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Cantata dolceamara, (quasi) patriottica

di Gianni Poli
  Italia, mia Italia
Data di pubblicazione su web 24/02/2014  

 

Fra confessioni sentimentali e liberi pensieri civili, nel suo recital Maddalena Crippa si concentra sulla propria identità di italiana, attrice, donna e cittadina. Ciò presuppone una prospettiva etica e partecipativa, in una situazione avvertita allarmante che provoca un tentativo di risposta artistica col ricorso a musica e parole cattivanti e significative: ingredienti sempre opportuni, in un cocktail di sapori e aromi bene assortiti. Come autrice, l’interprete si nutre di citazioni, si accompagna a personalità eminenti della nostra canzone d’autore e recupera inoltre certe impressioni pasoliniane da un lontano viaggio al Sud dell’intellettuale, stretto fra amarezze, stupori e rimpianti. In scena, il viaggio è soprattutto canoro e sorretto da esuberanza di espressione, gestuale e vocale, segnato da passione e tensione di fronte a scoperte razionali e a reazioni emotive sintomatiche. La pronuncia dei recitativi sorge netta; ora forte fino a martellare, ora ritaglia momenti di soffusa tenerezza. Il contributo della musica è fondamentale, nell’adattamento al ritmo della dizione e del canto della protagonista. La strumentazione di Massimo Gagliardi, per pianoforte solista e per un trio di chitarra, violoncello e contrabbasso, costituisce l’autentica regia sonora allo spettacolo.

 

Mi pare discreto e persino timido, in generale, l’intervento registico di Peter Stein, quando non smorza certe intonazioni liriche vibranti, accordate all’andamento di danza, a uno slancio che sale dai piedi alle braccia e alle mani della dicitrice - cantante. La performance prevede forza comunicativa diretta, coinvolgimento dello spettatore, che si presume almeno in sintonia. Viene espunta, forse per l’esperienza negativa delle repliche d’avvio, un’inquadratura dove il tricolore assumeva connotazioni visive troppo simbolicamente patriottiche. Qui resta ora il verde dell’abito lungo ed elegante della donna e i colori, rosso, violetto, azzurro degli sfondi cangianti alla luce. I «poeti» da lei convocati a questo incontro itinerante lungo la Penisola, sono dapprima Leopardi, con All’Italia e Pasolini, col racconto di un viaggio che la spinge fino in Sicilia e poi la riaccompagna, attraverso la Puglia silenziosa, al Friuli originario. Qui l’attrice compendia emozione e chiarezza interpretativa, rivivendo l’ingresso al «primo Friuli» dalla porta incantata di Grado. Mariangela Gualtieri – sola donna ispiratrice – le fornisce la coscienza del degrado e della paura, assieme alla speranza nell’affidarsi a figure confortanti, come quella di «chi sa fare il pane». Il canto prosegue con Una notte in Italia, di Ivano Fossati, distillandone forza e malinconia e applica la «cura» di Franco Battiato alla sua Nazione amata. Motivi di ripresa efficace provengono da Viaggiare, di Lucio Battisti, svolta in gradevoli variazioni sincopate. S’affaccia poi la vicenda sportiva ed esistenziale del Bartali ciclista, sbozzato da Paolo Conte.

 

Man mano, lentamente rammemorando, per immagini o scosse storiche anche imperiose (al richiamo esplicito a sentirsi tutti coinvolti) la protagonista ci guida dentro un passato capace di chiarire e spiegare il presente. Così le serate televisive di Canzonissima con la loro ideologia rassicurante, preludevano a una rivolta sfociata nel Maggio Sessantotto. E viene La canzone del maggio, di Fabrizio De André, seguita da La Storia siamo noi, di Francesco De Gregori, che conduce alla più sommessa devozione di Io che amo solo te, di Sergio Endrigo. La sensibilità personale è sempre rapportata a quella nazionale, per riscontrarne i tratti nobili, le potenzialità migliori. La «verità» italiana nasce certo da contrasti, che vengono esemplificati in L’Italiano, di Toto Cotugno e Amara terra mia, di Domenico Modugno. Speciale nella collocazione geografica che ne determina il ruolo culturale precipuo, l’Italia si protende allora, quale «ponte sul Mediterraneo», in latenza di civiltà «ecumenica» (per Franco Cassano, in Pæninsula) e può (deve) attendersi un «nuovo Rinascimento». Nel confronto fra serietà dei temi e fascino delle melodie, aleggia sempre il buon gusto d’una misurata ironia. Fra recitativo staccato e canto spiegato, l’attrice si congeda con la dichiarazione d’amore alla sua terra e alla sua gente, nell’abbraccio esteso ai figli dei novelli emigranti, divenuti anch’essi «italiani veri». Nell’entusiasmo, il pubblico reclama un bis e l’attrice felice lo esaudisce.

 

 

Italia, mia Italia
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