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Intervista ad Alessandro Gassmann

di Caterina Nencetti
  Alessandro Gassmann
Data di pubblicazione su web 28/03/2013  

 

Lei è protagonista nel panorama nazionale e internazionale di teatro, cinema e tv. Quali opportunità le offre ciascuno di questi mezzi?

 

Sicuramente il teatro è il luogo in cui lavoro da sempre, la prima forma di spettacolo che ho affrontato. Sono trent’anni che lo frequento ed è il luogo dove mi esprimo con maggiore libertà, soprattutto dagli ultimi cinque-sei anni, da quando sono diventato direttore di teatri stabili, prima del Teatro Stabile d’Abruzzo fino alla storia del terremoto e poi del Teatro Stabile del Veneto, di cui sono direttore attualmente. Ho la possibilità di poter seguire quelle che sono le mie passioni, i miei autori preferiti e soprattutto di continuare, cosa che avevo già fatto da privato, il mio lavoro di regia. Riccardo III è la mia settima regia teatrale, la prima dedicata ad un classico perché ho sempre lavorato su drammaturgia contemporanea … e quindi grandissima libertà.

 

Il cinema poi ti crea delle grandi occasioni come mi è capitato più frequentemente negli ultimi anni, ti regala delle grandissime soddisfazioni, non ultima poi la regia cinematografica. Ad esempio il mio ultimo lavoro, Razza bastarda, di cui sono felice, è stato presentato al Festival di Roma, dove ha vinto la menzione speciale della giuria internazionale e al Bif&St di Bari, tre giorni fa, è stato premiato come opera prima. Quella davvero è stata un’avventura straordinaria che derivava da un viaggio teatrale di tre anni con Roman e il suo cucciolo e sta dimostrando di essere apprezzato dalle giurie dei festivals e questo mi fa ben sperare per la prossima uscita nelle sale.

 

La televisione può essere orribile, può essere anche piacevole. Ho fatto dell’orribile televisione e della buona televisione. È sempre più difficile trovare la qualità. Si è molto abbassato il livello di attenzione nei confronti della cultura da parte soprattutto della tv di Stato e questo è abbastanza vergognoso. Il fatto, ad esempio, che l’informazione teatrale sia demandata alle ore super-notturne e sia unicamente in mano del simpatico Marzullo credo che sia un po’ limitante rispetto alla varietà e alla quantità di spettacoli dal vivo che vengono prodotti e che riempiono, fortunatamente, i teatri italiani. Sarò presto di nuovo in televisione con Una grande famiglia che ha avuto grandissimo successo l’anno scorso e sono contento di ritrovare questo gruppo di lavoro. Riccardo Milani è un registra che apprezzo. Quindi lo faccio molto volentieri. Chiaramente il mio lavoro centrale rimane e rimarrà il teatro.

 

Lei ha parlato di tv “orribile”. A questo proposito, ci sono dei personaggi con cui il pubblico la identifica, ma che lei non ritiene i suoi personaggi migliori?

 

Sicuramente. Il film che ho fatto e che ha incassato di più nelle sale è stato Natale a Beverly Hills, che sicuramente è il film di cui non vado più fiero, ma che non rinnego. Comunque è un genere cinematografico che porta soldi nelle casse dei produttori e permette a questi di produrre film anche di altra qualità e questo è sicuramente utile nell’industria cinematografica. In generale molti dei film che ho fatto, rivedendoli, non mi piacciono. Molte scelte che ho fatto, soprattutto in gioventù, erano fatte così incoscientemente che probabilmente adesso avendo, la possibilità ed essendo più grande d’età, non ripeterei. Mi sembrerebbe poco carino però ora nominare film di persone che magari ancora lavorano.

 

E invece dei personaggi a cui è particolarmente legato e di cui è soddisfatto?

