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Ernani, Ernani involami (dalla cornice)

di Paolo Patrizi
  Ernani
Data di pubblicazione su web 18/10/2013  

Tra i festeggiamenti planetari del bicentenario di Verdi la stampa italiana non dovrebbe farsi sfuggire quanto accade all’Opera di Vilnius, teatro cui si deve quell’Otello messo in scena da Eimuntas Nekrošius che è, forse, la più affascinante produzione verdiana di questi ultimi anni. Il Verdi’s brand, come lì amano definirlo (in Lituania il nostro più grande operista è ancora un marchio), è stato celebrato con un convegno internazionale e una nuova produzione di Ernani, titolo mai eseguito nell’area delle repubbliche baltiche, che ha richiamato pubblico pure dalla Lettonia e dalla meno vicina Estonia. Il tutto, negli stessi giorni, contornato da riprese di vecchi allestimenti: da Rigoletto (con la livida messinscena di Gintaras Varnas, altro teatrante di punta in Lituania) a Traviata allo stesso Otello.

Arrivato dunque vergine all’appuntamento con Ernani, il teatro di Vilnius ha affrontato l’opera con sostanziale rispetto della tradizione per quanto riguarda il versante musicale, riservando invece un forte sperimentalismo alla regia. Già questo mostra una bussola distante dagli attuali parametri italiani. Da un lato perché la tradizione cui si è fatto riferimento è quella degli anni ruggenti dell’Ernani, quando Del Monaco prima e Corelli poi plasmarono il profilo di un protagonista passionale e disperato, che richiedeva una fisionomia da tenore drammatico e “di forza”: laddove i nostri tempi di ridimensionamento vocale hanno invece sdoganato, da almeno un ventennio, gli Ernani di taglia lirico-elegiaca. E pure per quanto riguarda lo sperimentalismo della messinscena siamo distanti dagli spettacoli italiani: se c’è un’opera di Verdi che da noi non ha sollecitato riscritture drammaturgiche, questa è l’Ernani. Anche la contestata regia di Ronconi alla Scala (1982), dietro la facciata di un certo sarcasmo verso le convenzioni del plot, era del tutto tradizionale.


Ernani. Un momento della messinscena
Ernani. Un momento della messinscena

Jean-Claude Berutti è un regista francese poco “francese”, e non solo per l’internazionalità della carriera: il suo Ernani da un lato appare fedele alla musa del Konzept, dall’altro stempera la concettualizzazione in una vena narrativa estranea al Regietheater, con un’impaginazione dal montaggio quasi cinematografico. Tra le opere “patriottiche” di Verdi, Ernani è l’unica dove le relazioni tra i personaggi contano più dello sfondo storico-politico: e Berutti, a tale cornice, ci rinuncia proprio, trasferendo l’azione dalla Spagna del 1519 a quella di oggi, in un’ambientazione moderna ma come cristallizzata – qui tutto si svolge all’interno del Prado – che dà un tocco, appunto, museale agli stereotipati rapporti fra i tre protagonisti maschili e il loro comune oggetto di desiderio. A testimonianza del maschilismo ottocentesco – con la retorica, cara alla civiltà del melodramma, della donna posta su un piedistallo, ma per farne una vittima sublime – Elvira qui non ha propria autonomia ontologica, ma è, letteralmente, un quadro: mostra le fattezze di un dipinto di Vélazquez (il riferimento iconografico è il celebre ritratto di Maria Anna d’Austria, mentre la bambina che l’accompagna è una citazione dell’infanta Margherita in Las Meninas) e si materializza uscendo dalla cornice che la custodisce.

I risultati sono d’indubbia eleganza sul piano visivo, e anche stimolanti per i meccanismi teatrali che s’innescano (Silva diventa il padrone del museo, Ernani e gli altri banditi sono ladri di quadri che tentano di sottrarre Elvira alle grinfie del proprietario), ma poco congrui in rapporto a quanto la musica suggerirebbe. La dialettica Verdi/Vélazquez, a ben vedere, non è peregrina: la realistica immediatezza del pittore spagnolo ha qualcosa di verdiano, e il suo ritratto del buffone Calabacillas è la migliore anticipazione di Rigoletto; il gioco intellettuale che ne scaturisce, però, appare alquanto dicotomico con quel «siavi molto fuoco e azione moltissima» che rappresentava, per il musicista, il credo espressivo dell’Ernani.


