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La crisi di mezz'età di Casanova

di Alice Pieroni
  Il ritorno di Casanova
Data di pubblicazione su web 11/06/2014  

 

Basse colonne con candelabri vuoti delimitano il luogo dell’azione scenica. Un tavolo rotondo, con relativa coppia di sedie, tutto in stile Settecento e qualche libro ingombrano il suggestivo cortile del Museo del Bargello. Stili ed epoche diverse si fondono e si confondono, al suono delicato di due xilofoni, per dar vita a Il ritorno di Casanova. La raffinata e decadente cornice coglie alla perfezione la crisi alla base del testo, tradotto e adattato dal regista Tiezzi, dell’austriaco Arthur Schnitzler.

 

Il racconto, composto nel 1918, descrive i profondi mutamenti europei alla fine del Primo Conflitto mondiale attraverso la travagliata vicenda personale del protagonista. Il disfacimento dell’Impero Asburgico è reso dal decadimento fisico di Casanova. Giunto al cinquantatreesimo anno di vita, con l’affermarsi delle idee illuministe, il libertino è smarrito e affranto. In preda allo sconforto, ricorda un triste episodio del passato.

 

A Mantova, dilaniato dalla nostalgia per Venezia e impegnato nella stesura di un pamphlet contro Voltaire, Casanova s’imbatte nel vecchio conoscente Olivo. La giovane nipote di quest’ultimo, Marcolina, solletica a tal punto la fantasia del protagonista da spingerlo ad accettare l’invito nella residenza di campagna dell’amico.

In un alternarsi continuo di sentimenti, il vecchio veneziano si dibatte fra la pulsione sessuale e un desiderio latente di morte. Lo sconcerto per il disinteresse della ragazza lo spingerà ad architettare un losco piano pur di possederla. Scoperta la liaison di Marcolina con il giovane e prestante sottotenente Lorenzi, Casanova ne approfitta proponendosi di saldare un debito di gioco del militare. Lorenzi, prossimo a partire per la guerra, accetta e concede al protagonista di accedere, sotto mentite spoglie, alla camera da letto della ragazza. Da Venezia intanto giunge il perdono per il protagonista, a patto di infiltrarsi come spia al servizio del Consiglio dei dieci.

 

Il tragico epilogo non si lascia attendere. Marcolina, scoperto l’impostore alle prime luci del mattino, inorridisce di fronte al corpo vecchio del veneziano. Casanova, consapevole ormai della propria fine, lascia la casa e parte per Venezia, s’imbatte però nel sottotenente. I due uomini si affrontano in un duello all’arma bianca. Contrariamente ad ogni previsione Casanova ferisce mortalmente l’avversario sancendo irrevocabilmente la propria fine.

 


Foto di scena di Luca Manfrini.


Tiezzi ha deciso di rendere il racconto di Schnitzler sotto forma di melologo, affidando a Sandro Lombardi il ruolo del protagonista. Nel buio della notte solamente il luogo dell’azione rimane illuminato. Una misteriosa figura mascherata, avvolta in un lungo mantello, con un tricorno in testa si accomoda, muta, su una delle sedie. Arriva Casanova-Lombardi, trafelato, tossendo; ha la parrucca in disordine. Il volto dipinto di bianco mostra i segni impietosi del tempo, la bocca tinta di nero è un ghigno mobile simile ad un taglio che riprende le sopracciglia pesantemente dipinte con un angolo innaturalmente appuntito. L’angoscia e il peso dell’età vengono magistralmente resi da Lombardi con una gamma variegata di timbri e modulazioni vocali. Nei momenti di maggior trasporto emotivo scivolano, nell’impeccabile dizione del protagonista, alcuni termini in veneziano. L’attore si dilunga nostalgicamente nel ricordo per calcare l’atteggiamento senile del personaggio.

 

Casanova è come preso dalla stesura delle sue memorie, si rivolge a se stesso in un dialogo muto; non sembra accorgersi dell’immobile interlocutore che lo fronteggia. L’individuo mascherato è come un’immagine speculare del protagonista, un riflesso della sua mente, una statua di cera che incarna il senso di colpa, gli spettri di un passato ormai soltanto ricordo agrodolce, rimpianto, rimorso, pentimento. I piani temporali si moltiplicano e si sovrappongono nell’amara consapevolezza dell’inutilità del presente.

 

I gesti di Lombardi sono misurati, minimi, servono a rompere la staticità della posizione seduta. L’attore  si destreggia con disinvoltura tra pochi ricercati oggetti: un ventaglio quadrato di stoffa, uno specchio rotondo da tavolo, libri, carte da gioco e piuma d’oca per scrivere. La mimica facciale è accentuata, esibita, forte.

Grazie all’estrema vicinanza, il pubblico riesce a cogliere tutte le variazioni nel volto del protagonista. Il violoncello e le percussioni accompagnano accuratamente l’altalena d’emozioni: dal trasporto per la giovane Marcolina, «il suo sorriso ringiovaniva il mio volto»; alla delusione dell’anonimato durante l’incontro con Lorenzi, «il mio volto in Lui non evocava nessuna avventura, nessun segreto». Le emozioni più forti e contrastanti il personaggio le esprime pensando a Venezia. Il trasporto con cui Casanova descrive la città è quasi di natura carnale. Venezia diventa «Venusia» amante anelata e lontana.

 

Il muto interlocutore mascherato, sul finire della messinscena, si scopre rivelando il volto del giovane sottotenente (Corso Pellegrini). Il contrasto tra Casanova e Lorenzi è forte, il primo è vecchio e vestito di nero, il secondo è giovane, fresco, indossa uno sgargiante completo verde. Unico neo di uno spettacolo ben diretto e ben recitato è proprio il divario enorme che separa la classe di Lombardi e la poca esperienza di Pellegrini.



Il ritorno di Casanova
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