 

Tutti i personaggi che ho interpretato sono personaggi che mi porto nel cuore. Riccardo in questo momento occupa uno spazio grandissimo, come Roman l’ha occupato per tre anni. Uno a cui sono particolarmente affezionato è quello che interpretavo nella mia prima regia, La forza dell’abitudine di Thomas Bernhard: l’anziano direttore di un circo, sugli ottant’anni. Il testo è di un autore che io venero e che prima o poi mi piacerebbe riportare in scena. Al cinema, a parte Razza bastarda che chiaramente ho nel cuore, direi sia il protagonista del Bagno turco di Ferzan Özpetek sia il personaggio che ho interpretato in Caos calmo di Antonio Grimaldi che mi ha fatto vincere dei premi importanti, tra cui il David di Donatello. Sono due film che hanno notevolmente mutato la mia carriera e l’attenzione nei miei confronti da parte della critica nazionale e internazionale.

 

Lei si è formato alla Bottega teatrale di Firenze. Cosa ricorda di questa esperienza? Che cosa le ha lasciato?

 

Quello è un ricordo bellissimo perché ero ragazzo e quindi di per sé ha a che fare col fatto di essere giovane. I compagni di lavoro, i viaggi etc… Era anche un’Italia che permetteva a dei giovani di poter vivere a Firenze con una borsa di studio del Comune di Firenze in uno spazio meraviglioso e di avere dei maestri eccezionali. Voglio ricordare, oltre a mio padre, Giorgio Albertazzi, ma anche Jeanne Moreau, Anthony Quinn. Dei maestri veramente straordinari. È una di quelle esperienze indimenticabili che temo non si presenteranno più per coloro che hanno adesso l’età che avevo io all’epoca. Mi sembra di poter dire che anche l’interesse nei confronti della cultura da parte di chi ci governa è talmente basso che non fa ben sperare per il futuro. Continuo a stupirmi di come in questo Paese, sia che ci siano governi di destra che di sinistra che tecnici, nessuno abbia mai considerato la cultura un volano importante per l’economia e invece l’abbiano sempre ritenuta una sorta di zavorra che in momenti di crisi, come questo, viene appesantita ulteriormente. Se si utilizzassero i mezzi e un minimo di intelligenza e se si piazzassero le persone giuste a governare la cultura nel nostro Paese, potremmo insegnare tante cose a quasi tutto il resto del mondo. Siamo il Paese che al suo interno porta la stragrande maggioranza dei beni considerati.. come di dice? Bene dell’umanità? No, patrimonio dell’umanità e non sappiamo usarli. È come se la Repubblica maldiviana non considerasse il mare come un’occasione economica, ecco. La stessa cosa. È proprio da… scemi.

 

Ci ha appena citato questi maestri. Attualmente ha dei modelli?

 

Politici?

 

No, dei modelli di vita professionale.

 

Sì. Tutti coloro che si impegnano nel proprio lavoro sono dei modelli. Tutti coloro che fanno il proprio lavoro onestamente e tutti coloro che faticano per raggiungere i propri obiettivi. Quelli che non scelgono le scorciatoie sono degni di ammirazione per quanto mi riguarda, a prescindere dal lavoro che fanno. Una volta si diceva “gli uomini di buona volontà” e dato che comunque gli italiani, per la stragrande maggioranza, sono uomini di buona volontà, è un peccato che questo Paese vada a rotoli per la concezione orribile di considerare chi non fa la fila, chi non paga le tasse etc… una persona “furba” e degna di rispetto. Personalmente non ho grande rispetto per chi la pensa così.

 

Accennava alla sua prima regia. Il suo essere regista e protagonista dello stesso spettacolo, per lei è un vantaggio o pensa che si possano fare danni?

 

È sicuramente più faticoso, ma ormai mi sono abituato. È chiaro che quando faccio le regie, come mi è capitato due volte, anzi tre, senza esserci dentro come attore coinvolto, ho più tempo per dedicarmi agli altri. Quando preparo uno spettacolo però ci lavoro con larghissimo anticipo. Su Riccardo ci lavoro da circa tre anni quindi arrivo con le idee abbastanza chiare. Una volta che ho spiegato cosa mi serve e cosa vorrei riuscire a raccontare, posso dedicarmi a me stesso e considerarmi come uno degli altri attori. Tra l’altro, vedrai lo spettacolo stasera, questo Riccardo III ha un protagonista centrale, ma è uno spettacolo veramente corale, grazie anche all’adattamento di Vitaliano Trevisan al quale avevo chiesto appunto questo. Uno spettacolo popolare, più semplice, più breve e che mi permettesse di mettere in risalto tutti i protagonisti, dal primo all’ultimo. Con dieci attori raccontiamo sedici personaggi.

