Toni Servillo sceglie una tra le commedie più “immediate” di Eduardo. In scena per la prima volta al Teatro Nuovo di Milano l11 dicembre 1948, Le voci dentro era stata scritta pressoché in una settimana per ovviare al rinvio dellaltra novità stagionale: La grande magia. Velocità di stesura. Rapidità di allestimento. Urgenza di contenuti.
Alberto Saporito denuncia i suoi vicini di casa per omicidio. Non fa in tempo a rendersi conto di aver sognato tutto che questi, incuranti dei suoi passi indietro e delle relative richieste di scuse, fanno fuoco luno sullaltro con illazioni e accuse dassassinio. Alla fine, nessun cadavere, ad eccezione della vera morta ammazzata: la fiducia, o meglio, la stima reciproca.
Carlo (Peppe Servillo) e Alberto Saporito (Toni Servillo). Foto di Fabio Esposito
Servillo recupera Eduardo, rende merito ad autore, regista ed interprete con una rappresentazione tradizionale. Non cè voglia di stupire o di stravolgere loriginale. Nessuna smania di strafare. La sua macchina teatrale e linterpretazione nei panni del protagonista dimostrano un avvicinamento al testo rispettoso e consapevole anche della sua fortuna scenica. Inoltre, appare chiara nellattore la capacità di adattamento del personaggio alle proprie costanti stilistiche senza però, fortunatamente, renderlo schiavo desse. Il rischio era infatti quello di proporre una variante ripetitiva del suo personaggio-maschera tanto caro a cinema e teatro, a pubblico e critica. Lattore non si adagia sugli allori delle sue già riconosciute potenzialità interpretative né cerca di rievocare la naturalezza espressiva di chi aveva cucito, sulla carta e su se stesso, quel personaggio. Si mette alla prova. Liniziale logorrea allegra e a senso unico (si direbbe che Alberto se la suona e se la canta), i sussulti di parole incerte dei momenti centrali, i molti silenzi allarmati dellultima parte, tutto sottolinea e fa da significante ad una presa di coscienza: lirrisolta incapacità verbale a cui gli eventi hanno condotto il protagonista. Oltre al monologo conclusivo di rito, Alberto non riuscirà ad esprimere fino in fondo quel che invece ha capito per un attimo, del tutto. E non a caso, Servillo punta sullunica reazione, più o meno utile, di cui è capace: lo schiaffo al fratello.
Carlo Saporito è interpretato da un Peppe Servillo invecchiato e “rincarcato” quanto basta. Il fratello darte del regista gioca con la testa come una tartaruga che cerca di raggiungere linsalata. Spalla a spalla con Alberto. Gli altri personaggi ugualmente, volutamente e paradossalmente gli si rivolgono spesso con una vicinanza innaturale, fastidiosa, viscida. Appiccicosi, quasi a ricordarsi a vicenda che in due sul ciglio del baratro non si può stare e che, come dice Luigi, «se non morite voi, non cè scampo per noi». Ergo, più siamo vicini, meglio riusciremo a spingerci di sotto.
Sulla sinistra: Rosa (Betti Pedrazzi), Maria (Chiara Baffi) e Pasquale (Gigio Morra). A destra i fratelli Saporito (Peppe e Toni Servillo). Foto di Fabio Esposito.
Tra gli altri attori, convince Chiara Baffi (Maria). La rappresentazione si apre sulla bella e doppia immagine del suo sonno al tavolo di cucina. Le scene di Lino Fiorito si apprezzano per la loro semplicità elegante ed irreale. Insomma, le promesse sembrano mantenute. Niente, di questo allestimento, ci lascia a bocca aperta, ma nessuno dice che così devessere per forza.
Se non che, sulla via del ritorno, mi chiedo che cosa avesse tanto da ridere quello spettatore davanti a me e anche quei due nelle file dietro, per non parlare della signora dalla grassa risata nel palco a sinistra. Poi arrivo a casa e risfoglio la commedia. Leggo anche una recensione di Silvio dAmico alla rappresentazione del febbraio 1949 allEliseo. Nel suo commento si parla niente meno che di «abbondanti scoppi di ilarità» e dAmico dubita che lo spettatore «si sia sempre reso conto della disperazione di cui ribocca» lopera di Eduardo. Sarà una coincidenza.
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