Un
suggestivo manifesto che riproduce la sagoma di un flagellante composta da
pezzi di legni sovrapposti disordinatamente, che ricorda i contorni ritagliati
dellartista Mario Ceroli, annuncia la
mostra Il Gran Teatro dei Cartelami.
Scenografie tra mistero e meraviglia (orari e informazioni www.palazzoducale.genova.it), un
affascinante percorso nel campo poco conosciuto degli allestimenti effimeri
religiosi di area mediterranea tra Seicento e Ottocento. La mostra segue di un
anno la pubblicazione del volume Il
Teatro dei Cartelami (edito da Sagep a cura di Franco Boggero e Alfonso
Sista) e presenta al pubblico per la prima volta il lavoro di schedatura
decennale da parte di storici dellarte, etnoantropologi e restauratori
italiani e francesi di un patrimonio artistico che, a questo punto, si
configura come “sommerso piuttosto che disperso”.
Come
evoca la parola, questi assemblaggi di figure bidimensionali da esporre nelle
chiese durante la Settimana Santa erano eseguiti su materiali poveri ed
estremamente deperibili: oltre ovviamente a carta e cartone, vi sono cartelami
di latta, tela e legno, ma tutti sono accomunati dallo scopo di fungere da
surrogato “popolare” delle più ricche decorazioni a fresco e arazzi che
abbellivano permanentemente i luoghi sacri. Come tengono a precisare i curatori
Franco Boggero e Alfonso Sista della Soprintendenza per i Beni Storici,
Artistici ed Etnoantropologici della Liguria, non si tratta però di strutture
effimere, quanto di allestimenti ricorrenti poiché gli apparati, al termine
delle festività, erano smontati e messi da parte per lanno successivo,
talvolta fatti a pezzi e letteralmente riciclati per rinforzare il verso di
altre sagome oppure, in casi di apparati noleggiati, tornavano dal loro
legittimo proprietario.
G. Grandi, U Sepolcru (1758), Corte, Musée de la Corse. Pur
nellomogeneità tematica delle numerose opere esposte – si tratta perlopiù di apparati
di figure raffiguranti Passioni di Cristo e più complessi Sepolcri
architettonici per circa un centinaio di opere – la mostra presenta una varietà
notevole di approcci al tema. Una fascia più rustica è ben esemplificata dalle
bizzarre sagome settecentesche della Flagellazione
di uno specialista del genere come Giambattista
Trucco e da quelle, ancora anonime, di Cosio
dArroscia (Imperia). Queste opere con la loro gamma espressiva limitata,
ma vivace, stupiscono per via di certi curiosi aspetti come i manigoldi e i
legionari barbareschi che ricordano i pirati che allora infestavano il Mediterraneo
e sembrano rifarsi tanto a modelli tardogotici e sacre rappresentazioni
medievali, quanto a teatrini di marionette, piuttosto che alle opere che a quel
tempo produceva il Barocco genovese. Da ambiti più alti, ma forse meno
divertenti, troviamo alcuni maestri come Giovanni
Agostino Ratti e Paolo Gerolamo
Brusco che si cimentano in opere più aggiornate che riflettono le novità di
Andrea Pozzo, Gregorio De Ferrari e Domenico
Parodi.
Tra
le opere presenti in mostra, la tipologia più complessa, è quella del Sepolcro
architettonico: un apparato scenografico che prende a prestito le sue forme dal
teatro. In essi ritroviamo talvolta scene mobili, per variare ambientazioni e
personaggi nellavanzare della Settimana Santa, boccascena monumentale, quinte
paesaggistiche, sipario e pure dei rozzi Sprecher,
spesso sotto forma di corrucciati legionari moreschi. La complessità di queste
composite macchine sceniche ha riguardato anche le scelte espositive, dato che
si è deciso di rimontare numerosi apparati nelle sale talvolta problematiche di
Palazzo Ducale. Tra queste opere si segnalano alcuni ragguardevoli prestiti di
area mediterranea che testimoniano la notevole diffusione geografica dei cartelami
tra Sette e Ottocento. Spiccano allora U
Sepolcru di Corte in Corsica (dominio genovese fino al 1768), uno scrigno
coloratissimo e vivace che imita una cappella affrescata con storie della
Passione di Cristo, due Monuments du
Jeudi Saint di area pirenaica e una sorta di tramezzo di tela dipinta in
forma di boccascena teatrale di Oristano.