 

So che sperava in uno spettacolo accolto bene dai giovani…

 

Sì, questo è successo, fortunatamente. Mi fa tanto piacere avere molti giovani a teatro. In questo momento i dati che arrivano a me e a Massimo Tamalio, che mi assiste nella direzione del Teatro Stabile del veneto, confermano che si tratta dello spettacolo di prosa più visto in Italia. La maggior parte del nostro pubblico, laddove c’è un’organizzazione che permette l’ingresso a prezzi vantaggiosi per chi è ad esempio studente universitario, è formato da giovani. A Genova dove abbiamo fatto tre repliche, su mille e cento spettatori, circa ottocento erano studenti universitari ed è stata veramente una settimana meravigliosa.

 

Mi parlava della sua compagnia. Secondo lei attualmente è possibile creare un gruppo stabile di attori che lavori insieme anche al di fuori e a prescindere dai teatri stabili?

 

Sì, questo sicuramente. Io ho degli attori che lavorano quasi sempre con me, altre new entries, ma credo che per ogni spettacolo si debba scegliere gli attori giusti. Non necessariamente però gli attori con cui si è già lavorato sono giusti per il testo che si prova. Credo quindi che sarebbe limitante ripetere sempre la stessa compagine di lavoro. Certo è che al di fuori del teatro stabile, da cui uscirò a giugno del 2014, continuerò a lavorare con le persone che conosco perché avendo una consuetudine con alcuni attori conosci non soltanto i pregi, ma soprattutto i limiti, i difetti. È più semplice trarne vantaggio. È un discorso puramente egoistico quello che faccio. Li sfrutto…

 

E i limiti o i punti di forza della sua recitazione?

 

Andando avanti nell’età credo che un attore abbia il vantaggio di conoscere meglio i propri limiti. Sa cosa non fare ed è quello su cui sto puntando in questo periodo della mia carriera che è molto piacevole. Si migliora perché si fanno meno errori. Il talento di un attore può sicuramente migliorare con la tecnica e con l’esperienza, ma non più di tanto. Si fanno scelte più intelligenti, più giuste per se stessi e si risulta più bravi. In realtà, ad un film come Caos calmo che, come ho detto prima, mi ha permesso di vincere molti premi importanti, ho lavorato otto giorni. Non ero particolarmente bravo, ma ero particolarmente giusto per quel ruolo.

 

Se lei dovesse dirmi i suoi tre attori preferiti del passato, escluso suo padre?

 

Del passato?

 

Sì.

 

Anche viventi possono essere?

 

Va bene…

 

Tra i tre metterei sicuramente Robert De Niro. Metterei Gian Maria Volonté e probabilmente metterei, anzi sicuramente, metto Charlie Chaplin perché non mi stancherò mai di ammirare la sua straordinaria poesia attoriale.

 

E se le chiedessi tre attori italiani?

 

Metterò senz’altro Alberto Sordi che è l’attore che mi fa più ridere in assoluto. Metterç Totò che è un genio non soltanto del cinema, ma ripeto, anche della poesia, della letteratura italiana e metto… ma sai, abbiamo avuto degli attori talmente.. come posso mettere un altro ed escludere Mastroianni o Manfredi o Tognazzi? Allora ne metto uno che è meno riconosciuto di solito e che invece varrebbe la pena rivalutare che è Aldo Fabrizi.

 

Abbiamo iniziato parlando di classici e contemporanei. Quando sceglie un testo per il teatro, quali sono gli autori che predilige?

 

