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Un'altra realtà

di Silvia De Min
  La tempesta
Data di pubblicazione su web 17/07/2013  
                                 

Uno spettacolo che ha una storia lunga quasi trent’anni: il testo del capolavoro shakespeariano  tradotto in napoletano da Eduardo, ultimo lavoro concluso prima della morte; la registrazione di tutte le voci dei personaggi nelle sfumature spesse del grande autore partenopeo; la messinscena a opera della compagnia di marionette Carlo Colla&figli; un progetto che andò in scena per la prima volta a Venezia, al teatro Goldoni nel 1985, per l’inaugurazione della Biennale Teatro, così come volle Franco Quadri, allora direttore.

 

Viene ora riportata in scena, in poche repliche, la magia del testo, la vitalità delle marionette, l’emozione della voce viva di Eduardo. Si trattiene il fiato, non si batte ciglio, ci si lascia stupire sospesi.

 

L’effetto di sospensione dal reale è l’emozione direi più forte, vissuta con abbandono, tanto più che della realtà capita di essere stanchi. Cito, ovviamente a sproposito, Heiner Müller quando, in un’intervista pubblicata su Il Patalogo 5/6. Annuario del teatro 1983, scriveva che «se sulla scena non si progetta almeno vagamente una realtà diversa da quella da cui gli spettatori provengono e a cui poi ritorneranno, allora il Teatro per me è privo di interesse. […] Spendere tanti soldi solo per rappresentare cose così come le ritroviamo per strada, è puro parassitismo». Lo spettacolo in questione non è «vagamente una realtà diversa», è proprio un’altra cosa, uno spazio e un tempo completamente nuovi, una dimensione sconosciuta che combina due elementi, la voce e la figura.

 

Eduardo aveva tradotto il testo in una lingua aulica e popolare, tagliente e musicale: il napoletano non sempre comprensibile è melodia lontana nel tempo, capace di protrarsi nell’oggi e nel domani; le metafore hanno il corpo di una terra bagnata dal Tirreno, dell’aria salmastra, rendendo così poetico e colorato di partenopeo il testo shakespeariano.

 

La voce di Eduardo fa tutte le voci (tranne la voce femminile di Miranda che è di Imma Piro): usa sfumature e intenzioni, mai storpiature; varia ma non si sottrae al riconoscimento. Ogni personaggio ha il suo colore, ma Eduardo è sempre presente, contiene tutte le possibilità e non lo nasconde, accogliendo piuttosto lo spettatore nel suo straordinario impasto vocale. L’effetto sonoro è dunque quello di un cantastorie che nella sua voce contiene tante voci, un aedo che la contemporaneità ha registrato: l’affascinante mondo favoloso della Tempesta, i motivi da romance, trovano nella voce di Eduardo la dimensione popolare del racconto orale.

 

Le marionette dei Colla catalizzano l’attenzione, fiere nei loro costumi sontuosi, impongono meraviglia: gesticolano molto, alla maniera tipica del sud, quasi umane e allo stesso tempo oltre l’uomo; interagiscono tra loro, ballano, piangono.

 

La realtà si definisce spesso nei rapporti quantitativi che la regolano, nelle dimensioni che la sorreggono. Dimensioni che svaniscono, appigli percettivi completamente sfasati dallo spettacolo di marionette. Calibano, visto dalla platea, si potrebbe credere sfiori i due metri: 110 cm rivela il foglio di sala ed è la marionetta più grande, mossa da tre manovratori. Questo per dire che la presenza scenica e la costruzione dello spazio sono tali da convincere l’occhio a farsi ingannare: la scena, quando rappresenta un esterno (per esempio il mare o l’ambiente naturale), è  profondissima, infinita verrebbe da pensare. Forse siamo solo vittime di una delle magie di Prospero, abbagliati dagli incantamenti scenici.

 

Le musiche originali di Antonio Sinagra, che compose molte delle musiche per gli spettacoli di De Filippo, affiancano la voce di Eduardo, senza sovrapporsi, e sviluppano cellule narrative a tema.

