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Forza e orrore dei sentimenti umani

di Giovanni Fornaro
  Elektra
Data di pubblicazione su web 19/02/2014  

 

La forza, la tragedia, la potenza – ma anche l’orrore – dei sentimenti, il degrado irreversibile dei rapporti familiari. Da questo magma psicologico elevato alla massima potenza emerge Elektra, ma anche Elektra: il personaggio tragico dell’opera di Sofocle (circa 409 a.C.), come la sua filiazione diretta nella drammaturgia di Hugo von Hofmannsthal (1906) e, infine, la filiazione della filiazione, trasposta in melodramma con la sublime scrittura musicale di Richard Strauss (1909).

 

Bellissima la scelta del teatro Petruzzelli di iniziare la stagione (con una co-produzione con il Teatro Lirico di Cagliari), celebrando il centenario e mezzo dalla nascita del compositore bavarese attraverso una delle sue opere forse meno rappresentate in Italia, collocata tra i grandi successi dell’ugualmente eversiva Salome (1905) e della più “normalizzata” (per quanto possa esserlo l’opera comico-simbolica di Strauss) Der Rosenkavalier (1911).

 

L’inizio della collaborazione, lunga e davvero speciale, tra due grandi artisti come Hofmannsthall e Strauss (Salome aveva invece il libretto di Oscar Wilde) non fu scevro di ulteriori riflessioni e ripensamenti e il poeta non aderì in modo acritico alla visione che il musicista diede della sua opera: più immediata e furente, diretta, quindi meno cerebrale della versione teatrale.

 

Questo si legge immediatamente nella partitura, un meraviglioso flusso sonoro che, pur riconoscendo la lezione wagneriana, se ne discosta per l’utilizzo di cellule tematiche minimali.

 


Un momento dello spettacolo. Foto di Carlo Cofano.

 

I momenti in cui una vera melodia rompe l’urlato magma sonoro sono rari e, guarda caso, corrispondono alle rade occasioni in cui i sentimenti non sono selvaggiamente eversivi: ad es., il confronto fra Elektra e la sorella Crisotemide, la quale non vive l’uccisione del padre Agamennone come un punto di non ritorno del proprio rapporto con la madre assassina Clitennestra, ma vorrebbe invece la serenità di una vita normale, un marito, dei figli. O, ancora, quando il fratello Oreste, allontanato dalla madre e creduto morto, si fa riconoscere da Elektra, che gioisce innanzi tutto per averlo ritrovato (qui il suo canto si distende presentando una emissione vocale anche più dispiegata), prima ancora di comprendere che ora il compito di uccidere Clitennestra e il suo amante Egisto spetta a lui, in una adesione totale e totalizzante ai risoluti propositi della sorella. Ed è permeato di una dolce melodia (quasi un valzer, bellissimo) anche il duetto fra Elektra e Crisemide, subito dopo il duplice omicidio avvenuto nel palazzo reale che è collocato fuori scena, un momento in cui la protagonista diviene finalmente, felicemente, più luminosa.

 

La decomposizione strutturale del nucleo familiare non può che essere mortifera. E il regista Gianni Amelio, passando – non è la prima volta – dal cinema al teatro musicale, propone una lettura consequenziale del testo, attraverso la presenza di un claustrofobico muro post-bellico, quasi un Mauer che si innalza a dividere il “palazzo” dal popolo (possibile chiave interpretativa politica?), in una scenografia, curata da Sergio Tramonti, scarna, fissa per tutto l’atto unico, che appare come una scogliera mediterranea, caratterizzata dai resti di un bunker ove Elektra vive, sottraendosi ai doveri di palazzo.

 

Se la dichiarata lettura di Amelio è quella di un recupero dell’ambientazione mitica, in un rispecchiarsi fondato sui topoi antropologici del Meridione europeo, tra prefiche e trance psico-terapeutiche, essa risulta alla fine corretta ma, forse, un po’ troppo timida, un voler fare un passo indietro, immagino, rispetto alla sofferenza interiore che emerge dalla furia iconoclasta di una vera e propria Erinni (se vogliamo chiudere il cerchio con l’eschiliana Orestiade).

 

In questo scenario così disgregato, anche i costumi – come le luci di Pasquale Mari – sono austeri e “oscuri” (ad eccezione di quello, bello e rosso come il sangue, di Clitennestra) e si richiamano alla classicità. Creati da Maurizio Millenotti, fasciano quasi esclusivamente personaggi femminili, come le ancelle che aprono lo spettacolo, le serve e le protagoniste.

 

Fra tutte, si muove con grande passione interiore Elektra, che Amelio permea di un fremito irrefrenabile, fra psicosi omicida e tenero amore (anche ambiguo: la famosa scena del bacio a Crisemide) per i due fratelli, tanto da trasferire in qualche caso i suoi gesti dall’azione teatrale a quella musicale, come a dirigere con le mani l’orchestra nei vittoriosi momenti di “pieno”.

 


Il direttore d'orchestra Jonathan Nott. Foto di Carlo Cofano.


Ed è molto brava e resistente Elena Pankratova, il soprano russo che, sempre in scena quasi dall’inizio, interpreta Elektra, non solo nell’uso della voce, in una partitura vocalmente accidentata ma, come riferito, anche nell’articolata interpretazione, che la conduce al suicidio finale nella voragine che si apre fra le rocce.

 

Molto interessante la delicata prestazione del bravo soprano bulgaro Alex Penda/Crisemide, mentre di notevole spessore, anche attoriale, quella di Natascha Petrinsky, una Clitennestra che si muove in un torbido chiaroscuro psicologico. Bravi, ma meno incisivi perché l’opera ha i suoi “fuochi” nei personaggi femminili, i protagonisti maschili: Oreste, interpretato da Egils Silins;  Egisto, qui Peter Bronder; il precettore, che è Graziano De Pace.

 

Assoluta protagonista – fatto irrinunciabile con una partitura di tale smagliante nitore, eseguita a Bari per la prima volta – l’Orchestra della Fondazione Petruzzelli, rinforzata da elementi della ICO Orchestra Tito Schipa di Lecce fino a superare i cento musicisti. La ferma guida di Jonathan Nott, direttore inglese di fama e notevoli esperienze internazionali (l’anno scorso ha diretto l’intero ciclo del Ring wagneriano, in forma di concerto, al prestigioso Festival di Lucerna), esperto della musica di Strauss, è molto concentrata e rispettosa degli intenti compositivi, contemporaneamente muscolare e onirica, con una notevole attenzione per le nutrite sezioni d’archi. L’ottima preparazione del coro residente è di  Franco Sebastiani.

 

Questa è stata l’ultima produzione che ha visto il commissario Fuortes alla guida della Fondazione Petruzzelli. Da La traviata del prossimo marzo, con la regia di Ferzan Φzpetek, troveremo il nuovo sovrintendente Massimo Biscardi, già direttore artistico del Teatro Lirico di Cagliari. Un compito difficile, anche per una riscontrata difformità di prospettive fra i soci stessi della Fondazione. Staremo a vedere.

 

 

Elektra
Tragedia in un atto


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