L’autore con cui mi riconosco, che mi commuove e che mi diverte tantissimo è Thomas Bernhard. Un autore austriaco, ostico, complesso, negativo, un analista della società cinico e spietato, ma proprio per questo molto divertente a mio modo di vedere. Mi piacerebbe riaffrontare uno dei suoi testi se non ripetere una messa in scena già fatta di un suo testo. Ne ho già affrontati due, infatti. Degli autori italiani viventi? Facendo parte della giuria del Festival di Riccione che è considerato il premio più importante, il più interessante che c’è nel nostro Paese per la nuova drammaturgia, ho la fortuna di poter leggere molti testi ogni anno e la qualità media della scrittura dei giovani autori è a volte eccezionale. Da direttore del Teatro Stabile del Veneto l’anno scorso ho prodotto tre spettacoli di drammaturgia contemporanea e vale la pena nominare tutti e tre questi autori. Uno è appunto Vitaliano Trevisan di cui ho prodotto Wordstar(s), con mia sorella [Paola Gassman] e Ugo Pagliai, un altro è Tiziano Scarpa con L’infinito, diretto e interpretato da Arturo Cirillo, che ha fatto uno straordinario lavoro anche nelle scuole parlando di Leopardi e infine Oscura immensità che ho avuto anche l’onore di dirigere con Giulio Scarpati e Claudio Casadio, tratto dal romanzo L’oscura immensità della morte di Massimo Carlotto che riprenderemo l’anno prossimo. Tra l’altro Carlotto in questo momento sta scrivendo un nuovo testo teatrale e mi auguro di poter riuscire a farne la messa in scena.

 

L’incontro con un classico come Shakespeare è quindi arrivato “in ritardo”?

 

Ma sì, perché troppo spesso vado a vedere degli Shakespeare a teatro che non mi piacciono. Mi annoio mortalmente, non capisco quello che dicono, non capisco perché parlano strano e invece volevo uno Shakespeare dove si parlasse normale, dove si capisse tutto e dove il linguaggio fosse dritto e anche che non durasse più di due ore e un quarto. Per Riccardo III è quasi un miracolo perché dovrebbe durare tre ore e mezzo. Vitaliano ha fatto un lavoro eccezionale perché non ha saltato blocchi fondamentali e ha lavorato semplicemente sulla fruibilità di un testo molto complesso. Questo ha fatto un buon servizio al gradimento del pubblico. Lo spettacolo è invece molto impegnativo dal punto di vista fisico per tutti gli attori e anche dal punto di vista tecnico per coloro che sono in console. Infatti tra luci, effetti musicali, suoni, proiezioni e video retroproiezioni si crea un impianto molto complesso e delicato, ma che aiuta il pubblico ad entrare nella storia in maniera parzialmente cinematografica. Due mondi, teatro e cinema, che considero cugini.

 

Che ci dice della scelta di fare un Riccardo “gigante”?

 

Sì, è gigante invece che piccolo e deforme, ma poco mi interessava che tipo di diversità avesse perché comunque quella che descrive Shakespeare è una diversità che ha a che fare con la sua deformità di pensiero. È un grandissimo, sublime cervello con un piccolissimo cuore. Usa male le sue capacità e ci ricorda molti dei politici che vediamo in televisione quotidianamente. Sono più piccoli… però anch’essi portano i tacchi, come Riccardo.

 

Tornando alla regia. Quando non si auto-dirige riesce a “sopportare” le indicazioni di un altro regista sulla sua recitazione?

 

Io sono considerato un attore abbastanza diligente. Ho avuto la fortuna di incontrare sempre professionisti che non dicevano mai delle fesserie e non mi permetterei mai di mettere bocca. Posso dare delle indicazioni sulla mia interpretazione. Posso a volte fare delle piccole modifiche sul testo, sulle battute. Mi faccio un lavoro di “sartoria” su quella che è la scrittura però non voglio in nessun modo interferire sulla visione, sull’idea che il regista si è fatto.

 

Le faccio un’ultima domanda. Abbiamo iniziato parlando di teatro, cinema e tv. Che spettatore si sente?

 

Non vado molto al cinema, a teatro. Guardo tutto in televisione. Da quando ci sono i canali tematici sono molto felice di guardare la televisione. Sono appassionato di documentari, di sport, di informazione e seguo la politica. In generale però i film li vedo sempre un anno dopo, li vedo su Sky e in lingua originale.

 

E per il teatro?

 

Per il teatro devo vedere molti spettacoli. Non posso vederne tanti dal vivo perché sono in scena e quindi con Massimo Tamalio mi faccio mandare i dvd e me li vedo.

 

 

 


La foto di scena qui in alto è tratta dallo spettacolo Riccardo III, regia di Alessandro Gassmann

(Credits: Federico Riva)

Si rinvia alla recensione dello spettacolo R III - Riccardo III di e con Alessandro Gassmann

 
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