drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Un affare di donne

di Vincenzo Borghetti
  Elektra
Data di pubblicazione su web 05/06/2014  

 

Gli uomini vanno in guerra, ritornano vincitori, e non immaginano neppure le distruzioni che causano a chi rimane, a chi subisce la loro assenza. Sono le donne che restano a casa. Se gli uomini agiscono sul campo di battaglia, padroni dell’azione e quindi del tempo, le donne abitano un luogo, la casa, appunto, il luogo dell'attesa indifferenziata, il luogo dove il tempo cessa di esistere. Luogo del non-tempo, la casa è però anche il luogo della riflessione, dove gli incubi prendono corpo e dove possono essere elaborati.

 

Nell’Elektra di Hugo von Hofmannsthal la casa è uno dei simboli possibili dell’inconscio che sta dietro alle azioni, uno spazio che si lascia indietro o in cui si è costretti, ma con cui è necessario fare i conti prima o poi. A casa Clitennestra attende dieci anni il ritorno di Agamennone, covando la sua rabbia contro chi le ha sacrificato la figlia Ifigenia. Dopo di lei Elettra e Crisotemide sono di nuovo bloccate in quella casa da un altro trauma domestico, che impedisce loro di agire, di uscire, di vivere. Oreste, lontano, non è nemmeno lui immune da quel trauma: quella casa tiene anche lui prigioniero, e deve tornarci e occuparsene, per poter crescere, finalmente adulto e libero.

 


Foto di scena di Brescia/Amisano.


La casa e i suoi ‘mostri’, soprattutto, sono per Hofmannsthal un affare di donne. In questa tragedia gli uomini agiscono, di conseguenza ci sono poco, sono un accidente necessario e passeggero. Sono, gli uomini, le figure meno moderne dell'Elektra di Hofmannsthal. Come nella Frau ohne Schatten, il processo di analisi e consapevolezza li coinvolge in modo solo indiretto, non vedendoli mai come i principali attori. La casa degli Atridi, infatti, è abitata (quasi) solo da donne, la regina, le principesse e le serve; gli uomini sono pochi, il loro ruolo nella storia è accessorio. E quando non lo è, come nel caso di Oreste, è comunque espressione di un’aspirazione femminile: Oreste vendica finalmente la morte del padre, realizzando, però, quella che per tutta l’opera è l’ossessione di sua sorella, Elettra.

 

Patrice Chéreau, di cui questa Elektra è l’ultimo allestimento operistico e a cui lo spettacolo è dedicato, parte dalla dimensione domestica della casa degli Atridi per la sua lettura della tragedia di Hofmannsthal. Non c'è niente che ricordi Micene, né nelle scene (di Richard Peduzzi), né nei costumi (di Caroline De Vivaise). Tutto è contemporaneo e sciatto, come in una casa qualunque. La scena mostra un cortile con un’entrata laterale da rimessa di campagna; l’ingresso centrale della reggia si distingue dal grigiore domestico circostante grazie ad un’apertura ad arco, unico segno di grandezza. La musica non inizia subito all’alzarsi del sipario: per alcuni minuti in scena ci sono solo le donne di servizio i cui movimenti sono scanditi dal ritmo ripetitivo della saggina che sfrega le scale, sottolineando così dall’inizio la dimensione domestica e al contempo rituale e simbolica della vicenda (una tragedia familiare, in cui si fanno ‘pulizie’ ben più radicali di quelle messe in atto dalle donne). In linea con questa scena demitizzata è la scelta dei costumi: Elektra e Crhysothemis sono vestite come le serve. Klytämnestra, invece, è una signora elegante al cui arrivo si srotola un tappeto rosso. Ma la sua è una eleganza dimessa, lontana dalla regina abbigliata in stile Klimt che il libretto descrive. I gesti e i movimenti dei personaggi, poi, non hanno nulla di ‘tragico’ nel senso enfatico del termine: la regia di Chéreau sceglie atteggiamenti e abiti da ordinaria disperazione. Per questo, infatti, in quei piccoli gesti che esibiscono uno scarto cerimoniale anche minimo, quali per esempio l'inchino dei vecchi servitori all'arrivo di Oreste e del suo tutore, gli sguardi e l’abbraccio tra Elettra e Oreste nella scena dell’agnizione, acquisiscono una forza drammatica dirompente, sebbene, anzi, proprio perché di una semplicità assoluta.

