Lo confesso: Out of The Furnace è un colpo di fulmine tra i film in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2013. Aperto sulle suggestive note di Release dei Pearl Jam, racconta una storia cruda, ambientata nella profonda provincia americana, ai confini tra Pennsylvania e West Virginia. Russell (Christian Bale) e Rodney Baze Jr. (Casey Affleck) sono due fratelli: mentre il primo cerca di “rigare dritto” lavorando in fabbrica come il padre, ormai moribondo, il secondo - duramente provato dalle missioni svolte in Iraq al servizio dellesercito americano e incapace di tornare alla normalità - non fa che mettersi nei guai, destando così la giustificata preoccupazione dellanziano e malato padre e di Russell, in un escalation di violenza che condurrà tutti a un tragico epilogo. La fotografia sporca di Masanobu Takayanagi è il perfetto coronamento di un film che trasuda verità, nonostante la retorica “old America” di cui è innegabilmente intriso e i personaggi stereotipati che conducono il gioco scenico. Grazie a un cast di attori eccezionali per bravura interpretativa, il regista Scott Cooper tiene il film al riparo dallenfasi eccessiva. Christian Bale, spogliatosi della maschera nera di Batman, dimostra di saper esprimere tutta la gamma delle emozioni, dal riso alla rabbia, alla disperazione, con un buon equilibrio mimico. Accanto a lui Casey Affleck incassa più di un colpo - letteralmente - dimostrando di essere un “vero duro” nella finzione narrativa, un bravo attore in quella scenica. Fenomenale Woody Harrelson nel ruolo dellallibratore e organizzatore di incontri di boxe clandestini, Curtis DeGroat.
Tecnicamente lintero film si esprime attraverso la dialettica tra primissimi piani (che spesso sconfinano nel particolare del volto) e lunghi e magniloquenti carrelli aerei sul maestoso paesaggio naturale, protagonista della storia al pari dei personaggi. Out of The Furnace è infatti inscindibile dal paesaggio in cui è calato, poiché caratteri e situazioni dipendono e scaturiscono da quello specifico habitat, nel senso più vasto del termine. Bellissimo il carrello finale a 360° intorno a Russell, fucile alla mano, al momento della resa dei conti.
Si potrebbe obiettare che Cooper con questo film non racconta niente di nuovo, ché in effetti valutando a freddo plot e personaggi non cè niente che non si possa ritrovare in innumerevoli altri film, a partire da The Motel Life (Alan e Gabe Polsky, 2012) - per citarne uno - visto alla scorsa edizione del Festival cinematografico di Roma. Paesaggio diverso (in quel caso si trattava del Nevada), due fratelli, stesse dinamiche di amore fraterno. Semplicemente sia luno che laltro si inseriscono in un filone cinematografico che rappresenta un genere a tutti gli effetti, diretto discendente del western, che sia ambientato nel profondo West o meno. Non è tanto la direzione verso la quale si punta la bussola a fare la differenza infatti, quanto piuttosto una concezione del paesaggio e più in generale della Natura come selvaggia, ostile, “matrigna” in senso leopardiano. Non a caso DeGroat e la sua banda si nascondono nelle montagne limitrofe e - viene detto esplicitamente - da generazioni non scendono da quelle alture. Civiltà e Natura, ratio e istinto ferino, si scontrano in un duello senza tempo che si dimostra ancora una volta una formula cinematografica vincente, quella del western in ultima analisi. Stesso genere, nuovo filone. Perciò, come Out of The Furnace, chiudiamo anche noi sulle stesse note di Release con cui abbiamo esordito: «Oh, dear dad, can you see me now? I am myself, like you somehow».
|
|