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Magic circle shakespeariano

di Chiara Schepis
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Data di pubblicazione su web 09/04/2014  

Il cerchio magico è un rituale di origini molto antiche, suo obiettivo era di creare con l'energia della mente uno spazio immaginario che dividesse il mondo del soprannaturale da quello materiale, in modo da avvicinarsi il più possibile al primo. Un cerchio magico, ma capovolto di funzione, è quello che crea Prospero-Binasco, mago regista di questa Tempesta “dell’arte”, artigianale e artigiana. Il cerchio della Popular Shakespeare Kompany è immanente e crea uno spazio di riflessione sull’oggi, teatrale e sociale. Se il mondo soprannaturale del rituale diventa, metaforicamente, la misteriosa opera shakespeariana – con tutti i suoi aspetti dialettici tra magico e terreno – e se il mondo materiale è il teatro, fatto di attori, corpi, scene, spazio, allora lo spazio immaginario che si crea è uno spazio di riflessione al centro della testa dello spettatore; il quale non si concentra però sul teatrale, che assapora con gusto, ma sulla società, sull’ umanità delle relazioni e sugli invisibili equilibri e forze che la regolano: potere e amore, sopraffazione e amore paterno, vendetta e amore filiale. 

Su queste linee, rette più che circolari, si struttura il macro cerchio che racchiude incipit e explicit della Tempesta di Valerio Binasco. L’immagine iniziale è quella di Prospero che fabbrica la sua vendetta/tempesta: solo, in ginocchio, in una scena a prima vista essenziale – in realtà inevitabilmente essenziale – arida, desolata, sanguigna in quelle pareti che danno forma ai luoghi dell’isola inospitale nella quale ha trovato rifugio il duca spodestato di Milano con la figlioletta Miranda (Deniz Ozdogan). Alla fine, circolarmente, quello stesso mago-naufrago, di nuovo duca, in ginocchio, ingrazia i venti prima di salpare alla volta di una vita ormai dedicata al rimpianto; la socialità umana si salva forse solo illusoriamente, mentre lo spiritello-clochardAriel (Fabrizio Contri, in maglia da Superman e soprabito) disegna in aria dei cerchi con il bastone della magia che adesso sospinge un sacchetto di plastica, simbolo del degrado cittadino.

In mezzo, l’intreccio. La vicenda, a tutti nota, di cui questo allestimento riattiva gli aspetti di più urgente contemporaneità e cattiveria, sottolineandoli attraverso un linguaggio originale e regionalmente connotato: è di Binasco il lavoro di traduzione che sostituisce una prosa pop alla lirica shakespeariana. Gli attori, spiritelli e regnanti compresi, vestono abiti contemporanei. La corte diventa classe dirigente in giacca e cravatta, cinque personaggi sudati, stanchi e volgari, che rimandano allo stato di degrado della società, mostrano, lasciati così allo sbaraglio, il peggio di loro stessi, per poi fomentare l’effetto comico e terribile sull’esclamazione di Miranda, fanciulla “naturale”, che li osserva estasiata: “che meraviglia questa umanità!”. Ai  ricchi fanno da contraltare, ma poi mica tanto, i componenti dell’equipaggio che si esprimono in pugliese e napoletano e che smorzano l’aria tesa della vendetta nei siparietti comici di cui sono protagonisti con Calibano, aulico e scurrile, figlio di strega o ragazzo di vita, interpretato da Gianmaria Martini che, costretto in posizioni “deformi”, suscita un senso di faticosa costrizione.

Binasco risolve il suo Prospero attraverso caratterizzazioni multiple: misurato e ironico quando interagisce con Ariel e Calibano, si fa amaro e cupo nei confronti dei “naufraghi”, per poi perdersi nel passionale e “materno” attaccamento nei confronti della figlia. Prospero-Binasco tocca, stringe, sposta, abbraccia Miranda; lo stesso regista afferma: «Prospero è un mago, ma ha fatto da madre ad una bimba di tre anni, lui l’ha accudita, lei gli ha insegnato a sorridere».

Il distacco dalla figlia pesa più della rinuncia alla vendetta, riottenere il Ducato di Milano non può bilanciare il fatto di  accettare l’amore della figlia per Ferdinando (Roberto Turchetta dalla “r” aristocratica). E tuttavia rinuncia al suo “pulcino”, si attarda in scena e viene accompagnato alla nave da Calibano, probabilmente unico bastone di una triste vecchiaia. Deniz Ozdogan regala invece a Miranda uno splendido e sostenuto disequilibrio del corpo, non ha sovrastrutture, non conosce le convenzioni ed è istintivamente portata ad amare. Nella rovina dell’umanità in tempesta è questa istintiva predisposizione all’amore l’unico segno di lieve ottimismo.


Il cerchio si spezza, lo spettatore esce da teatro, ma quella busta sospesa dal vento lo insegue al parcheggio, davanti al portone di casa, per strada mentre è distratto… piccola coincidenza fortuita che si inserisce in quello spazio di riflessione che le immagini del teatro, così contigue alla vita, hanno ancora la forza di stimolare.


La tempesta
cast cast & credits
 

Foto Pasino



 
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