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Lettera da Londra

di Michele Manzotti
  Lettera da Londra
Data di pubblicazione su web 20/12/2013  

 

Steeleye Span & guests, Barbican Hall, 9 dicembre 2013

 

Sono in attività dal 1969, ma sembra che abbiano ritrovato l'entusiasmo di una volta. Nel 2011 hanno festeggiato la nuova formazione a sei riprendendo il titolo di un album fortunato prodotto da Ian Anderson dei Jethro Tull  Now we are six (again). Nell'anno che sta per chiudersi hanno invece dato alle stampe un disco con la collaborazione dello scrittore Terry Pratchett Wintersmith (Park Records), dal titolo di un libro dello stesso Pratchett. Gli Steeleye Span hanno chiuso il tour di  Wintersmith al Barbican di Londra davanti a un pubblico di fedelissimi del repertorio. La vecchia guardia è formata dalla cantante Maddy Prior, dal violinista Peter Knight e dal bassista Rick KempLiam Genockey è con il gruppo dal 1989, mentre i nuovi innesti sono rappresentati da Pete Zorn, polistrumentista già con la Albion Band e Richard Thompson, e dal chitarrista Julian Littman che ha preso il posto di Ken Nicol. Come ogni finale di stagione l'atmosfera è quella della festa. Per ospiti in apertura del concerto gli Steeleye Span hanno voluto John Spiers e Jon Boden, ovvero i leader dei Bellowhead che suonano spesso anche in duo e che hanno preparato il pubblico al punto giusto. Poi ecco la band e le note del nuovo disco a fare da protagoniste specialmente nella prima parte con brani come The Making of a Man, You, The Summer Lady e Dance the Dark Morris, che ha visto la presenza di quattro ballerini della Morris Dance, tipica specialità popolare inglese, vestiti di nero. Ma un concerto degli Steeleye Span vuole dire anche un repertorio lungo più di quarant'anni: ecco quindi brani come Cold Haily Windy Night (che ha aperto la serata), Edward, Seagull, Thomas the Rhymer. Tutto va nei binari di una professionalità consolidata e di una preparazione strumentale di livello tra cui citiamo lo stile violinistico di Knight e i vari strumenti suonati da Zorn. La voce della Prior, una delle più belle nel suo genere, ha risentito di qualche difficoltà nei toni più alti restando autorevole nel registro medio e nell'interpretazione. Un finale in crescendo: l'elettrica Bonny Black Hare, All Around My Hat con la partecipazione del pubblico nel ritornello e Gaudete dal disco Below The Salt, un brano natalizio a cappella che a suo tempo diventò una hit. Altri tempi e altra classe. Fortunatamente dimostrata tutt'ora con musica ed esibizioni di qualità.

 

The Puppini Sisters, Union Chapel, 10 dicembre 2013

 

Il repertorio natalizio è molto diffuso nei musicisti legati al genere swing. Non fanno eccezione The Puppini Sisters, un trio londinese il cui nome deriva da una delle tre componenti e che ha già al suo attivo quattro album e collaborazioni importanti come quella con Michael Bublé. Il look  delle cantanti, volutamente evidenziato nelle foto e negli abiti di scena, non deve trarre in inganno. The Puppini Sisters presentano infatti uno spettacolo fatto di voci talentuose, di armonie vocali ben costruite e di una sezione strumentale di supporto estremamente solida. A partire dai tre musicisti posti dietro le cantanti (chitarra, basso e batteria) per continuare con la sezione fiati e il quartetto d’archi. Inoltre Marcella Puppini, Emma Smith e Kate Mullins sono anch’esse strumentiste di ukulele, clavietta e fisarmonica anche se il loro punto di forza è la voce. Poi c’è il lato glamour che ha un ruolo parallelo e non secondario dato che il trio (una mora, una bionda e una rossa) ha molta cura per abiti e accessori appariscenti. Torniamo al repertorio proposto dal trio alla Union Chapel di Londra. Dopo il gruppo spalla Franky and the Jacks e il suo suono tex-mex, le sisters hanno alternato classici natalizi e brani dei loro album. Ecco quindi Let it Snow, Jingle Bells, White Christmas, una swingata Last Christmas di George Michael molto superiore all’originale, Santa Baby a celebrare l’atmosfera di festa a sua volta sottolineata dal quartetto d’archi e dalla sezione ottoni prima e durante il concerto. A tutto ciò si aggiungono brani come Boogie Woogie Bugle Boy (dal repertorio delle Andrew Sisters), Mr. Sandman e una straordinaria cover di Tu vuo fa l’americano di Renato Carosone affrontata alla velocità della luce. Ben venga il glamour se questo diventa un mezzo per far conoscere la  musica buona e divertente al tempo stesso.

 

Swingle Singers, Elgar Room della Royal Albert Hall, 11 dicembre 2013

 

Le celebrazioni sono giunte al termine. Iniziate a gennaio con il London A Cappella Festival sono terminate nella stessa capitale inglese con il concerto nella Elgar Room della Royal Albert Hall. Parliamo degli Swingle Singers, il gruppo vocale che in questo 2013 ha festeggiato i suoi 50 anni di attività. Nel 1963 l'uscita del disco Jazz Sébastien Bach infatti lanciò sul mercato mondiale un nuovo modo di fare jazz grazie alla classica che in Italia è conosciuto grazie alla sigla della trasmissione Rai Superquark. Lo stile si è evoluto durante i cinque decenni fino all'attuale formazione a sette che si esibisce a cappella e che negli ultimi anni si è lanciato verso il futuro con nuove idee. Il concerto alla Elgar Room, che ha una capienza limitata, ha in pratica assunto più le caratteristiche di una festa di compleanno, anche se gli elementi di interesse musicali non sono mancati. Innanzitutto il repertorio che ha visto la presenza di molti brani originali oltre alle consuete reinterpretazioni di Piazzolla (Libertango), Mumford & Sons (After the Storm), Elbow (Weather to Fly), Donizetti (The Diva Aria) e altre. Poi l'annuncio di un nuovo album a breve distanza da Weather to Fly (World Village/Ducale), e in via di realizzazione grazie al contributo di sostenitori. Quindi la presenza in alcuni brani di un batterista (Joshua Blackmore) e di un bassista (Loz Garratt), sezione ritmica che faceva parte dello stile Swingle nel primo decennio del gruppo. Due strumenti a cui si è aggiunto un pianoforte (registrato) eseguito dal contralto Clare Wheeler in un duetto virtuale tra il gruppo e la voce di Billie Holiday e una chitarra imbracciata dal basso Edward Randell in un brano (Burden, ballata dal sapore folk) da lui stesso composto. Ma anche parte del pubblico è stata a suo modo protagonista dato che c'erano molti ex componenti del gruppo, a partire dal soprano Olive Simpson, protagonista negli Swingle negli anni '70. Bach e la sua Arte della fuga sono tormati a risuonare come alle origini: poi tutti sul palco per la foto di gruppo e per le Country Dances arrangiate da Ward Swingle. Ovvero il fondatore del gruppo, americano nato nel 1927,  il quale ha inviato un messaggio di auguri dalla Francia dove vive tutt'ora e dove nacque l'esperienza del gruppo. Che oggi, dalla base di Londra, continua con successo in tutto il mondo.

 

Steeleye Span, Puppini Sisters, Swingle Singers



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