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Il “Cammino” di Pinocchio: incubo o incanto?

di Chiara Schepis
  Pinocchio
Data di pubblicazione su web 13/11/2013  

 

Ugo Chiti ha aperto ancora una volta il baule del teatro, e quando apre il sipario al suo Pinocchio assistiamo alla nascita di un essere demoniaco, forgiato in un antro oscuro e minaccioso; luogo popolato da presenze, voci e rumori che hanno poco di umano. Sul palcoscenico regna il nero della sera-notte perenne, sfondo del cammino-calvario di un Pinocchio (Paolo Cioni, che vagamente fa pensare al Benigni cinematografico) alle prese con una difficile iniziazione “pre-natale”. La scena, essenziale e anti-illusionistica, è composta da pannelli neri che scorrono su binari, spostando così le loro porte - aperture su altri spazi e altri mondi - che richiamano L’Abissina, proposta dalla stessa Arca Azzurra Teatro durante la scorsa stagione. Completano la scena dei cubi-sgabello, componibili e di varia grandezza, una poltrona e qualche oggetto dal carattere ora metaforico, ora metonimico. I corpi dei personaggi sono camuffati o evidenziati da due tipologie di costume, che rimandano entrambe ad un tempo altro ma vago, e richiamano, da un lato, il mondo contadino, povero e terragno, dall’altro il mondo del sogno-teatro-circo, colorato e scintillante, solo a volte fiabesco.

 

Attraverso il movimento armonico di scenografia e di corpi Chiti, da artigiano-mago, compone i luoghi fantastici dei suoi attori-personaggi. Il gioco metateatrale è dichiarato in partenza: in scena vediamo attori che interpretano una sarabanda di personaggi; un’intera compagnia, forte di un’esperienza ormai trentennale, che si misura attraverso i mezzi del teatro con il più popolare romanzo italiano, riproposto nella versione del regista-poeta di compagnia. Tutto è estremamente convenzionale, dai cambi di scena agli oggetti che vengono animati a vista, agli attori marionettisti, servi di scena di un evocato teatro orientale. Questi ultimi costituiscono una particolare eccezione, vestiti come sono di una “divisa” nera, sempre impegnati in azioni funzionali, da soli o in gruppi da cinque, a volte risulteranno invisibili, come quando reggono il burattino di Pinocchio, altre volte visibilissimi nel ruolo, ad esempio, dei Forzaioli.

 

Lo spettatore viene posto di fronte alla finzione, la scena gli nega l’illusione contravvenendo all’orizzonte d’attesa di chi si appresta a lasciarsi ninnare da una fiaba. Gli attori continuano insistentemente a presentarci i loro personaggi: vestendosi e svestendosi, come il grillo/pappagallo/tonno Massimo Salvianti, coscienza in forma di precettore saccente; venendo in proscenio e apostrofando il pubblico con gli insistenti «Come si sa, come sapete, come sappiamo» della spettrale Fata bambina-Lucia Socci (vagamente “alla Tim Burton”- ma a ben pensarci è forse Burton ad essere collodiano) che da narratrice arriva a riassume felicemente un intero atto -il secondo. Questo riassunto è vivacizzato dalla giustapposizione di alcune scene-chiave, animate da un perpetuo costituire e infrangere la finzione scenica, entrare e uscire degli attori dai propri ruoli.

 


Atto II: Giuliana Colzi (Volpe), Paolo Cioni (Pinocchio), Paolo Ciotti (Gatto)


La storia è già nota, perciò condivisa. A stupire non sono i fatti ma la loro rappresentazione, la magia con la quale un quadro insegue e ingoia l’altro, sostenuto da un paesaggio di luci e musiche non estraneo alla poetica del regista. Ed è nel coloratissimo ricamo di immagini sapientemente tessute che recuperiamo l’incanto. Ad esempio alcune sequenze ricordano giganteschi carillons a cui qualcuno ha dato una carica occulta. Carillons come spaventosi giocattoli che lievitano e inglobano i personaggi, mentre col passare del tempo gli oggetti subiscono metamorfosi: il cubo sul quale siede Pinocchio diventa sempre più piccolo, il gomitolo lavorato dai ferri da lana della Fata grande (Alice Bachi, mamma-istitutrice) si sgonfia e rigonfia. Da ricordare almeno alcuni di questi ingranaggi: “Il teatrino di Mangiafuoco” parodia pirandelliana della morte dell’arte, “La giostra psichedelica del Paese dei Balocchi”, trionfo visuale e sonoro di tutti gli eccessi, “Il numero del ciuchino”, ritmico richiamo ad un circo sgangherato. È qui che si rivendica e si ottiene il meraviglioso collodiano, ma il gioco di Pinocchio rimane un gioco al massacro, e la narrazione è quella di un incubo antico, se è vero che la morte è presente ad ogni passo e sembra quasi camminare accanto a questo burattino-fantoccio voodoo, ossessionato dai sui stessi incubi e dal frastuono di “tutti i picchi del bosco”, punizione esemplare di una fata mai sembrata meno turchina di così.

 

Si è parlato di lettura cristologica del testo di Collodi, ma questo Pinocchio più che un Cristo sembra un povercristo, quello che parte dalla Passione piuttosto che dalla Natività, quello che di quell’altro racconto popolare (Vangelo) mette in scena il solo calvario. E Pinocchio è infatti ripetutamente vessato e ucciso, ma tutte le volte che muore, o che si avvicina alla morte (impiccagione, salto del ciuchino nel cerchio, trasformazione in bambino), in scena non c’è l’attore, ma il burattino. Pinocchio vive di morte e tra i morti, senza vincere la prima e senza resuscitare i secondi. E quando sembra esser nato alla vita vera all’umanità in realtà, diventato «carne felice», questo Pinocchio perde l’immortalità e entra nella storia, che è poi la nostra. I personaggi si arrabattono in una società “cattiva” in cui Lucignolo, compagno disobbediente per antonomasia (Dimitri Frosali, anche rinsecchito Mangiafuoco) sogna di essere semplicemente “un ragazzo che fa il ragazzo in un mondo di ragazzi”.

 


Atto III: Lucia Socci (Fata Bambina), Paolo Cioni (Pinocchio),
Alice Bachi (Fata grande)


Ironia feroce verso una società che soverchia e sfrutta, che insegna «obbedienza sospettosa e paura rispettosa»; realtà da sempre incapace di raccontare una fiaba a un bambino, se non come «novella atroce», visione di chi ha uno «sguardo sghembo sul mondo» (come anticipa il programma di sala). Cammino di formazione o di espiazione? Chiti non risponde e non conclude, un attimo prima dell’applauso, incalzato dall’abbraccio gioioso delle due fate, Pinocchio si volta e incontrando lo sguardo dell’amico Lucignolo, lo segue nel buio. Incubo o incanto?

Pinocchio
cast cast & credits
 


Sopra: Un momento del III Atto con Dimitri Frosali (Lucignolo) e Paolo Cioni (Pinocchio).

Sotto: Atto I. Massimo Salvianti (Grillo) e Paolo Cioni (Pinocchio).


Le foto sono di C. Andolcetti e M. Ammannati.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



Paolo Cioni (Pinocchio) 
 
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