Nel racconto scenico del Gioco dei re, Luca Viganò si propone lambizioso intento di rappresentare alcune esistenze singolari (di campioni di scacchi) a confronto con la Storia del Novecento, impiegando il gioco quale metafora della vita. Nellaffascinante analogia, gli esseri umani assumono ruoli e potenzialità specchiati nelle leggi che regolano le pedine. I protagonisti sono le figure storiche del cubano José Raúl Capabianca e del russo Alexander A. Alekhine, legati dapprima da unamicizia che nel giovane Alekhine nasce dallammirazione per il geniale maestro; poi da relazioni fra avversari in lotta per il primato, e infine dallinimicizia, per interessi contrastanti e suscettibilità di caratteri.
Alice Arcuri, Aldo Ottobrino e Fabrizio Careddu. (c) Elisabetta Giri
La narrazione si alterna in azione diretta e documento epicizzato. Allinizio, nel 1942, Alekhine riceve la notizia della morte del suo maggiore antagonista. Dallora savvia la rievocazione del loro sodalizio, segnato da lunghe sfide memorabili per il titolo mondiale. Il personaggio del Vecchio giocatore (Massimo Mesciulam) è il principale spettatore e commentatore, a cui si devono indizi preziosi sulla cronologia degli avvenimenti e riflessioni sul significato più profondo degli scacchi. Umile persona di strada o barbone, con la voce del buon senso comune, si identifica coi suoi mitizzati eroi e trae di che vivere da partite occasionali. La vicenda, culminante nel duello decisivo dei campioni irriducibili, ha come preludio lascesa di Capablanca, giunto a sfidare e battere Emanuel Lasker, il tedesco campione in carica (autore del libro Common sense in chess, 1910). Nella sua impressionante maturazione, il cubano guidato da istinto e intuizione, è seguito dal neofita Alekhine. Il giovane, dal talento innato, si forgia una volontà di emulazione e dimpegno e persegue con lo studio e la concentrazione un perfezionismo ossessivo. Infatti, definisce la sua unascesi quasi religiosa nel segno di unaggressività da animale predatore. Il movente di quella scelta gli viene dallavere patito lesilio dal nuovo regime bolscevico e allumiliazione reagisce fino a un filonazismo e un antisemitismo provocatori e abbietti.
M. Mesciulam. (c) Elisabetta Giri
Lopposizione dei due personaggi appare radicale e persino metafisica. Destini così diversi e però complementari, ammettono paralleli e allusioni, a volte pretestuosi, alla storia mondiale e alla politica internazionale. Così il complesso di superiorità avrebbe indotto la civiltà occidentale, capofila gli Stati Uniti, a trascurare il pericolo nazista e perfino a facilitarne lesiziale avvento. Lincarnazione, involontaria e ingenua, di tale posizione sarebbe Capablanca. Antonio Zavatteri lo interpreta nella coscienza del proprio valore, fra vanità e compiacimento per il successo. Troppa sicurezza e superficialità lo rendono così temerario nellimpostare la strategia di gioco come intraprendente con le donne. Lincontro con Olga è vissuto come conferma di un potere e di un carisma irresistibili. Allapparizione affascinante della donna sul transatlantico segue per lui la conquista quasi scontata; poi il legame diventa di comprensione e fedeltà durature. Il campione sarà dunque vittima dellipervalutazione di sé, ma anche della crisi finanziaria che tanti travolse nel 1929.
Lattore lo mostra tanto entusiasta nella fortunata ascesa, quanto stupito e frustrato al momento della caduta. Aldo Ottobrino in Alekhine, rende forse meglio il lato nevrotico della sua personalità monomaniaca che non lo sguardo analitico e programmatore, abile a scoprire le debolezze dellavversario. Ladesione a ideologie perverse è sottolineata con una somiglianza fisionomica con Hitler. Alberto Giusta impersona un Lasker dal prestigio ormai in discesa, equanime organizzatore di tornei dalto livello agonistico. Alice Arcuri abbozza alcune figure femminili, decisamente caratterizzate (la prostituta, la madre di José Raúl). In Olga, convince per passione e dedizione, coerente nella fusione dei ruoli di amante e di sposa. Fabrizio Careddu è Capablanca padre, geloso, poi fan e manager del figlio in carriera (conferisce inoltre fisionomia da gangster cinematografico al cinico Nichy Arnstein). Cristiano Dessì, cameriere di Alekhine, è vivace interlocutore del Vecchio.
Una scena d'insieme dello spettacolo. (c) Elisabetta Giri
Lo spettacolo visto al Teatro Duse di Genova gode della precisa guida registica di Marco Sciaccaluga che asseconda le singole inclinazioni attoriche con finalità corale e la ottiene grazie a una distribuzione giovane e molto equilibrata. Così certe genericità del testo, certi suoi presupposti e snodi logici appena funzionali alla comprensione della storia, sono resi più necessari e avvincenti dalla partitura scenica emergente dal sottotesto. Ne sono esempio la descrizione (da parte del Vecchio) delle mosse tipiche delle pedine e le facoltà di esse tradotte in passi di danza da José Raúl e Olga sulla nave. I numerosi cambi di scena sono spesso risolti con dissolvenza incrociata, in uno spazio unico (linterno duna scatola di scacchi, disegnato con mirabile purezza formale da Guido Fiorato), delimitato da due muri con uscite laterali e sul fondo. Il tavolo degli incontri è ribaltato in proiezione sulla parete. Se nellenunciazione con sigle convenzionali le mosse sfuggono allo spettatore, si riscontrano significative almeno negli effetti della gestualità degli interpreti. La vicenda circolare si chiude tornando al 1942, quando il giocatore morto e il sopravvissuto esacerbato si trovano finalmente affrontati in una postrema partita di simbolica riconciliazione. Dellallettante analogia, non tutta svolta in ardita e pregnante espressione drammatica, restano alcuni passaggi memorabili dei due destini incrociati. Nelle loro contraddizioni confermano come il gran gioco, figura del non senso della vita, possa rivelarsi frutto di scienza ed arte e non soltanto strumento dossessiva autoaffermazione.
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