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L’ingiustizia smaschera se stessa

di Gianni Poli
  La brocca rotta
Data di pubblicazione su web 20/11/2013  

 

Ricordo due edizioni della commedia di Kleist, una recente, diretta da Peter Stein a San Pietroburgo, in occasione del conferimento del Premio Europa per il Teatro nel 2011, e una lontana, con la regia di Marco Sciaccaluga al Teatro Stabile di Genova nel 1982. Per paragone spontaneo, noto che nella versione tedesca con Klaus Maria Brandauer (Adam) e Martin Seifert (Walter), la ricerca della verità si sviluppava, dalla  prima allusione inconsapevole del protagonista, in dibattito serrato, con qualche virtuosismo nella dizione nitida e percussiva che accompagnava il linguaggio lirico. Con Eros Pagni (Adamo) e Ferruccio De Ceresa (Walter), si toccava forse per la prima volta in Italia una problematica così approfondita sulla poetica dell’autore e una resa interpretativa di tale originalità. Significativa anche la creazione storica di Weimar nel 1807, quando Goethe si dissociava dall’insuccesso, imputando all’autore la lentezza d’azione della commedia. Eppure, quale regista il poeta l’aveva rappresentata in tre atti, spezzandone la continuità e aggravandone proprio la supposta lentezza.


 


Carlo Simoni (Walter, consigliere), Patrizia Milani (Marta Rull), Paolo Bonacelli (Adamo, giudice). Foto di Tommaso Le Pera

 

Lo spettacolo del Teatro Stabile di Bolzano parte dalla traduzione di Cesare Lievi (già regista dell’opera nel 2003, al Teatro Stabile di Brescia), che restituisce in prosa la bellezza dell’originale in versi, quasi quella forma gli paresse inarrivabile, o inattuale. Nella riduzione – che Marco Bernardi persegue con cautela, per  chiarire e alleggerire il testo, tagliando le tirate e le digressioni più tortuose – il risultato è di tesa attenzione per un crescendo di sollecitazioni avvincente. La preziosa fattura dell’opera, come quella dell’oggetto del titolo, è dovuta alla precisione della struttura, alla varietà e coerenza dei personaggi; a un linguaggio in cui la poesia non elude mai l’autenticità del reale, sia pure riferita a un’epoca e a un luogo (XVIII secolo, Paesi Bassi) un po’ favoleggiati. La delusione dell’autore per il declino della Nazione sotto l’urto napoleonico, si sconta anche attraverso il mutare del primitivo slancio romantico in intonazioni tormentate e ansie insolubili.


 


Patrizia Milani (Marta Rull). Foto di Tommaso Le Pera


 

Qui il giudice Adamo, rovesciando i ruoli biblici, è il tentatore di una novella Eva, in un’azione seduttiva, disonesta e maldestra che gli procura ferite, lo coinvolge in un penoso processo, fino alla condanna e alla fuga ignominiosa. O altrimenti, è protagonista di un’inchiesta in cui, come Edipo, indaga su se stesso, già sapendosi colpevole. La comicità emerge dall’accumulare bugie, sui lapsus e la confusione seguiti alla spedizione notturna in casa della giovane virtuosa, difesa dal fidanzato. Svegliatosi infatti da un incubo premonitore (ha sognato di essere accusato e di sanzionare da sé la propria condanna), il Giudice riconosce che «tutti noi la pietra dell’inciampo, o dello scandalo, ce la portiamo dentro». Ulteriormente turbato dalla visita inattesa del Consigliere ispettore, apre la giornata giudiziaria ascoltando la querela d’una donna che accusa il fidanzato della figlia di avere danneggiato una preziosa brocca, mentre insidiava la virtù della ragazza. Fra accuse e fraintendimenti, ipocrisie e reticenze, avanza il processo per successive rivelazioni, guidate più dal Consigliere che dal giudice titolare. Lo spazio scenico è allestito da Gisbert Jaekel come un’aula delle udienze, disposta ad angolo diedro (come nei due precedenti spettacoli italiani). A sinistra, la scrivania del funzionario lascia intravedere scaffali d’archivio e una stia con due conigli. A destra, una lunga panca scomoda per il pubblico. Segni del tempo e dell’incuria, i muri crepati, le ragnatele sui vetri, denunciano l’esercizio degradato della giustizia nel luogo. Toni caldi e bruniti, vagamente fiamminghi, segnano i costumi di Roberto Banci. Ammesso un nucleo da pochade, la commedia potrebbe farsi drammatica, o tingersi di giallo. In effetti la recitazione non indulge alla sottolineatura farsesca. Spesso l’ironia irride il patos e il loro contrasto sorge all’apparizione del malconcio Adamo, con due bozzi in testa e la gamba sinistra escoriata, continua nella querela della signora Marta, nello scontro fra i fidanzati. Così la comicità può cedere alla riflessione sui vizi e sulle debolezze dei protagonisti. Adamo ha in Paolo Bonacelli una presenza corposa e una mimica duttile e variegata. Vive l’assuefazione alla menzogna; il compromesso e il disordine trasudano dai dettagli d’espressione e di contegno. L’attore s’affida molto al timbro basso della voce impastata, quando annaspa e farfuglia nelle contraddittorie giustificazioni, o ripete le formule di rito soffocandole nella banalità, mostrando come l’usura della forma sia ormai deformazione della sostanza. Il Consigliere di Carlo Simoni afferma autorevole il rigore della sua missione, sereno e fiducioso nell’istituzione. Orientato dall’intuito e dall’evidenza, circoscrive i ruoli e le responsabilità in gioco. S’impone come il «regista» della lunga seduta e la conclude con la sentenza. Severo nel procedimento, eppure umano e comprensivo nello strano verdetto. Patrizia Milani è calda e veemente Marta, nell’impeto della denuncia. Epicamente persuasiva e commossa nell’illustrare pregi e storia dell’amata brocca, vinta dall’umiliazione e convinta non rassegnata del disonore che sembra investire la figlia. Lume (Roberto Tesconi) è il Cancelliere abile e malizioso, registratore implacabile degli errori del superiore. Spontanea e simpaticamente stilizzata la reazione dei promessi sposi, travolti dall’equivoco. Irene Villa cela bene l’angoscioso segreto di Eva, necessario e opprimente, nel ricatto dell’aggressore. Non dimostra tutta la nobiltà di spirito e di aspirazioni, rispetto alla più modesta personalità del compagno, che Kleist le attribuiva, idealizzando il personaggio femminile. Placa generosa le accuse infamanti di Ruprecht, un Riccardo Sinibaldi sinceramente indignato, imprecante alla prospettiva di scoprirsi cornuto. Giovanna Rossi dà peso alla testimonianza di Brigida, complemento delle prove decisive contro il giudice. Questa sorta di parabola sulla giustizia infedele indotta a smascherarsi da sola, funziona felicemente nell’allestimento di Marco Bernardi, affidato a una Compagnia che comunica stupore per l’alternanza delle situazioni, la sapidità delle battute, l’ambiguo scioglimento, in un finale non consolatorio, ma sospeso nell’incanto persistente della poesia.


 

La brocca rotta
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