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Giornate intense e appassionanti

di Elisa Uffreduzzi
  Giornate del Cinema Muto 2013
Data di pubblicazione su web 18/10/2013  

 

Si è concluso lo scorso 12 ottobre l’annuale appuntamento con “Le Giornate del Cinema Muto”, giunte quest’anno alla 32ª edizione, nonostante le difficoltà economiche di cui in tempo di crisi le istituzioni culturali risentono tra le prime. A dispetto degli ostacoli, il programma si è dimostrato singolarmente ricco, non soltanto per l’articolazione interna (in ben dodici sezioni, oltre agli eventi speciali), ma anche per le importanti scoperte che hanno segnato questa edizione come particolarmente importante. Su tutte la copia-lavoro dei tre prologhi girati nel 1938 da Orson Welles alla maniera delle vecchie commedia slapstick americane, per la farsa scritta da William Gillette, Too Much Johnson. Ritrovate dieci anni fa nel magazzino di una ditta di trasporti di Pordenone – questa la vulgata della rocambolesca riscoperta – le tre bobine, che nel progetto originale dovevano alternarsi alla recitazione dal vivo in teatro, sono state riportate alla luce grazie a un complicato lavoro di restauro compiuto in tandem dalla “George Eastman House di Rochester” (Stati Uniti) e “Haghefilm Digitaal” (Amsterdam). Nonostante agli occhi dello spettatore odierno i 66 minuti di girato risultino difficili da seguire poiché parte di un lavoro ancora a uno stadio embrionale, l’emozione di vedere oggi quei fotogrammi considerati perduti, per la prima volta proiettati in una sala cinematografica (neanche nel 1938 lo furono), compiace il pubblico delle Giornate come non mai.

 

Il “Welles ritrovato” rischia però di offuscare altre importanti riscoperte presentate nel corso della manifestazione, quali la prima versione di The Blacksmith di Buster Keaton (sezione “Riscoperte e Restauri”) e il trailer originale del film Odynadtsiatyi (L’undicesimo) di Dziga Vertov, nonché altri eventi speciali che hanno costellato il festival di emozioni. Su tutte, a parere di chi scrive, l’esibizione di Ichiro Kataoka, importante benshi del cinema giapponese, che nella serata dello scorso 10 ottobre ha brillantemente “sonorizzato” dal vivo i dialoghi di alcuni corti giapponesi e The Blacksmith (Buster Keaton, Mal St. Clair, 1922) – film in programma anche  per la serata conclusiva delle Giornate, nella sua prima versione (1921) – rinnovando così la tradizione dei celebri “narratori cinematografici” del muto nipponico. Tra i titoli della serata spicca il commovente Otome Shirizu Sono Ichi Hanamonogatari Fukujuso (Il profumo dell’adonide gialla, Shinko Kinema, 1935), episodio dei Racconti dei fiori.

 

Meno entusiasmo hanno raccolto tra il pubblico le proiezioni dei “Muti del XXI sec.”, cui si lega idealmente il film che ha aperto la manifestazione, nella serata inaugurale del 5 ottobre: Blancanieves (Pablo Berger, 2012).

 

“Labbra sigillate”, la sezione dedicata al cinema svedese 1925-1929, prende il titolo dall’omonimo film (Förseglade Läppar) di Gustaf Molander (1927), in programma insieme ad altri titoli dello stesso autore – come  Synd (Peccato, 1928), adattamento di un testo di August Strindberg, con un’intensa interpretazione di Elissa Landi – e di altri autori dimenticati, tra i quali  Fången n:r 53 (Prigioniero n. 53), versione svedese di A Cottage in Dartmoor di Anthony Asquith (1929).

 

Tra le sezioni più entusiasmanti figura quella dedicata al cinema ucraino che, accanto a capolavori più noti come Zemlya (La terra) di Oleksandr Dovzhenko (1930), annovera opere meno conosciute ma parimenti dense di pathos come Khlib (Il pane, 1930) di Mykola Shpykovskyi e lo struggente Nichnyi Viznyk (Il vetturino notturno, 1929), di Heorhii Tasin.

 

Il Centro cinematografico nazionale “Oleksandr Dovzhenko” di Kiev ha optato per accompagnamenti musicali nuovi, con l’intento di avvicinare il pubblico giovanile alla riscoperta della propria identità nazionale, anche attraverso il cinema muto: nell’ambito di questo ambizioso progetto, Khlib è stato sottolineato dai brani appositamente composti dal trio bielorusso Port Mone; mentre Arsenyi Trofim ha accompagnato al pianoforte Nichnyi Viznyk e per Zemlya, il quartetto DakhaBrakha ha composto una partitura orchestrale la cui registrazione ha “sonorizzato” la proiezione a Pordenone.

