Oscura immensità. E alla mente, immediato, quasi per contrappasso, salta uno dei più celebri versi della letteratura italiana, «Millumino dimmenso», lunico della poesia Mattina di Giuseppe Ungaretti. Sappiamo, crediamo, forse persino ci auguriamo, che solitudine, dolore e morte siano umani e quindi universali. Diverse però, sono le reazioni a questi sentimenti, verrebbe da dire, “inammissibili”. Chi cerca un ricovero nella natura e nella luce dellalba e chi sta, prigioniero inerme di quelle inospitali sere e notti, in cui da tempo è stato ricacciato.
Così Silvano Contin, a cui vengono uccisi, durante una rapina, la moglie e il figlio di otto anni. Il colpevole condannato allergastolo, Raffaello Beggiato, è in carcere da quindici anni e chiede la sospensione della pena per motivi di salute: ha un cancro e vuole raccoglierne “i frutti” da uomo libero. Loscura immensità è, come da voce fuori campo, quella negli occhi della moglie di Contin, poco prima di morire. Il buio, quello reale, infinito, è il destino di chi resta, di entrambi.
Un momento dello spettacolo con Claudio Casadio sulla destra.
Foto di Gianmarco Chieregato.
Se è vero che labito non fa il monaco, è altrettanto evidente che Giulio Scarpati e Claudio Casadio rispondono a pieno alle richieste di un physique du rôle adatto allinterpretazione dei rispettivi personaggi. Volto angelico e silhouette indifesa per il primo; massiccio, terreno, aria da scugnizzo un po âgé, laltro. Niente di male in questa scelta di corrispondenza, ma la sensazione è che mentre Scarpati vibra costantemente per quella rabbia sotterranea sempre in agguato (che difatti scoppierà con luccisione del complice di Beggiato e della di lui moglie), Casadio non sembra pienamente convinto di ciò che ci racconta. Il physique du rôle diventa cliché, la voglia di cronaca e di realismo si traducono in parolacce e stereotipo. In sua difesa però, è bene dire che lutilizzo dei microfoni non rende merito in nessun modo al suo particolare timbro di voce che, seppur apprezzabile e apprezzato al cinema, non ci è dato sentire “al naturale” nemmeno nella sede a ciò deputata: il teatro.
Giulio Scarpati. Foto di Gianmarco Chieregato.
Le scene di Gianluca Amodio e gli effetti di Marco Schiavoni accompagnano le ultime regie di Alessandro Gassmann (come quella per il Riccardo III) e creano delle atmosfere suggestive, moderne.
Dai greci ad oggi, niente di nuovo sotto il sole, né tra le righe (di Massimo Carlotto) né sul palco. Piace avere la conferma, fossanche per unora e mezza, che non si può fare di tutta unerba un fascio e nemmeno dividere nettamente la scena, specialmente quella della vita, in due parti. Si è vittime e carnefici, tra sacro e blasfemo, morti mentre viviamo, innocenti finché non diventeremo colpevoli, mai più innocenti una volta accusati, impavidi e vigliacchi. Lo si ammette a volte. Si fa finta di niente per lo più. «Ma come cazzo ho fatto a sparare a un bambino di otto anni?». Lucidi, per qualche istante. Poi, necessariamente, oscuri.
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