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Intervista a Marco Carniti

di Elena Abbado
  Intervista a Marco Carniti
Data di pubblicazione su web 18/07/2013  

Il regista Marco Carniti sta per debutture al Maggio Musicale Fiorentino con una regia dell' “Orfeo all'Inferno” di Offenbach, che riporterà dopo quasi trent'anni l'opera lirica nella storica cornice di Palazzo Pitti. Carniti, dopo un percorso di studio iniziato con la danza e passato per la recitazione - lo ricordiamo nell' “Intervista” di Federico Fellini e in “Miss Arizona” con Hanna Schygulla e Marcello Mastroianni - approda infine alla regia teatrale e lirica alla quale si dedica ormai da molti anni.

Provenendo da un percorso di formazione poliedrico, quale incontro artistico ritiene sia stato determinante per la sua formazione?

Sicuramente la mia formazione nella danza, che rappresenta per me il rapporto poetico con lo spazio e con l'essere umano. Per quanto riguarda la danza ho avuto due incontri speciali, con Grotowski e Pina Bausch. Il mio maestro resta però Giorgio Strehler ed è stato l'incontro determinante della mia vita. C'è stato Bob Wilson, Louis Pascual e come dicevo Grotowski, registi che ho seguito, con cui ho lavorato e che mi hanno aiutato a capire determinati aspetti della mia crescita artistica.

Mi parli del suo rapporto con la musica: suona qualche strumento?

Ho cominciato a suonare il pianoforte da bambino, molto prima dell'incontro con la danza. L'amore per la musica è nato grazie all'educazione che ho ricevuto in famiglia. Da quando ero piccolo venivo portato ai concerti al Teatro alla Scala a Milano, la mia città. Era anche genetica: mia madre suonava il pianoforte senza averlo mai studiato. Ma il mio rapporto personale con la musica l'ho ricercato attraverso la danza e poi con l'entrata nell'opera lirica che è avvenuta in un secondo momento, sempre attraverso Strehler, come suo assistente alla sua ultima regia di Don Giovanni alla Scala. Successivamente ho iniziato a fare regia d'opera in Germania tramite Carlo del Monaco. La prima fu a Bonn.

Come vive la musica da quando si occupa di regia d'opera?

Grazie all'opera ho potuto rievocare quel mondo fisico e sonoro e quell'approccio coreografico al palcoscenico, conosciuto nella danza, che avevo dovuto mettere da parte negli anni per fare teatro. Da quando mi occupo di regia d'opera il mio rapporto con la musica è sicuramente migliorato! Ho avuto la possibilità di approfondire un certo repertorio, conoscendolo di più e quindi amandolo di più. Paragono sempre l'opera al teatro orientale: entrambi necessitano non solo degli addetti ai lavori preparati ma lo stesso pubblico deve essere preparato a ciò che sta per ascoltare. L'opera lirica è come una sala operatoria, un luogo delicato di cui si deve aver rispetto e la musica una scienza matematica, devi conoscerla per poter evitare di fare degli errori che non sono nient'altro che mancanza di rispetto verso l'autorevolezza e la dignità di quest'arte.

La produzione di Orfeo all'Inferno di Offenbach che lei ha curato per il Maggio Musicale Fiorentino arriva dopo quasi trent'anni dall'ultima rappresentazione del Maggio che vide in quell'occasione – sempre a palazzo Pitti - l'Orfeo di Monteverdi/Berio allestito da Pierluigi Pizzi. Come si sente a raccogliere quest'eredità con un nuovo Orfeo?

Le eredità sono sempre molto pesanti e non bisogna mai pensarci, soprattutto noi artisti che rimaniamo spesso un po' bambini! Avendo avuto dei grandi maestri e molti incontri di rilievo nel corso della mia carriera, ho imparato fin da subito a non pensare a chi di loro prima di me avesse già affrontato un certo repertorio. Altrimenti ti senti sempre una piccola formica, come del resto i miei maestri a loro volta si saranno sentiti nei confronti di chi era venuto prima di loro. Penso che sostanzialmente il nostro lavoro sia fatto di salti nel buio, per tutti, per l'attore, per il cantante, per il danzatore o per l'atleta. Un cantante in fin dei conti è come un tuffatore, la qualità dell'emissione equivale alla perfezione di una prova atletica. Il salto nel vuoto o nel buio sono prove che presuppongono molto coraggio: una qualità che si forma solo con l'esperienza e con una grande preparazione. Sul palcoscenico porti sempre la tua esperienza umana e professionale ed è solo grazie a questa che puoi donare qualcosa alle altre persone. Del resto noi addetti ai lavori siamo solo dei tramiti tra l'artista e il pubblico, siamo in sostanza artigiani.

