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L'ultimo viaggio di un Don Giovanni

di Alice Pieroni
  Il Don Giovanni, vivere è un abuso, mai un diritto
Data di pubblicazione su web 18/02/2014  

 

Un teatro della Pergola gremito accoglie trepidante il Don Giovanni di Filippo Timi. Non sorprende che il libertino, dissoluto e impenitente, rappresenti una facile attrattiva per gli spettatori contemporanei. Ma più che a un processo di autocritica, o alla curiosità per la rielaborazione di un classico, il pubblico sembra interessato all’attore protagonista. Le aspettative non verranno deluse, i possibili riferimenti a Molière e Mozart sono praticamente inesistenti, la riscrittura di Timi è radicale.

 

L’aria Vesti la giubba scuote il teatro. Il sipario si apre sul protagonista disteso, distrutto, disfatto, seminudo, avvinghiato a due corpi femminili. Don Giovanni si sveglia e, laccio emostatico al braccio, si droga. Inizia così un “viaggio” psichedelico e allucinato verso la morte.

 


 


Foto di scena di Achille La Pera


 

Circondati da una scenografia che alterna pareti imbottite (da stanza di contenimento) a un fondale barocco con soffitto affrescato, gli attori svelano il gioco teatrale aprendo e chiudendo le quinte, sempre assistiti da tecnici senza costume. Il protagonista-capocomico, conscio del proprio ruolo di seduttore, traghettatore e demiurgo, conduce colleghi e pubblico alla scoperta dei demoni della società contemporanea. Le devianze del rapporto amoroso sono declinate nelle tre amanti di Don Giovanni. Donna Elvira rappresenta l’annientamento dell’io della donna, di fronte all’uomo “padrone”. In nome del sentimento lei riesce a rinunciare a tutto, paradiso compreso. Lucia Mascino, con una recitazione caricata, riesce bene a restituirne l’ardore.

 

Donna Anna è l’infanzia violata, l’aggressività nata come reazione al trauma. Per lei amore sarà sempre sinonimo di vendetta, l’inferno è in terra, è reale e Don Giovanni è solamente un altro uomo da odiare. Elena Lietti rende la rigidità del personaggio attraverso l’accento tedesco. Zerlina, da semplice popolana, è l’emblema della donna che cede alle tentazioni e alle lusinghe dell’uomo potente. La giovane viene presentata come un bell’oggetto, un carillon umano, semplice e grazioso. Marina Rocco ne tratteggia l’ingenuità con un forte accento romanesco. Gli uomini non sono da meno. C’è il Commendatore pedofilo stupratore (Fulvio Accogli), l’infantile Ottavio (Matteo De Blasio), lo sciocco Masetto (Roberto Laureri), gli omosessuali Ludovico e Leporello, il Cristo morente in sedia a rotelle. Tutti vengono ugualmente sedotti e distrutti dalla dialettica del Don Giovanni, per lui tutto è gioco.

 


 


Foto di scena di Achille La Pera


 

Fedele accompagnatore è Leporello (Umberto Petranca). Grazie a lui il gioco servo/padrone è declinato nella maniera più classica della commedia. L’eterna fame del domestico, lo scambio d’abiti e i numerosi  sketch a sfondo sessuale scandiscono la rappresentazione. L’insistenza dei virtuosismi linguistici, su volgarità di ogni sorta, strappano facilmente applausi e risate ad una platea ammaliata.

 

L’affastellamento caotico di tematiche e generi crea sul palcoscenico un’atmosfera che ricorda la quotidianità confusa di tanti adolescenti. Il ballo sexy di Timi, ad apertura del secondo atto, la canzone che intona per ammansire Leporello (tratta da La Sirenetta Disney) sono gli atteggiamenti di un teenager sfrontato ed egocentrico. Quanto alle scelte musicali, degne di una playlist (Adriano Celentano, L’uomo tigre, Love to love you baby, Renato Zero, Pink Floyd), le proiezioni di filmati sul fondale, le luci fluorescenti e i costumi in plastica colorata, si ha quasi l’impressione di guardare un cartone animato giapponese. Tutto è festa, farsa, mascherata. Nessuna regola o valore morale, nessun Dio può porre un freno alle trasgressioni.

 

Che la morte e la relativa dannazione del protagonista siano dovute alla fine della sua adolescenza? L’incubo si concretizza con le responsabilità dell’età adulta? L’inferno che il Diavolo/servo (Alexandre Styker) mostra non è che un’altra faccia del paradiso. Dopo tutto la morte è fatta di carne nuda, pietanza adorata da Don Giovanni. L’eccellente cast si trova imprigionato in una pièce troppo lunga e caotica. Un pizzico di semplicità non avrebbe guastato.   




Il Don Giovanni, vivere è un abuso, mai un diritto
cast cast & credits
 



 
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