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Pasquinata

di Roberto Fedi
  La notte di Pasquino
Data di pubblicazione su web 09/01/2003  
Certi film sono come gli annunci delle barzellette: giovane, bella, simpatica, piccolo difetto… Insomma uno magari, anche per curiosità, va a dare un'occhiata, e poi ci resta male. A quel punto ha due possibilità: o scappare precipitosamente, o accettare l'invito, fare due chiacchiere, e non vedere l'ora di salutare.In entrambi i casi è una serata persa.

Con i film Tv succede spesso, anzi quasi sempre. Per esempio ci è capitato martedì 7 gennaio, su Canale 5. L'appuntamento si chiamava La notte di Pasquino, e lì per lì prometteva bene. Il regista non era il solito registello televisivo, abituato a girare sit-coms dove tutto si svolge in un paio di stanze, ogni tre battute ce n'è una che dovrebbe far ridere, i personaggi sono pochi e scontati e tutto gira intorno a un equivoco, una scommessa, una sparizione o qualcosa del genere, e dove l'abitudine alla mezz'ora obbliga, quando si passa all'ora e mezza del film, ad allungare la minestra (nel gergo calcistico si chiama «melina», e serve per perdere un po' di tempo). No, qui il regista era Luigi Magni, un regista vero. E anche gli interpreti non uscivano da qualche pubblicità o da una rivistuccia televisiva: Nino Manfredi, Pino Quartullo, Fiorenzo Fiorentini, Eliana Miglio, con un paio di giovani di buone referenze come Antonia Liskova e Giacomo Gonnella. Quindi siamo stati a guardarlo.

La storia si svolge tutta in una notte: altra scelta non banale, anzi nobile, da Andreuccio da Perugia in poi. Siamo a Roma, alla vigilia immediata della breccia di Porta Pia. Sta per finire il potere temporale dei papi; sta per scomparire il papa re. Nel ghetto arrivano dei bravacci, e rapiscono un neonato. Deve servire a ingannare gli esecutori testamentari di un principe moribondo, che per testamento lascerà tutto a un figlio scioperatissimo e puttaniere purché questi abbia un erede: che l'improvvido stupidone non ha, stante che da tempo non va a letto con la moglie preferendole amici, taverne e amanti in ordine sparso. Come si fa a ritrovare "er pupo" prima che sia celebrato il suo battesimo come figlio del nobile cretinetti, alle sei del mattino?

Per la città che dorme (mentre le truppe italiane sono lì per sparare le bordate a Porta Pia: un po' difficile da credere) gira intanto la carrozza di Pasquino (Nino Manfredi), con cocchiere altrettanto smagato e vecchierello (Fiorenzo Fiorentini). Via via attacca le sue poesiole (qui le chiamano impropriamente «satire») alle statue di Roma; mentre un killer incaricato da un perfido cardinale lo cerca per farlo fuori. Il rabbino si rivolge a lui: solo lui lo potrà aiutare a ritrovare «er pupo». Si aggiungono ai due, Pasquino e cocchiere, un'americana libertaria e un aitante rivoluzionario. Tutto finisce bene, ovviamente, mentre il sole sta sorgendo e già si sentono le cannonate dei bersaglieri. Non manca l'agnizione finale: Pasquino, in effetti, altri non è che un cardinale romano de Roma, che di notte si traveste e, come Batman, difende i deboli e fa la fronda a un papa ormai spacciato ancorché infallibile.

La regia è ovviamente meno sbrigativa di quelle consuete nei film Tv; gli interpreti, tutto sommato, accettabili (anche se Manfredi ormai fa sempre le stesse facce, la stessa voce, le stesse battute in abiti da cardinale del XIX secolo o da nonno del ventunesimo); la fotografia è di una certa accuratezza; gli esterni sono ben scelti, anche se ovviamente l'ambientazione notturna aiuta a "creare l'atmosfera"; la storia appare del tutto improbabile, ma a questo ormai non ci facciamo più caso; le attualizzazioni sono fastidiose e talvolta quasi ridicole, ma Magni c'è abituato (noi invece no: come si fa a far parlare una ragazza del 1870 come una femminista di cent'anni dopo? e addirittura a far profetizzare che un giorno un papa avrebbe fatto pace con gli ebrei?). Insomma un prodotto medio della Tv di oggi, quindi scadente ma, coi tempi che corrono, da accontentarsi.

E il piccolo difetto? È che non c'è nulla di nuovo sotto il sole "de Roma". Anche se sono passati 25 anni, quel cardinale Manfredi l'avevamo già visto: era il giudice ecclesiastico in crisi di In nome del papa re, sempre di Luigi Magni (1977). Anche quel cocchiere, che fa il controcanto "dal basso", non è nuovo: anche se lì era il cuoco, ed era interpretato da Carlo Bagno, la funzione scenica era la stessa. Il film non era un capolavoro, era didascalico e un po' semplicistico. Ma era amaro, a suo modo drammatico, pensosamente laico. Anche duro: il giovane liberale, figlio naturale del sacerdote in crisi Manfredi, alla fine sarebbe stato ucciso. Rileggeva a modo suo, ma senza blandizie, un Risorgimento fatto di preti forcaioli e di reazionari, di liberali e di uomini del vecchio regime che si sentivano manzonianamente in crisi.

Adesso, 25 anni dopo, il cardinale-Pasquino è un bonario vecchietto che guarda con scetticismo il mondo e dice che «semo tutti fratelli» e strizza scioccamente l'occhio a Giovanni Paolo II. Il tempo non passa invano: anche se è solo un piccolo difetto, si capisce.



La notte di Pasquino

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