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Quando la regia è una questione di etica

di Elisa Uffreduzzi
  Tir
Data di pubblicazione su web 18/11/2013  

Branko (Branko Završan), ex insegnante croato, per esigenze economiche è costretto a lavorare come camionista presso un’azienda di trasporti italiana. Sul suo tir, oppresso da orari di lavoro massacranti, percorre le strade dell’Italia e oltre, spingendosi al di là dei confini nazionali. Durante questo lento e costante peregrinare, emergono la sua storia e quella di Maki (Marijan Šestak), suo collega nonché copilota per un tratto di strada.

Partito come documentario, poi approdato alla forma della fiction, Tir è un film che fa molto con poco: pochi soldi, poche location - sostanzialmente riducibili all’abitacolo del/dei camion - e pochi personaggi (solo Branko e Maki in fin dei conti).

Dopo cinque anni di ricerche sul campo, il regista di San Vito (Pordenone) vira verso la fiction ricorrendo alla suspense che nasce dalla consapevolezza delle condizioni di estrema stanchezza in cui guida il protagonista e alla tensione emotiva scaturita dalle conversazioni telefoniche che intrattiene con la moglie e il figlio. Questi due semplici elementi  narrativi sono sufficienti a creare una storia, o meglio a farci fare un tratto di strada insieme a Branko. Sfruttando un espediente narrativo simile a quello di Locke (di Steven Knight, 2013), recentemente visto alla 70Ş Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Alberto Fasulo riesce a raccontare in modo appassionate la storia di Branko, oggi drammaticamente simile a quella di tanti altri.

Tir funziona innanzitutto perché trasuda verità, di situazioni e personaggi. Questi ultimi prima che interpreti sono soprattutto persone, sulla scena come nella vita: Branko Završan, attore professionista, si è letteralmente tuffato in questo progetto, facendo un ammirevole sforzo di immedesimazione nel personaggio. Per la sua interpretazione, infatti, ha conseguito la patente di guida specifica per il tir, facendosi poi assumere realmente da una ditta di trasporti e svolgendo quindi quel lavoro per sei mesi. Dunque in tal senso ha recitato se stesso nel film, al pari di Marijan Šestak, camionista di professione, cui ha fatto da coach per tramutarlo in Maki. Šestak, come sottolinea lo stesso Završan, dimostra un talento naturale notevole, «un dono inatteso» nel contesto del set.

Percorrendo in modo solo tangenziale la strada del documentario intrapresa con Rumore Bianco (2008), Fasulo tenta un tragitto diverso, con risultati ammirevoli. Quella di Tir è infatti una formula che, tesa tra realtà e finzione, restituisce un volto e uno spessore etico a un aspetto dell’attualità che spesso affiora a fatica dalle pagine dei quotidiani, spersonalizzato e sbiadito dai toni didascalici della cronaca giornalistica.

Del resto, di “istanza etica” sottesa al film è lecito parlare proprio a partire dalla regia: perché raccontare una crisi che è morale prima che economica era tra gli obiettivi di Fasulo e perché, filmando in prima persona, a stretto contatto con gli attori nel ridotto abitacolo del camion, egli ha costruito con la realtà ripresa una relazione di prossimità fisica e morale allo stesso tempo.

Laddove Rumore Bianco indagava il rapporto tra uomo e ambiente (il fiume), Tir approfondisce quello di un uomo a confronto con un lavoro alienante e la sua famiglia (la moglie, il figlio).

La sceneggiatura (di Enrico Vecchi, Carlo Arciero, Branko Završan e Alberto Fasulo), dai dialoghi essenziali, non limita qui il respiro documentaristico di Fasulo. Le battute, tutte funzionali se non al racconto - ché la linea narrativa è volutamente esile - quantomeno al disegno dei profili psicologici ed emotivi, dialogano costantemente con la partitura “musicale” del film. In realtà Tir manca di una colonna sonora propriamente detta. Fasulo ha infatti voluto lasciare che fossero i rumori della cabina del (dei) tir e della strada a costituire l’unico sottofondo sonoro del film. Una scelta motivata dalla precisa volontà di non condizionare lo spettatore inducendogli delle emozioni. Nel rispetto del pubblico e della storia che racconta, che assurge a simbolo di tante altre.



Tir
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