 


Foto di scena di Brescia/Amisano.


Questo realismo da videocamera si è spinto anche oltre, ha influenzato le scelte di casting. I vecchi servitori, i vecchi tutori sono qui grandi ‘vecchi’ cantanti. Roberta Alexander, Franz Mazura, Donald McIntyre (che calcavano le scene anni or sono, o, come nel caso del novantenne Mazura, molti anni or sono) salutano il nuovo padrone Oreste e si salutano tra loro con gesti affettuosi e deferenti. Le generazioni passate si ritrovano e accolgono le nuove, nella vita reale così come nella finzione operistica.

 

La regia di Chéreau ha trovato in Esa-Pekka Salonen un interprete d’eccezione. Il termine che mi pare più appropriato per definire la sua direzione è ‘implacabile’. I tempi e le dinamiche sono sempre sotto controllo: nonostante la partitura e il soggetto esasperati, Salonen tiene a bada la frenesia, mettendo in risalto passaggi in cui Richard Strauss gioca di sottrazione, nei contrappunti in piano dei fiati per esempio, più che nei ‘tutti’ orchestrali. Questo gioco di contenimento della partitura di Strauss permette a Salonen di accumulare gradualmente la tensione nel corso dell’opera: trattenuti, i deliri della scena ne risultano ingigantiti e intensificati ai limiti dell’insostenibile per chi assiste allo spettacolo, che conosce il suo sfogo davvero solo alla ripetizione del motivo di Agamennone in maggiore alla conclusione.

 


Foto di scena di Brescia/Amisano.


Cast ottimo. Come Elektra Evelyn Herlitzius ha cantato con ricchezza di colori e con una sicurezza del ruolo crescente nel corso della recita, sempre condotta con grande varietà e intensità interpretativa, sia dal punto di vista musicale che scenico. Con il suo timbro caldo e appassionato Adrianne Pieczonka (Chrysothemis) ha costituito il perfetto contrasto all’Elektra feroce e nevrotica di Herlitzius. Waltraud Meier ha prestato il suo carisma scenico a Klytämnestra, ma il personaggio è apparso vocalmente meno incisivo del solito, forse a causa della tessitura grave del ruolo. Immenso René Pape come Orest. Dal fondo della scena il cantante apre bocca e tutto il teatro risuona della sua voce: l’arrivo di Orest si concretizza come il punto nodale dell’opera, come una grandiosa apparizione divina, la materializzazione di un fantasma dell’inconscio di Elektra (impressione che immagino condivisa da molti in teatro, visto il successo tributato all’interprete). Bene il resto del cast. Commovente sotto tutti i punti di vista la presenza dei tre grandi ‘vecchi’ Franz Mazura (Pfleger des Orest), Donald McIntyre (Ein alter Diener) e Roberta Alexander (Fünfte Magd), come scrivevo sopra, nel doppio ruolo dei loro personaggi e di se stessi. Una menzione speciale a Roberta Alexander, che ha il ruolo più significativo tra i comprimari, e canta la quinta servitrice con una eleganza di fraseggio, un calore di timbro e una fragilità che solo una cantante di primo livello può garantire. Una diva resta sempre tale.

 

Grande successo per tutti, e commozione generale per il regista che ci ha lasciato prematuramente l'anno scorso.

 

 

 

Elektra



cast cast & credits


Foto di scena di Brescia/Amisano.




 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013