Alla luce della sua esperienza nella danza, che ruolo ha deciso di dare al ballo in questa nuova produzione di Orfeo all'Inferno, famoso nell'immaginario collettivo per il suo can-can?

La danza nell'operetta è sicuramente fondamentale. È un elemento che corre parallelo al discorso vocale e strumentale. Questo genere è letteralmente un'esplosione di energia ma allo stesso tempo contiene un equilibrio molto delicato, che t'impone di non essere troppo cerebrale nelle scelte da compiere: una problematica, questa, che sto affrontando attualmente con il coreografo. L'operetta ha una grande dignità dal punto di vista culturale ed intellettuale, ma allo stesso tempo non vuole caricarsi di responsabilità che preferisce delegare all'opera seria. Il tema rimane sempre il divertimento, attraverso l'energia e la dinamica. Il vero problema sta nel coordinare decine di balletti e cambi di scena a ritmo serrato. Fare operetta implica infatti un dispendio di energie molto superiore all'opera seria, nella ricerca di fare coesistere aspetti artistici e coreografici in una tempistica che lascia poco margine di libertà.

La danza quindi è punto di forza, ma allo stesso tempo punto di difficoltà di questa rappresentazione. Mi può dire secondo lei quali sono altri punti di forza e difficoltà della sua produzione di Orfeo all'inferno?

Affrontare oggi qualsiasi impresa artistica nel nostro paese non può non farci riflettere su determinati temi. Ho voluto affrontare un discorso che parlasse della problematica di fare cultura oggi in Italia, perché vivendo all'estero mi rendo ben conto come essa sia il reale valore della nostra terra. Credo che sia un dovere fondamentale per noi artisti quello d'informare e dare voce a certe tematiche per tentare di scuotere l'opinione pubblica. Sempre però nei limiti dell'opera d'arte che si sta mettendo in scena, evitando di snaturarla. Un messaggio così importante e pesante non deve in alcun modo gravare sulla messinscena.

Come stanno andando le prove?

Stanno andando magnificamente. La compagnia di canto è di grande livello e si è dimostrata in questo periodo molto disponibile. Così come il rapporto con il direttore d'orchestra, il cinese Xu Zong; un artista pieno di positività e solarità, elementi fondamentali per affrontare il genere dell'operetta e trasmettere al pubblico l'energia che si aspetta di trovare nel nostro lavoro. Inoltre sono colpito ed affascinato dall'aver trovato a Firenze, nonostante le difficoltà contingenti che del resto si ritrovano anche in altre fondazioni liriche italiane in questo momento, un clima di persone che tuttavia mantiene l'entusiasmo, la professionalità e la caparbia volontà di voler arrivare in fondo a questo progetto al massimo delle proprie potenzialità.

Ci può anticipare qualche particolare della sua regia dell'Orfeo all'inferno?

Orfeo a suo tempo fu una vera sequenza di scandali, anzi divenne famoso solo ed esclusivamente grazie ad essi, i primi critici l'avevano massacrata. Però ciò non si è dimostrato così negativo, dato che siamo ancora qui ad ascoltarla! La mia idea è, come dicevo, quella di portare l'ambientazione in un contesto italiano contemporaneo generalizzato (senza quindi nessun particolare riferimento all'attuale situazione del Maggio), come del resto ho fatto di recente in una mia regia di Nabucco con un Va pensiero” ambientato tra i profughi di Lampedusa. Ho quindi immaginato l'inferno di Offenbach come una società da riorganizzare, un mondo della cultura che vive in una specie di dormitorio di senzatetto e che attraverso la musica allevia la brutalità del quotidiano. La musica e l'arte aiutano a vivere e sopravvivere e in questo momento nel nostro paese un Verdi o un Offenbach sarebbero sicuramente disoccupati! Ho preso come protagonista di quest'opera uno dei personaggi più teatrali, il vecchio servitore Styx che s'incontra nell'inferno e che ho voluto rappresentare come un musicista disoccupato che ha perduto tutto e vive come un barbone arrabattandosi e vendendo strumenti musicali. Ciò per ricordare il clima di difficoltà in cui vive oggi il nostro paese, dove per un musicista è molto difficile potersi guadagnare la propria vita attraverso l'arte.




 

Il regista Marco Carniti
Il regista Marco Carniti



 
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