali sono i beati stessi che Dante raduna ideando per il suo paradiso poetico una figura che sostituisce quella della città celeste, presente nella tradizione biblica e dottrinale. Non sembri esagerato richiamarsi addirittura alla Divina Commedia per parlare di uno spettacolo e dei suoi interpreti, il San Francisco Ballet, perché spesso la letteratura offre degli esempi che si prestano a meraviglia a rendere l’idea di quello che si vuol dire.

 

Ebbene vedere il San Francisco Ballet al Teatro  Romano di Spoleto nella sezione del Festival dei Due Mondi curata da Alessandra Ferri, è capire il significato dell’essere un ‘petalo’ tra i ‘petali’ appartenenti alla “candida rosa” dei più importanti ed eccelsi corpi di ballo del nostro tempo.  


Un’occasione d’oro per apprezzare, dopo più di trent’anni dalla sua prima apparizione nella città umbra, la compagnia statunitense definita dal New York Times “tesoro nazionale”, conosciutissima negli Stati Uniti e a livello internazionale ma poco presente in Italia. Una lacuna colmata dal Festival spoletino e dalla sensibilità artistica della Ferri che arricchisce la proposta della danza d’estate nel ‘bel paese’ offrendo al pubblico un ‘petalo’ di questa ‘candida rosa’ dell’Empireo coreutico.      


Foto di AGF/ML Antonelli
Foto di AGF/ML Antonelli

Fondato nel 1933 e dunque prima dell’American Ballet Theatre che debuttò nel 1940 e New York City Ballet che risale al 1948, il San Francisco Ballet è una delle formazioni storiche del  ‘Nuovo Mondo’ e da trent’anni è diretto dall’islandese Helgi Tomasson.

 

Tomasson, scoperto da Jerome Robbins e diventato poi per anni Principal Dancer  del New York City Ballet, ha avuto un imprinting balanchiniano che ha riversato nel ‘suo’ San Francisco Ballet. Un magistero che lo ha portato ad ispirarsi al neoclassicismo di “Mister B” mantenendo il virtuosismo e la spettacolarità della danse d’école  ma rinnovandola con il dinamismo atletico della tecnica contemporanea e una cura tutta particolare per la resa stilistica del dettato coreografico.  

Una filosofia del movimento visibile in Tomasson come autore, ha creato oltre quaranta coreografie, e nella preparazione dei suoi ballerini forgiati con un metodo basato sull’allungamento, la verticalità, la leggerezza, la estrema mobilità del bacino e degli arti superiori e inferiori, la rapidità del lavoro dei piedi e della testa, l’equilibrio di forze centripete e centrifughe che rendono i corpi morbidi e al tempo stesso sostenuti da una visibile tensione muscolare.

 

Una sorta di iperuranio della perfezione accademica subito evidente nel primo pezzo dell’applauditissima serata 7 for Eight  firmato da Tomasson nel 2004 su Concerti di Bach.

 

Presentato in prima italiana  e costruito su sette movimenti per otto interpreti, 7 for Eight  è composto da passi due, passi a tre, passi a quattro, un solo variation e un ensemble finale in cui il neoclassicismo diventa ‘iperneoclassicismo’ andando oltre il modello e scegliendo la mise en noir di Sandra Woodall, là dove George Balanchine prediligeva il bianco.

 

Illuminati da David Finn gli otto superlativi ballerini sciorinano una serie di virtuosismi a catena e nel modularli passano dal lirismo adamantino al dinamismo frizzante, accentuando la geometricità degli enchaînements.  Una performance in cui non passa inosservata la splendida Yuan Yuan Tan con le sue bellissime gambe, le linee infinite, gli incredibili developpés, le sinuosissime braccia.


Foto di AGF/ML Antonelli
Foto di AGF/ML Antonelli

Una sofistichated Lady della danza perfettamente a suo agio ne duetti del 1° e 6° movimento con il partner, il danseur noble  Tiit Helimets. Un coppia a cui fanno eco gli altri protagonisti e in particolare Pascal Molat che nel 5° movimento coglie il destro offerto dalla musica barocca per inanellare strabilianti batterie e prodigiosi manèges.

 

Variations for Two Couples  di Hans van Manen, creato nel 2012 per Dutch National Ballet da un maestro del secondo Novecento e vincitore nello stesso anno del Premio Benois, è un esempio di resa coreutica in cui il linguaggio classico mantiene il suo rigore e per certi versi la sua albagia ma poi ‘si scioglie’ perseguendo una dinamica moderna nella vorticosità dei passaggi, nel taglio netto e preciso dell’esecuzione che evita la cantabilità accademica.

 

Su musiche di Britten, Rautavaara, Kovacs Tickmayer e Astor Piazzolla il superbo quartetto composto da Sofiane Sylve e Sarah Van Patten  in tuta blu e Luke Ingham e Carlos Quenedit in tuta violacea, ideate da Keso Dekker, rendono sapientemente lo stile Hans van Manen e confermano l’eccellenza del San Francisco Ballet.


Foto di AGF/ML Antonelli
Foto di AGF/ML Antonelli

La stessa eccellenza che si ripresenta con Voices of Spring che Frederick Ashton ideò per il Roysl Ballet nel 1977 sul valzer del Pipistrello di Strauss. Un prezioso ‘elzeviro’ di stampo super classico in cui risplende la frizzante e deliziosa Maria Kochetkova, affiancata da un ineccepibile Davit Karapetyan. Apparsa in un nuvola di petali di rosa che lei stessa sparge, la ravissant Maria mostra una tecnica portentosa nelle velocità con cui esegue i piccanti piquées e i briosi jetés, uniti ad un radioso sorriso e ad una elegante nonchalance come eleganti sono i costumi di Julia Trevelyan Oman.

 

In chiusura di serata From Foreign Lands di Alexei Ratmansky, un lavoro nato per il San Francisco Ballett nel 2013 e ora in prima italiana a Spoleto, è come dice il New York Time “un viaggio poetico attraverso l’Europa” su musica di Moszkowski. Il coreografo russo, artista residente all’American Ballet Theatre di New York, rende omaggio allo stile e al carattere della danza russa, italiana, tedesca, spagnola, polacca e ungherese, mettendo in scena  quattro quartetti, un ottetto e un ensemble. Una sorta di “centone” coreografico che ‘strizza l’occhio’ alla letteratura ballettistica con una voluta e palese citazione di tutto un repertorio di stilemi ottocenteschi e tardo ottocenteschi.  Anche se un po’ manieristico e lezioso perfino nei ricchi costumi disegnati da Colleen AtwoodFrom Foreign Lands ha tutta l’aria di un puro divertissement che sprigiona allegria e chiude alla grande una magnifica serata in cui i ‘petali’ californiani della “candida rosa” emanano un intenso e inebriante profumo.  




San Francisco Ballet


7 for eight
cast cast & credits
 


Variations for Two Couples
cast cast & credits
 


Voices of Spring
cast cast & credits
 


From Foreign Lands
cast cast & credits
 



 
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