Allinizio una valigia, alla fine il riferimento ad un libro di ricette internazionali. Sulla scena, per lintera durata di questo breve atto unico, un enorme nome, nero su un fondo di pannelli chiaro, composto da lettere deformate e quasi in movimento che, precipitando su un parquet di materiale specchiante, rendono scivoloso, pericolante, il suolo sotto i piedi della solista del dramma omonimo, annunciata dalla scritta cubitale: Anna Cappelli (Maria Paiato).
Pier Paolo Sepe, regista di questa pièce - con il supporto dello scenografo Francesco Ghisu - pare puntare laccento sullo spazio: la valigia onnipresente e questa scena tanto cupa ma dallaspetto così stranamente quotidiano riportano alla mente degli spettatori, contemporanei migranti, lidea di quei non luoghi, affollatissimi ma in fondo vuoti, che sono le stazioni ferroviarie o le metropolitane. Non luoghi che si deformano, urtando contro il bramoso bisogno della protagonista di stabilità, di mettere radici.
Maria Paiato-Anna dà mostra di vivere e sentire questo spazio, non lo abita, lo aggredisce; lo attraversa in quanto luogo di passaggio, e ne viene schiacciata senza mai renderlo, a suo modo, familiare. Anche quando le si scaglia contro e si incastra tra le enormi lettere che la citano, sono in realtà le cose e lo spazio a soffocare lei: con la sua valigia in mano e un cappottino chiaro anni sessanta abbinato a scarpe e borsetta, lattrice cinquantaduenne interpreta il ruolo di una ragazza di ventisette anni, senza che se ne abbia a notare alcuna sfasatura, tanto sono gli eventi a essere universali, piuttosto che i dettagli specifici. La Anna del capolavoro di Annibale Ruccello - Büchner napoletano morto troppo presto - non è la ragazza di Orvieto, impiegata al Comune di Latina, che aspira a “sistemarsi”, Anna è la faccia consenziente di tutte quelle generazioni che si sono ritrovate a dover fare i conti con una società che stava cambiando, troppo rapidamente e radicalmente, sotto i propri piedi. Nel caso della vicenda narrata il cambiamento è il boom economico degli anni sessanta, in senso mitologizzante, invece, questo testo ha la forza di comprenderli tutti: anche lattuale.
Maria Paiato (Anna Cappelli) Foto di Pepe Russo
La Paiato, pur impersonando un personaggio virato drasticamente al noir, lotta contro lo stereotipo, e lotta con le armi del suo bagaglio dattrice. Maria-Anna è un caso umano a tutto tondo ed è unopera darte tridimensionale, sempre sola al centro della scena, trafitta da luci che lallungano in strane ombre sul fondale, riflessa da questo pavimento che le scappa continuamente da sotto i piedi, la Paiato dimostra di essere una statua fatta di stili diversi: passa dallironico al tragico, dal finto naturalismo di un dialogo apparente al grottesco nero dellinvettiva, alla voce “tagliente” e registrata del finale. Un corpo mobile che si lancia in coreografie sottolineate dalle luci e dalla musica, come quando, per esempio, rende il senso del lavoro quotidiano, ripetitivo e noioso, attraverso un armonioso gioco di mani su una macchina da scrivere/pianoforte inesistente.
Anna Cappelli è una donna ossessionata dal possesso delle cose e dalle circostanze che potrebbero sottrargliele; non riesce a creare e mantenere rapporti sani con chi la circonda, e questi, gli Altri, a ben vedere non fanno diversamente. È una persona sola nel cuore di una società sempre più individualistica. La tragedia è subito raggiunta (lo spettacolo dura unora e il testo di Ruccello è altrettanto concentrato) quando il Ragionier Tonino Scarpa, scapolo che laveva convinta ad una convivenza, per i tempi, trasgressiva e che con la forza di una probabile superiorità intellettuale le aveva fatto accettare diversi compromessi, le annuncia che ha deciso di lasciarla. Gli aggettivi possessivi da soli non bastano più, la riflessione nasce da loro, dal linguaggio (e forse la Paiato avrà pensato al lavoro con Luca Ronconi): qual è il vero senso di “mio”?
La risposta è illogica e, ovviamente, inconcludente e si risolve in un delirio tutto da ascoltare. La Paiato, animalesca nei movimenti, bassa e accovacciata nei pressi della valigia aperta, tiene in mano un coltello, segnale del gesto tragico appena compiuto, subisce il peso della sua stessa voce metallica che pronuncia lultimo monologo di Anna Cappelli. Non si è limitata ad uccidere il suo uomo, lha ucciso e messo in conserva e adesso, sul momento di cominciare a cucinarlo – seguendo litinerario di un libro di ricette internazionali, in anticipo sul dilagante fenomeno dei reality culinari – tentenna… donna sola, mostro di tutti i tempi.
I tagli della regia sul testo di questultimo monologo, in relazione al calvario che anche la donna si appresta a percorrere, rischiano di togliere spessore e problematicità a un carattere fortemente ambiguo, di cui si sceglie, in questo allestimento, di mostrare un fondo nerissimo. La prova dattrice di Maria Paiato, aiutata dalla lingua di Ruccello, è aria fresca nella “puzza di pesce bollito” di certa drammaturgia nuova che dovrebbe porre più attenzione ai capolavori dellaltro ieri; per Ruccello, è chiaro, la tragedia moderna era ancora possibile.
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