Tra
gli antesignani più nobili del genere dei cartelami è poi idealmente in mostra
la celebre Passione in blu del 1540
(visitabile al Museo Diocesano di Arte Sacra di Genova a prezzo ridotto, orari
e informazioni www.museodiocesanogenova.it),
composta da una serie di quattordici teli indaco con storie della Passione
ispirate a Dürer, mentre fa parte
dellesposizione il quattrocentesco Crocifisso professionale di Castellaro, che
atterrisce per lespressività macabra degli schizzi di sangue che colano giù
fino al teschio di Adamo.
La
caratteristica comune dei manufatti esposti è la leggerezza. Questa è dovuta
certo a esigenze di mobilità e trasformazione continua delle opere, ma a un
livello più profondo, si può intendere tale aspetto nella relazione tra eterno
ed effimero, degradazione materiale nella saldezza della fede. A ciò si
aggiunge il volto “leggero”, talvolta giocoso e infantile, delle immagini. Di
esse colpisce infatti la persistenza di elementi eterogenei e talvolta
discordi, arcaismi e inverosimili montaggi iconografici. A tal proposito, la Deposizione di Porto Maurizio (Imperia)
dei fratelli Carrega del 1780 unisce
Daniele da Volterra con Rubens (le due Deposizioni,
rispettivamente di Trinità dei Monti e
della Cattedrale di Anversa), recepiti entrambi, ovviamente, attraverso il
mezzo incisorio. Ugualmente, un altro caso di anacronismo è il coevo Cristo Umiliato di Giuseppe Massa, conterraneo dei Carrega, che recupera addirittura
la grafica düreriana per una certa ferocia espressiva (in particolare mi ha
ricordato la Flagellazione della
serie della Passione Incisa di due
secoli e mezzo più antica), mentre per via di certe sbavature di colore e
improvvise e stridenti accensioni tonali si ricollega alla pittura nordica che
tanta importanza aveva rivestito per la cultura figurativa ligure dei secoli
precedenti. Tali riferimenti stupiscono ed evidenziano la coesistenza di
anacronismi piuttosto marcati, se si pensa che pure Gregorio dei Ferrari era di Porto Maurizio e la sua arte fatta di
calligrafismi liberi e sinuosi è quanto di più lontano si possa immaginare dalle
asprezze formali dei cartelami, che paiono spesso del tutto impermeabili alle
correnti figurative tardo-barocche. Tali contrasti sono probabilmente dovuti
alla presenza di modelli incisori nelle botteghe dei centri minori che
riciclavano, consapevolmente o meno, modelli più antichi: non solo i già citati
Dürer e Rubens, ma anche frontespizi librari per i Sepolcri istoriati e stampe
popolari come le Figurine di Salvator Rosa per la natura episodica,
vagamente sospesa ma esuberante, dei soldati atteggiati in varie pose.