Una scena dell'opera: Sandra Janušaitė (Elvira) e Laura Zigmantaitė (Giovanna)
Una scena dell'opera: Sandra Janušaitė (Elvira) e Laura Zigmantaitė (Giovanna)

Pure talune sottolineature caricaturali – le inservienti del museo in aspirapolvere e strofinaccio, Giovanna come corruttibilissima addetta alla security, Don Riccardo effeminato yes-man del re di Spagna – sembrano fuor di luogo: ma potrebbero anche essere un modo di recuperare quegli affondi ironici presenti nel dramma di Hugo, e su cui il libretto di Piave ha poi glissato. Senza contare che se alcune controscene sono antimusicali (il Preludio visualizzato con il viavai lungo le sale del Prado) o distraenti (Don Riccardo che prova su se stesso l’abito da incoronazione, mentre il re canta Oh, de’ verd’anni miei), altre danno invece spessore ai personaggi, a cominciare dai comprimari: lo scudiero Jago si trasforma in un alter ego di Silva (è vecchio come il padrone, e al momento della resa dei conti qui ci sarà anche lui), mentre Giovanna appare quasi coprotagonistica in certi flash umoristici. Quanto a Elvira sollevata di peso e trasportata – durante Vieni meco, sol di rose – come una Madonna da processione sacra, è la citazione esplicita (forse un omaggio) di una sorniona gag dell’Ernani ronconiano.

La direzione di Martynas Staškus è in qualche modo dipendente da una regia così particolare, nel senso che certe scelte musicali sembrano una conseguenza delle peculiarità della messinscena. I tagli, ad esempio, sono più o meno quelli tradizionali (dunque, in primis, i “da capo”), ma la soppressione del tempo di mezzo – un coro di ancelle – tra Ernani, Ernani involami e la cabaletta che segue era un colpo di forbice inevitabile pure se il direttore avesse voluto mantenere la pagina: come far agire le serve di Elvira, se questa vive in un quadro? Mentre il fatto che la relativa cabaletta sia la sola a mantenere il “da capo” è una decisione che, sul piano musicale, altera un po’ il gioco dei pesi e contrappesi tra i vari personaggi e pare dettata, più che altro, da una strategia drammaturgica: come se il “personaggio-quadro” dovesse avere una marcia in più rispetto agli altri.


Ernani. Un momento della messinscena
Ernani. Un momento della messinscena

Una scelta musicale forse anch’essa di provenienza registica è poi quella, per sottolineare la circolarità della vicenda, di ripetere all’inizio dell’ultimo atto il Preludio già ascoltato nel primo: decisione pleonastica, ma utile a riassaporare il suono morbido e denso dell’orchestra del teatro lituano (con dei legni cantabilissimi, tra l’altro). Per il resto Staškus evidenzia con pregnanza e senza calligrafismi i temi ricorrenti della partitura, e ottiene dal coro un’idiomaticità che non si limita al solo Si ridesti il leon di Castiglia. Con i cantanti, invece, è un accompagnatore elastico, propenso a valorizzare le caratteristiche di ciascuno: per il tenore Marc Heller – unico ospite in un cast altrimenti composto da solisti della compagnia stabile del teatro – la tendenza a un canto “di spinta” dalle suggestioni delmonachiane (pur senza lo spessore del modello), che sottolinea gli sprazzi violenti di Ernani; per il baritono Arūnas Malikėnas la solidità dell’emissione, che s’impone in Lo vedremo, veglio audace e in tutti i passi a indirizzo declamatorio, supportando invece meno la fluidità dei momenti più spiccatamente cantabili; per il basso Tadas Girininkas – voce meno robusta dei due colleghi – certe spossate mezzetinte, utili a pennellare un Silva feroce ma fiaccato dagli eventi (non a caso la regia di Berutti lo colloca su una sedia a rotelle).

Su tutti spicca però Sandra Janušaitė: un soprano che, all’Opera di Vilnius, trascolora da Verdi a Wagner e Puccini con impeccabile professionismo, e che di Elvira ha l’ampiezza della cavata, la grinta indispensabile al «fiero sangue d’Aragona» e il necessario dominio virtuosistico negli abbellimenti. I comprimari sono splendidi cantanti-attori, come li pretende questa regia, e si direbbero anche notevoli cantanti tout court, per quel poco che Verdi concede loro nell’Ernani. D’altronde nelle compagnie stabili è normale passare dai ruoli di fianco alle prime parti e, leggendo i curricula, non stupisce scoprire che Arvydas Markauskas – l’ottimo caratterista celato dietro al personaggino dello scudiero Jago – è un baritono che interpreta regolarmente Rodrigo e Amonasro.





Lettera da Vilnius: Ernani
Dramma lirico in quattro parti


cast cast & credits
 
trama trama


Marc Heller (Ernani) e Sandra Janušaitė (Elvira)
Marc Heller (Ernani) e Sandra Janušaitė (Elvira)

 
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