Nel programma di sala ci sono due introduzioni alla regia di questa Götterdämmerung (Il crepuscolo degli dei): Michael Steinberg ed Erwin Jans spiegano in dettaglio ciò che Guy Cassiers vuole esprimere con la sua messinscena dellultima ‘giornata di questo Ring coprodotto dalla Scala e dalla Staatsoper Unter den Linden di Berlino, in collaborazione con Toneelhuis di Anversa. Ancor più che per le puntate precedenti (saggi dei due drammaturghi sono presenti nei programmi di sala delle altre tre ‘giornate), si tratta di una lettura necessaria: Götterdämmerung è lopera che rivela il senso finale del ciclo; il regista scopre qui tutte le sue carte, e rivela anchegli il senso finale della sua interpretazione dellopera.
Un momento dello spettacolo.
Credits Brescia / Amisano- Teatro alla Scala
Leggendo i testi di Steinberg e Jans ho scoperto che i frammenti scultorei di cui la scena è spesso disseminata (e che si ricompongono nel grande bassorilievo calato sul proscenio alla conclusione) sono ripresi da unopera dello scultore belga Jef Lambeaux realizzata nel 1898: unopera dalla ricezione molto controversa allepoca, e in cui il regista Cassiers vede racchiusi i significati essenziali che sostanziano la sua lettura scenica. Ho scoperto anche che tutti i simboli visivi ispirati allarte moderna da Klimt in avanti, costumi compresi (scene e luci di Enrico Bagnoli, video di Arjen Klerx e Kurt DHaeseleer, costumi di Tim van Steenbergen), stanno a sottolineare il pessimismo di Cassiers sul futuro dellumanità, il suo senso di desolazione nei confronti della violenza contemporanea a cui non si vede nessun rimedio. E ho scoperto molto altro ancora. Ma tutto ciò lho scoperto dai saggi di Steinberg e Jans, non da quello che ho visto a teatro. Le idee di Cassiers trovano nelle parole del programma di sala, non nella loro traduzione scenica il mezzo per svelarsi al pubblico, un aspetto, questo, che Cassiers non sembra aver preso in sufficiente considerazione.
Mikhail Petrenko (Hagen) e Lance Ryan (Siegfried).
Credits Brescia / Amisano- Teatro alla Scala
Un esempio. Per funzionare il riferimento intertestuale ha bisogno di un contesto condiviso tra lautore e il suo pubblico. Steinberg e Jans ci dicono che i frammenti del bassorilievo di Lambeaux funzionano come leitmotive visivi, il cui senso si comprende dallo svelamento dellopera completa alla conclusione del dramma. Questo bassorilievo, però, non è la Cappella Sistina, e non è nemmeno una fotografia di Man Ray o una striscia di Topolino: con buona pace di Cassiers e dei suoi drammaturghi, la scultura di Lambeaux non è unimmagine sedimentata nella cultura contemporanea, qualsiasi senso si voglia dare a questa espressione. Come me, immagino, molti o forse tutti in sala hanno colto retrospettivamente il rapporto tra fonte e citazioni; mi chiedo però quanti abbiano capito il perché di quella fonte e di quelle citazioni, senza aver letto i saggi di Steinberg e Jans, cosa che però il pubblico non è tenuto a fare prima dellopera, visto che il programma di sala non è distribuito gratuitamente a chi acquista il biglietto.
Un momento dello spettacolo.
Credits Brescia / Amisano- Teatro alla Scala
Non cè niente di sbagliato che le regie di spettacoli siano analizzate e spiegate, e che il senso della rappresentazione sia costruito anche a posteriori, come riflessione che continua dopo lesperienza dellevento. Tuttavia, nel leggere i testi di Steinberg e Jans ho avuto la sensazione di aver visto un altro spettacolo rispetto a quello che questi mi stavano spiegando, e la regia di Cassiers a questo punto mi è sembrata ancora più problematica; edotto dalla lettura di tutte le sue pur interessanti idee, non ho potuto fare a meno di misurare la distanza tra le intenzioni e la loro realizzazione: il solito mix di cantanti abbandonati a se stessi in scenografie (ovviamente) minimali e proiezioni (anche qui ovviamente) ‘evocative (di che cosa però non era dato sapere).
È possibile che la mia reazione a questa regia sia stata influenzata dalla componente musicale. Con Daniel Barenboim convalescente per problemi alla schiena, Karl-Heinz Steffens è subentrato alla direzione per le prime rappresentazioni dellopera, offrendo qualche momento intenso, nel contesto di una lettura in generale corretta ma monotona. Di certo non è stato sostenuto dallorchestra, distratta e con legni e ottoni spesso stonati. Alti e bassi nel cast vocale. Iréne Theorin è stata unottima Brünnhilde, con voce sicura e ampia negli acuti. Waltraud Meier ha dato tutta la sua (ormai) proverbiale intensità vocale e interpretativa alla seconda Norna e Waltraute. Molto bene le altre due Norne (Margarita Nekrasova e Anna Samuil, che cantava anche Gutrune) e le Figlie del Reno (Aga Mikolaj, Maria Gortsevskaya e Anna Lapkovskaja). Lance Ryan (Siegfried) è migliorato nel corso della serata, regalando un buon terzo atto. Molto convincente lAlberich di Johannes Martin Kränzle. Sfocato il Gunther di Gerd Grochowski; vocalmente poco incisivo lHagen di Mikhail Petrenko: alla fine in questa Götterdämmerung i cattivi letteralmente non avevano né voce né personalità, sparendo così al confronto coi buoni, in evidente contrasto con la storia che Wagner racconta.
Mi auguro che il ritorno di Barenboim riesca ad essere di stimolo, almeno per lorchestra e i cantanti, per le recite del ciclo completo programmate per la fine di giugno.
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