Se
la mostra poteva apparire certo non immediata, per via delle personalità
artistiche sconosciute ai più, i curatori hanno scelto di restituire al
visitatore il senso di meraviglia e spaesamento popolando lesposizione di figure
di carta spesse pochi centimetri e portali architettonici che schiudono
dimensioni impossibili. Inoltre, nei casi di allestimenti incompleti, si è
optato per una restituzione visiva delle opere, cercando di assemblare vari
apparati riciclando letteralmente pezzi provenienti da set di cartelami diversi, in pieno accordo con lo spirito e con la
storia delle opere esposte, che spesso riunivano senza difficoltà pezzi lontani
tra loro anche diversi secoli. Si tratta di una scelta intelligente che
permette al pubblico di cogliere a pieno la rozza monumentalità e lefficace
espressività di queste macchine effimere in modo evidentemente maggiore di
quanto avrebbe fatto una mostra di “frammenti” di cartelami. In ogni caso la
serietà scientifica non è stata certo sacrificata ma è stata affidata al
completo catalogo (edito da Silvana Editoriale a cura di Franco Boggero,
Alfonso Sista e Chiara Masi),
fornito di regesto documentario e capitolo specifico sui restauri di questi
complessi e stratificati manufatti. Assieme a un tentativo di restituzione
visiva dei cartelami vi è poi, ad aiutare limmersione del visitatore, un
costante accompagnamento sonoro che evoca il baccano inscenato con corni di
corteccia, bàttole e crepitacoli (presenti fisicamente in mostra) durante la Settimana
Santa dalla Liturgia dellUfficio delle Tenebre.
Si
tratta dunque di un patrimonio importante, recuperato grazie alla tenacia di
storici dellarte e restauratori intenti a inventariare opere dimenticate nei
depositi da secoli e sino a ora rinnegate dagli studiosi. Così, per una volta,
il detto italiano che vorrebbe che non ci sia nulla di più definitivo del
provvisorio potrebbe essere visto in unottica un po meno sconfortante, visto
che i cartelami si sono salvati a dispetto di altre forme artistiche meno
deperibili proprio in virtù della loro natura temporanea, rimovibile, ma non
effimera. Se dunque laspetto più caratteristico della mostra è la natura
ciclica dellapparato effimero mediterraneo, ben esemplificata dal manifesto dellesposizione,
dalle sedimentazioni lignee, dai grovigli di travi che sostengono limmagine – in
sé stessa forse proprio il volto meno interessante dellesposizione –
uneccezione a tale dimensione di temporalità ricorrente e riuso di immagini è
evidenziata dallopera senzaltro più incredibile: il Sepolcro Istoriato di Giuseppe
Musso di Laigueglia (Savona). Si tratta di una struttura architettonica
monumentale composta da venticinque teleri, su più registri e alta quasi quindici
metri, dove tra le ipertrofiche statue di Profeti e un timpano neoclassico sormontato
dalle Virtù Teologali si apre uno squarcio di paesaggio visionario, con rocce
frastagliate e smaltate, alberi arricciati e dai riflessi metallici che
sembrano una declinazione provinciale, ma non meno libera, di certa pittura
ottocentesca allucinata di artisti come Johann
Füssli o William Blake. Con
questopera esagerata, inutilmente sproporzionata rispetto al piccolo centro
costiero di Laigueglia e frutto della mente eccentrica, ma tutto sommato
coerente di un benefattore locale, si chiude idealmente il cerchio di unarte
popolare che ha fiorito almeno fino al secolo scorso nutrendosi di suggestioni
e licenze inaudite in centri artistici maggiori. Unarte popolare che
finalmente può godere di una mostra che ne evidenzia il contenuto più autentico
e innovativo, nella quale, talvolta, i chiodi, le borchie delle braccia
snodabili e le giunture delle travi sconnesse ci dicono molto più delle
immagini in sé e ci mostrano gli aspetti di cultura materiale e antropologia che
spesso nei casi di esposizioni temporanee vengono sacrificati allaltare del
nome altisonante, dellartista di grido. Così mi auguro che questa difficile,
ma riuscita, mostra possa portare a una più ampia rivalutazione dei cartelami,
anche in vista della futura ricollocazione di molti di questi apparati nei
loro, spesso remoti, luoghi di origine.
G. Musso, Paesaggio esotico (quinte destra e sinistra del Sepolcro Istoriato, 1837 ca.), Laigueglia, Chiesa di San Matteo.
|
|