 

Alla riscoperta della star del cinema muto Anny Ondra – nota al grande pubblico per la collaborazione con Alfred Hitchcock in The Manxman (L'isola del peccato, 1929) e Blackmail (Ricatto, 1929) – è stata dedicata un’apposita sezione, incentrata sul lavoro dell’attrice nel cinema cecoslovacco, dove col nome di Anny Ondráková interpretò svariati film, tra i quali il divertente Drvoštep (Lo spaccalegna) di Karel Lamac (1923), in programma alle Giornate. La rassegna dedicata al tedesco Gerhard Lamprecht svela, dietro lo storico e collezionista di cinema dalla cui collezione nacque la “Deutsche Kinemathek”, una spiccata sensibilità artistica, evidente in opere come Unter Der Laterne (Sotto il lampione, 1928), storia melodrammatica di una giovane donna cacciata di casa dal padre e finita sulla strada per miseria.

 

La sezione intitolata “Messico: rivoluzione filmata” apre al recente lavoro di restauro e conservazione della propria cinematografia del periodo muto, intrapreso solo di recente da questo Paese. Il faticoso periodo della rivoluzione politica (1896-1920) trova un’eco di forte impatto nel cinema messicano coevo, presentata a Pordenone in tre tranche.

 

Tra le perle rare del cinema italiano Giuseppe Verdi nella vita e nella gloria (Giuseppe De Liguoro, 1913) è stato proiettato nel giorno del 200° anniversario della nascita del compositore, nella versione restaurata dal laboratorio “L’Immagine Ritrovata” di Bologna. Recentemente identificato da Denis Lotti, Ironie della vita (Mario Roncoroni, 1917), altra rarità italiana, è stato sottoposto a restauro nel 2013 presso l’ “Österreichische Filmmuseum” di Vienna ed è in questa rinnovata forma che è stato proiettato a Pordenone il frammento superstite, composto da quattro sequenze slegate tra loro.

 

Il cinema muto di animazione ha trovato spazio nel programma delle Giornate in triplice veste: nelle “pillole” della mattina – i divertenti corti di Felix the Cat – ; in chiusura di ciascuna giornata – con le brevi comiche d’animazione di Ko-Ko the Clown – e nell’eterogeneo programma dedicato all’animazione sovietica, all’interno del quale spicca senz’altro il cartone animato di chiusura, sorta di pubblicità di propaganda anticlericale. Qui il titolo Nash otvet Papam rimskim (La nostra risposta ai Papi, 1930) lascia intuire la tematica, svolta in modo esilarante dai registi A. Skripchenko, G. Tarasov: si tratta di un agit-prop realizzato per la “Osoaviakhim” (Società per la promozione della difesa, dell’aviazione e della chimica dell’Unione Sovietica), in risposta alla “crociata contro l’URSS” minacciata da Papa Pio XI. Nel finale è raffigurato il Papa che, mentre inveisce contro la guerra, viene messo a tacere per sempre da una gigantesca scatola di proiettili.

 

“Il canone rivisitato”, consueta rassegna votata alla riscoperta dei classici, ha trovato quest’anno il suo fulcro nel film di Vsevolod Pudovkin Mat’ (La madre, 1926), preceduto dal trailer tedesco Mutter (La madre, 1927) e posto a diretto confronto con Mat (La madre, 1920) di Aleksandr Razumnyi, altro adattamento dello stesso romanzo di Gor’kij. Nella stessa sezione ha avuto una nuova occasione per essere apprezzato Scherben (La rotaia, 1921), capolavoro di Lupu Pick.

 

L’abituale appuntamento delle Giornate con il cinema delle origini, quantitativamente un po’ sacrificato in questa edizione, ha comunque riservato interessanti sorprese come il catalogo superstite dei film realizzati nel 1896-97 con il sistema Joly-Normandin – finora rimasti occulti a causa della peculiare perforazione e al particolare metodo di scorrimento della pellicola – e la settima e ultima parte della “Corrick Collection”, a completamento del progetto intrapreso nelle precedenti edizioni della manifestazione. Infine, tra i “Ritratti” proposti, un documentario sulle tracce di Jeanne Roques, alias Musidora (1889-1957): Musidora, la dixième muse (Patrick Cazals, 2013), collage di interviste e materiali d’archivio, la cui realizzazione è a tratti discutibile, come negli inserti in cui una ragazza a cavallo si allena per la corrida in un’arena, che appesantiscono inutilmente il materiale filmico senza apportarvi un ulteriore coefficiente di significato.

 

Come si vede, il programma è stato ricco e variegato, confermando ancora una volta le Giornate come manifestazione di qualità, il cui team ha saputo scovare sorprese e novità attingendo all’(in)esauribile fonte del muto. Per conoscere nei dettagli la programmazione di questa edizione, vi invitiamo a consultare la pagina web ufficiale.






 
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