Un lungo piano sequenza ci conduce dal viale alberato sotto la minaccia di un temporale, fino allinterno di un teatro, altrettanto oscuro. Insieme con la macchina da presa è Vanda (Emmanuelle Seigner) a portare il pubblico fin lì. Le audizioni sono terminate eppure, con i suoi modi stravaganti, sciatti e piuttosto volgari, laspirante attrice ottiene un provino per la parte di Vanda, la protagonista di Venere in pelliccia, adattamento del regista Thomas (Mathieu Amalric) dellomonimo romanzo di Leopold von Sacher-Masoch (1870). Analogamente, il film di Roman Polanski anziché dal romanzo originale è tratto dalla pièce Venus in Fur, di David Ives.
Come nel recente Carnage (2011), anchesso tratto da un testo teatrale, ancora una volta il regista sceglie la dimensione claustrofobica definita da ambientazione unica e ridotto numero di personaggi, delineando così i contorni di una nuova fase artistica, cui forse non sono estranee le recenti vicende giudiziarie che hanno visto Polanski confinato agli arresti domiciliari.
In un mirabile congegno di mise en abξme, a poco a poco i ruoli si capovolgono e, come il protagonista del dramma che vuole mettere in scena, Thomas diventa schiavo dei capricci di Vanda-attrice; quando poi nella finzione del dramma le parti si capovolgono a loro volta, sono Thomas e Vanda a scambiarsi i ruoli, di modo che in ogni caso e a ciascun grado della finzione scenica sia sempre la figura maschile ad essere messa alla berlina. E con essa quella del regista con velleità demiurgiche e più in generale dellintellettuale radical chic. Quando Vanda-personaggio della pièce interna rescinde il contratto per farsi a sua volta schiava di Severin, infatti, è Thomas en travesti, trasformato in una sorta di drag queen, a sottomettersi incondizionatamente a Vanda. Man mano che le prove procedono, la bislacca attrice che Thomas sta provinando rivela doti interpretative e una competenza insospettabili: conosce il testo dellintero adattamento anziché il solo estratto distribuito per laudizione; contrariamente a quanto ha affermato in un primo momento ha letto il romanzo di Sacher-Masoch; suggerisce allautore una nuova scena da inserire, battuta per battuta; possiede costumi di scena depoca e manovra le luci che neanche un addetto ai lavori. Nel complicato gioco di specchi di Polanski, lattrice si fa autore e viceversa.
Con un lungo piano sequenza finale, opposto a quello iniziale, la macchina da presa arretra dal palcoscenico dove abbandoniamo il regista legato al cartonato di un cactus, residuo di un vecchio allestimento western fino allingresso e fuori dal teatro. Il cerchio si chiude così in concomitanza con luscita di scena della protagonista femminile, descrivendo i contorni di una visione onirica, una fantasia del regista quello dello spettacolo nello spettacolo, ma anche di Polanski che in un gesto autoironico ha messo in ridicolo persino se stesso, esorcizzando i cliché del proprio ruolo.
Una notazione particolare merita il suono. Laddove sul palcoscenico si fa a meno degli oggetti di scena per ricorrere ai precetti del mimo, esso funge da metonimia in absentia: si sente il rumore della tazzina invisibile nella quale Vanda lattrice finge di prendere il caffè che le offre Thomas, così come più tardi si sentirà il rumore della carta che Vanda il personaggio derivato da quello di Sacher-Masoch strappa per invalidare il contratto stipulato con Severin. Solo che nel primo caso eravamo al primo grado della finzione, quella filmica, mentre nel secondo siamo a un livello superiore: quello della finzione scenica che da essa dipende. In tal modo, mentre il gioco del rumore avvertito in mancanza del relativo referente occhieggia alla sequenza finale di Blow-Up (Michelangelo Antonioni, 1966) in cui si giocava una partita a tennis con una pallina invisibile ma udibile i piani della finzione si confondono ulteriormente. Per contro, risultano piuttosto invasive le onnipresenti musiche di Alexandre Desplat.
Nel microcosmo di un teatro, senza neanche disporre della scenografia adatta, Polanski costruisce il meccanismo perfetto del dramma di Thomas, ma soprattutto il suo di un regista che cerca di mettere in scena un testo teatrale. Del resto la somiglianza fisica tra i due registi, Thomas e Polanski, non è un caso. Attrice e regista si profilano così come i celebri personaggi pirandelliani: in cerca dautore, mentre i confini tra realtà e finzione si assottigliano.
|
|