 

Veniamo ora alla costruzione dello spettacolo, per cogliere alcuni tratti significativi. La scena, per la maggior parte del tempo, si sviluppa su due piani: uno più avanzato che è la grotta di Prospero e uno più arretrato dove prendono vita le altre situazioni. Verrebbe anzi da dire che il racconto di Prospero, che in qualche modo porta su di sé i modi, le consapevolezze e le possibilità del narratore onnisciente (le cose accadono di fatto per sua volontà), trovi una forma di visualizzazione sulla parete di fondo della sua grotta che, aprendosi, diventa schermo metalettico di altre porzioni del racconto. Questo è chiaro se non altro nelle prime scene, quando Prospero e Miranda si fanno spettatori e commentatori della tempesta, dove il rullo marino, che crea l’effetto dell’incresparsi tumultuoso delle onde, inghiotte la nave nei flutti; o ancora quando Prospero, raccontando a Miranda il passato glorioso di Duca di Milano e le congiure che li portarono nell’isola, vede visualizzarsi il proprio racconto. La grotta schermo e la parola evocatrice di immagini che prendono forma fanno assumere a Prospero quella dimensione di cantastorie popolare che, come si è detto, è prima ancora di Eduardo.

 

Ariele è «un dispettoso scugnizzo napoletano» (dal foglio di sala), leggero, immediatamente simpatico, capace di rendersi visibile al pubblico e invisibile agli altri personaggi, ammiccante. Molto divertente la scena in cui Ariele e Ferdinando si incontrano, preparata dal canto dello spirito dell’aria trasformatosi in ninfa per volontà di Prospero: Ariele, che ha indossato i panni di una ninfa generosa, balla una sorta di tarantella il cui testo evoca una serie di animali che puntualmente entrano in scena: il cane, il gallo, previsti da Shakespeare, chiamano anche l’asino, il cavallo, il bue , la pecora e altri animali ancora, nella traduzione di Eduardo. Una piccola fattoria sfila sorridente sotto gli occhi del pubblico, esterrefatto per la vitalità e il ritmo di quelle marionette-animali, e sotto gli occhi di Ferdinando spaesato, disorientato e pronto a innamorarsi di Miranda, marionetta dai lunghi capelli biondi, unica voce femminile, ovviamente al primo sguardo.

 

Ci sono poi gli altri naufraghi e le loro vicende; ci sono gli spiritelli della schiera capeggiata da Ariele che muovono velocemente le loro gambette; ci sono gli spiriti evocati magicamente da Prospero: il palco insomma può essere affollatissimo se si pensa che, come dice il foglio di sala,  «i personaggi, fra spiriti, folletti, farfarielli, animali, sono più di un centinaio».

 

Le scene di Franco Citterio, ampie, varie, sviluppate su più livelli, prendono diversi colori: «violenti per la città di Tunisi, rarefatti e opalescenti per i luoghi d’amore di Miranda e Ferdinando, lividi e cupi per la congiura dei Potenti, tetri e inquietanti per la congiura degli Stolti» (dal foglio di sala). Un mondo parallelo, colorato, musicale; una storia di avventure, viaggi, prevaricazioni, violenze e perdono.

 

Nell’ultimo monologo di Prospero, nel momento in cui dichiara di abbandonare per sempre la magia, accade l’ultimo prodigio: la scena si apre, il quarto di boccascena occupato dalle marionette, si rivela per quello che è e in trasparenza vediamo il mondo superiore, dei marionettisti: in tuta blu muovono i fili dei loro personaggi, li osservano dall’alto, ne subiscono il carattere. Le tecniche di manipolazione diventano spettacolo ed è doveroso riportare i nomi di chi quello spettacolo lo fa: Eugenio Monti Colla, Franco Citterio, Mariagrazia Citterio, Piero Corbella, Camillo Cosulich, Debora Coviello, Cecilia Di Marco, Tiziano Marcolegio, Sheila Perego, Giovanni Schiavolin, Paolo Sette. I marionettisti si presentano vestiti da operai, a proclamare la laboriosità della loro arte. Questo mondo su due livelli dura un battito di ciglia, che è poi il tempo che l’uomo ha di imporsi sulla marionetta, ipnotizzante fino in fondo, forte di uno specifico estetico e ideologico che, a mio avviso, ancora resiste. Uno spettacolo irreale, di sogno, capace di fare immergere il pubblico proprio in quella materia di cui siamo fatti. E allora si abbandona davvero la presunta realtà che, appena fuori dal teatro, continua ad autoproclamarsi, per desiderare un po’ di più la realtà a cui appartiene la laboriosità artistica.


La tempesta
cast cast & credits
 


La locandina




 
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